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    Amadeus annuncia: a Sanremo anche la mamma di Giogiò, il musicista ucciso

    La mamma di Giovanbattista Cutolo “Giogiò”, il giovane musicista napoletano ucciso ad agosto per una moto parcheggiata male, salirà sul palco di Sanremo insieme a Amadeus.
    Durante la conferenza stampa, Amadeus annuncia l’arrivo di “la mamma di Giò Giò”, Giovan Battista Cutolo, il giovane musicista ucciso in strada a Napoli dopo una lite. Inoltre, anticipa che Giovedì sul palco si esibiranno “Stefano Massini e Paolo Jannacci con una canzone bellissima che fa riferimento alle morti sul lavoro, un brano che ci toccherà molto”.
    Amadeus spiega che quest’anno il festival non ospiterà presenze istituzionali, né monologhi, ma ci saranno alcune testimonianze personali, come quella di Giovanni Allevi che tornerà sul palco dopo due anni terribili.
    Durante il festival, Allevi sarà testimonial della sua battaglia e portavoce di coloro che si trovano nella sua stessa situazione. LEGGI TUTTO

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    La 13enne stuprata: “Li ho supplicati di lasciarmi andare”

    La testimonianza del fidanzato dell’adolescente vittima di una violenza di gruppo ha confermato agli inquirenti l’orrore che ha vissuto la giovane di 13 anni.I due minori sono stati identificati e l’orrore sembra non avere fine. La tredicenne è stata stuprata da un gruppo di giovani egiziani, di cui tre minorenni, nei bagni della centrale Villa Bellini di Catania lo scorso 30 gennaio, davanti al suo fidanzato di 17 anni.
    Ha ricostruito quelle fasi drammatiche implorando di essere lasciata andare, ma i giovani continuavano a toccarla. La giovane ha identificato senza esitazione uno dei fermati come uno dei due che l’ha violentata.
    L’indagato è un neo maggiorenne e la sua posizione sarà trattata dalla Procura distrettuale, mentre per i minorenni ci sono due fascicoli aperti. La vittima ha identificato complessivamente tre membri della banda: un minorenne e un maggiorenne che l’hanno violentata e un altro egiziano che la teneva bloccata.
    Il settimo fermato è stato sottoposto a prelievo biologico per confrontare il suo DNA con le tracce ematiche, seminali e salivari trovate negli slip della giovane. I primi esami hanno confermato che appartengono alla vittima e a uno dei minorenni fermati. Il terzo DNA è ancora sconosciuto e sarà confrontato con quello del settimo fermato.
    Ci sono due inchieste aperte per violenza sessuale di gruppo aggravata: una della Procura distrettuale e l’altra della Procura per i minorenni. Le indagini sono condotte dai Carabinieri in collaborazione con altre forze dell’ordine. Due dei fermati sono gli autori materiali dello stupro, mentre gli altri tenevano fermo il fidanzato.
    La giovane ha riconosciuto i due minorenni in un confronto attraverso un vetro oscurato, mentre sugli altri cinque non ha avuto certezze perché non li ha visti in faccia. È stato il fidanzato a dare indicazioni insieme a uno dei fermati che ha collaborato ed è l’unico posto ai domiciliari.
    L’analisi del DNA sulle tracce biologiche ha fornito i primi risultati su uno dei fermati e si aspettano gli esiti sugli altri e le risultanze dai telefonini. Entro martedì è prevista l’udienza davanti al giudice per la convalida dei fermi. Il vescovo metropolita di Catania, Luigi Renna, ha espresso la sua vicinanza alla giovane vittima di violenza e ha invitato i giovani egiziani a rispettare e amare le donne anziché trattarle come oggetti.
    Ha anche sottolineato che il crimine commesso da questi giovani immigrati non deve portare a generalizzazioni, in quanto non tutti gli immigrati sono violenti, così come non tutti i giovani italiani lo sono. La violenza va sempre condannata e la persona che ha commesso l’errore deve essere messa in condizione di non commetterlo più. LEGGI TUTTO

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    15 suicidi in carcere dall’inizio dell’anno: “Una strage di Stato”

    La drammatica sequenza di suicidi in carcere continua: 15 detenuti si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno, uno ogni 48 ore. L’ultimo caso è avvenuto nel carcere di Carinola, dove un detenuto disabile di 58 anni si è impiccato.La situazione nelle carceri italiane è drammatica. Il sovraffollamento, le carenze di personale e le inadeguate condizioni di vita sono fattori che contribuiscono al disagio e alla sofferenza dei detenuti, portando in alcuni casi al suicidio. È necessario un intervento urgente da parte del Governo per porre fine a questa “strage di Stato”.
    Gli ultimi due casi sono avvenuti il primo nel carcere veronese di Montorio – dove in tre mesi cinque detenuti si sono uccisi – e si tratta di una morte annunciata in quanto il detenuto ucraino che si è impiccato si era già reciso la gola a gennaio e soffriva a livello psichiatrico.
    E’ lo stesso carcere dove è detenuto Filippo Turetta, il giovane assassino della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin.
    Non si può continuare a ignorare la sofferenza e la disperazione di chi si trova ai margini della società.
    I dati:
    189 istituti possono ospitare 51.179 detenuti.In realtà i detenuti sono 60.166.Il sovraffollamento detentivo sfiora il 130 per cento.Mancano 18mila operatori nella Polizia penitenziaria.
    Le proposte:
    Maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione.Interventi sulla carcerazione preventiva.Assunzioni di nuovo personale.Miglioramento delle condizioni di vita in carcere.
    Le parole dei sindacati:
    “Nostro malgrado la carneficina nelle carceri del Paese continua, così come proseguono il malaffare, le risse, le aggressioni alla Polizia penitenziaria, il degrado e molto altro ancora”, commenta Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, ricordando che “anche un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria due settimane fa si è tolto la vita”.
    Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), si dice “costernato e affranto: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”.
    “È un massacro, pochi uomini e male organizzati. Nonostante le promesse della politica il sistema è da rinnovare integralmente, a partire dai vertici, pena danni irreparabili non solo per l’utenza e per il personale che opera nelle carceri ma anche per la collettività nazionale”, sottolinea il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci.
    “La tendenza drammatica dei suicidi in carcere è sorprendente soprattutto per la politica che è indifferente e vive in silenzio. Il tasso di suicidi in carcere è 20 volte superiore ai suicidi delle persone libere. Occorrono risposte concrete qui e ora, prima che ci sia l’irreparabile”, commenta Samuele Ciambriello, garante campano delle persone private della libertà personale e portavoce nazionale della Conferenza dei garanti locali dei detenuti.
    Per Aldo Di Giacomo, vice segretario generale Osapp: “Di fronte ad un trend che non sembra arrestarsi e che potrebbe far superare a fine 2024 il più tragico bilancio di suicidi, quello del 2022 con 84 vittime, è necessario correre ai ripari per mettere fine alla “strage di Stato” ed assolvere alla prima funzione dello Stato di legalità che le deriva dall’avere in custodia vite umane.
    Perciò le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio sono ancor più inaccettabili. Altro che “questione irrisolvibile” e “malattia da accertare” come dice il Ministro. Con Carinola c’è la conferma che i suicidi in carcere sono un problema che riguarda tutte le fasce di età, dai giovanissimi agli over 60, con quelli più frequenti tra gli under 40, con un numero elevato di persone con problemi psichici e di tossicodipendenza ed evidenziano in modo più forte le gravi problematiche prima fra tutte il sovraffollamento”.
    Secondo i dati del ministero della Giustizia (aggiornati al 31 dicembre 2023) i 189 istituti possono ospitare 51.179 detenuti. In realtà i detenuti sono 60.166. Tutti gli istituti (a eccezione di quelli in Trentino) sono sovraffollati con 18.894 stranieri. Il sovraffollamento detentivo sfiora il 130 per cento, mentre registriamo carenze organiche di 18mila operatori in meno nella sola Polizia penitenziaria. LEGGI TUTTO

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    Sgarbi: “Dimisssioni? Sono ancora sottosegretario, devo negoziare con il governo”

    Il critico d’arte Vittorio Sgarbi ha annunciato di non essere ancora un ex sottosegretario al ministero della Cultura, smentendo la sua rinuncia “con effetto immediato” e affermando di dover ancora negoziare le dimissioni con il governo.
    Sgarbi è apparso in tv per dichiarare tutto questo, in seguito a un evento alla Bit di Milano. È evidente il tentativo di rimanere al centro della cronaca politica, anche se non è chiaro cosa debba negoziare con il governo. La marcia indietro delle dimissioni è stata preceduta da scandali rivelati da inchieste e dalla censura dell’Antitrust per attività private incompatibili con il suo incarico governativo.
    Il critico d’arte è coinvolto in uno scandalo mondiale riguardante la sua remunerazione durante l’incarico pubblico e un presunto riciclaggio di un quadro rubato. È stata anche presentata una mozione di revoca presso la Camera dei Deputati. Nel frattempo, Sgarbi sta rispondendo alle domande relative alle sue dimissioni e alla sua posizione a Arpino, dove è sindaco e ha ricevuto critiche per la sua scarsa presenza in città.
    Le dimissioni di Sgarbi sono arrivate dopo la sentenza dell’Antitrust, che ha censurato le sue attività private a compensi ingiustificabili, portandolo a contestare apertamente il provvedimento dell’Autorità e a minacciare di fare ricorso al Tar. Sgarbi ha continuato a svolgere attività lavorative private nonostante l’incompatibilità con la sua carica di governo, ottenendo compensi cospicui.
    A due giorni di distanza dalla sua annunciata rinuncia, Vittorio Sgarbi sta tentando un’inversione di marcia e inevitabilmente resta al centro della cronaca politica. Dal tentativo di rimanere in carica negli incarichi istituzionali al procedimento antitrust che lo ha censurato per le sue attività private. Tutto sembra indicare la volontà di restare protagonista, nonostante una serie di scandali e controversie dettate dalle sue attività pubbliche e private.
    Fonte LEGGI TUTTO

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    MIgrante si impicca ne Cpr, aveva scritto: “Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa”

    Un 22enne migrante originario della Guinea si è impiccato la scorsa notte all’inferriata esterna del suo settore nel Cpr di Ponte Galeria, alla periferia di Roma. Sul muro, con un mozzicone di sigaretta, ha lasciato un messaggio straziante: “Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta”. Parole che rivelano la disperazione per un sogno tradito, quello di una vita migliore.La realtà per il giovane è stata invece quella di una reclusione lunga mesi, diventata inaccettabile. “I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”, si legge ancora nel messaggio.
    Il suicidio ha scatenato la rivolta degli altri ospiti del centro, con il ferimento di due carabinieri e un militare dell’esercito. I disordini, con il lancio di sassi, il tentativo di incendiare un’auto e quello di sfondare una porta, sono stati sedati dalle forze dell’ordine, anche con il ricorso ai lacrimogeni.
    L’ennesima tragedia nel sistema di accoglienza italiano accende i riflettori sulle condizioni inumane in cui versano molti CPR. Da inizio anno sono 15 i morti dietro le sbarre, migranti esclusi.
    Le reazioni
    L’opposizione chiede la chiusura del Centro di Ponte Galeria, da sempre al centro di polemiche. Non è l’unica struttura ad essere finita sotto accusa: negli ultimi giorni proteste si sono registrate anche nei CPR di Gradisca d’Isonzo e Milo.
    “Non c’è bisogno di aspettare le indagini per poter dire che luoghi come Ponte Galeria sono totalmente disumani. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi”, afferma la garante dei detenuti di Roma, Valentina Calderone.
    Anche il carcere italiano vive una drammatica emergenza: dall’inizio dell’anno quasi uno ogni due giorni i suicidi.
    “Si può e talvolta si deve ricorrere alle misure alternative”, ha detto il ministro Carlo Nordio, sottolineando la necessità di incidere sulla carcerazione preventiva.
    Un sistema da ripensare
    Le morti di Ponte Galeria e delle carceri italiane sono un monito: il sistema di accoglienza e di detenzione va ripensato radicalmente. Non si può continuare a ignorare la sofferenza e la disperazione di chi si trova ai margini della società.
    Il giovane suicida di Ponte Galeria era arrivato da pochi giorni dal Centro di Trapani. Venerdì era stato visto disperato da alcuni operatori. Piangeva, riferiva che voleva tornare nel suo Paese perché aveva lì due fratelli piccoli di cui occuparsi. LEGGI TUTTO

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    Catania, il drammatico racconto della 13enne stuprata in villa col fidanzato costretto a guardare

    La storia di un pomeriggio terribile a Catania inizia con una ragazza di 13 anni che è stata vittima di una violenza sessuale di gruppo.
    La  violenza si è consumata il 30 gennaio, intorno alle 19,30, a Villa Bellini, nel centro di Catania. Gli autori dell’aggressione sono sette giovani egiziani, quattro maggiorenni e tre minorenni, con un’età compresa tra i 15 e i 19 anni.
    La giovane racconta di essere stata accerchiata mentre faceva una passeggiata tranquilla con il suo fidanzato di 17 anni nella villa. Sono stati condotti nei bagni della villa, dove è stato perpetrato l’atto di violenza sessuale di gruppo.
    Il fidanzato è stato sequestrato e costretto a guardare mentre lei veniva violentata. Fortunatamente, la coppia è riuscita a fuggire e a chiedere aiuto in strada.
    L’indagine è stata avviata immediatamente e in poche ore i carabinieri hanno identificato e fermato i presunti aggressori. Alcuni passanti hanno prestato soccorso alle vittime e chiamato il 112. Un provvedimento di fermo è stato emesso dalla procura per tutti i sospettati.
    I presunti autori dell’aggressione, ospiti di una comunità da circa un anno, si trovano sul territorio nazionale a causa dell’ingresso in Italia da minorenni. Il settimo fermato, uno dei minorenni, si era allontanato dalla comunità, ma è stato poi rintracciato dalla polizia.
    Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è espressa sulla vicenda, promettendo sostegno alle vittime e giustizia per l’accaduto. Monsignor Renna ha paragonato la violenza subita dalla tredicenne a quella subita dalla patrona della città, Sant’Agata.
    Secondo il magistrato che ha coordinato l’inchiesta, la normativa sul codice rosso dovrebbe essere snellita per evitare rallentamenti nelle indagini vere. Attualmente, i sette giovani sono accusati di violenza sessuale di gruppo e gli avvocati d’ufficio hanno rinunciato al mandato. Ci sono anche prove scientifiche contro gli indagati, tra cui tracce biologiche rilevate sul luogo dell’aggressione. LEGGI TUTTO

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    Da Napoli a Pistoia per truffare anziani: arrestato 25enne

    25enne napoletano arrestato dalla squadra mobile di Pistoia per truffa aggravata ai danni di persone anziane, fingendosi maresciallo dei carabinieri.
    Il giovane avrebbe telefonato a una donna di 70 anni di Pistoia, dicendole che il fratello aveva causato un grave incidente investendo due persone sulle strisce pedonali. Avrebbe chiesto denaro in cambio della libertà del fratello, convincendo la vittima a consegnare una busta con 8.500 euro a un complice.
    Dopo aver preso i soldi, il truffatore è stato fermato e arrestato mentre stava cercando di fuggire in treno per Napoli, nascondendo il denaro nelle mutande. È stato portato in carcere in attesa dell’udienza di convalida su disposizione del pubblico ministero.
    L’arresto è avvenuto grazie all’intervento tempestivo della polizia, che ha ricevuto la segnalazione della truffa e ha fermato il truffatore prima della sua fuga. La vittima, una donna anziana, è stata ingannata dal giovane che si è spacciato per un maresciallo dei carabinieri, sfruttando la sua buona fede e generosità.
    La pronta azione della polizia ha permesso di fermare il truffatore prima che riuscisse a fuggire e di garantire che risponda delle sue azioni davanti alla legge. LEGGI TUTTO

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    Flavia Borzone: la presunta sorella napoletana di Elettra Lamborghini

    Flavia Borzone è una napoletana di 35 anni, professione estetista, coinvolta in una complessa diatriba legale che la contrappone alla famiglia di Tonino Lamborghini, figlio del fondatore dell’azienda automobilistica di lusso omonima.La situazione è molto delicata e complessa, in quanto sono aperti tre procedimenti giudiziari, due civili e uno penale, che vedono contrapposti Tonino Lamborghini e la sua famiglia da un lato, e Flavia Borzone e sua madre Rosalba Colosimo, difese dagli avvocati Sergio Culiersi, Gian Maria Romanello e Carlo Zauli, dall’altro.
    Flavia Borzone – come racconta Fanpage-ha sostenuto di essere la figlia di Tonino Lamborghini e, di conseguenza, la sorellastra della showgirl, cantante e modella Elettra Lamborghini.
     Tonino Lamborghini l’ha querelata per diffamazione
    Questa affermazione è stata fortemente contestata da Tonino Lamborghini, che ha addirittura presentato denuncia-querela per diffamazione nei confronti di Flavia e di sua madre per le dichiarazioni rilasciate in diverse interviste e ospitate televisive. La situazione ha generato un grande clamore mediatico e ha portato, inoltre, alla sospensione temporanea della professione di estetista di Flavia Borzone.
    La vicenda si è complicata ulteriormente quando durante l’udienza del processo per diffamazione, è emerso che un investigatore privato avrebbe prelevato una cannuccia da un frullato bevuto da Elettra Lamborghini e fatto analizzare il materiale genetico contenuto nella saliva in un laboratorio specializzato.
    I risultati avrebbero indicato che Flavia Borzone ed Elettra Lamborghini avrebbero una mezza sorellanza unilaterale, ma questi elementi non sono ancora stati prodotti in giudizio nel processo penale.
     Flavia Borzone è stata querelata anche da Elettra Lamborghini
    Il caso è ulteriormente complicato da altri due procedimenti civili: uno relativo alla dichiarazione di disconoscimento di paternità di Flavia Borzone nei confronti del padre, avviato tra il 2019 e il 2020, e un altro per diffamazione intentato da Lamborghini nei confronti di Flavia e sua madre. Inoltre, c’è anche un processo penale in corso che riguarda sempre la diffamazione.
    Gli avvocati di Tonino Lamborghini hanno sottolineato che il Dna raccolto in modo illegale non può essere utilizzato e che la sede deputata per un simile accertamento è la causa civile. La vicenda giudiziaria è ancora in corso, con udienze fissate per il futuro, e Flavia Borzone e sua madre attendono che emerga la verità. LEGGI TUTTO

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    Neonato in carcere a Torino con la mamma: chiesto l’intervento di Nordio

    Un neonato di un mese è stato portato in carcere a Torino insieme a sua madre, una giovane romena. La situazione è stata scoperta dal deputato di Avs, Marco Grimaldi, che ha richiesto l’intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. La madre del bambino è spaventata e non ha ancora avuto accesso a un avvocato.
    La notizia ha suscitato preoccupazione e richieste di intervento da parte dei politici, poiché il neonato si trova in attesa che un giudice si pronunci sulla sua sorte e su quella della madre. La situazione solleva dubbi sulle condizioni in cui si trova il bambino e sulla giustezza della sua permanenza in carcere.
    La vicenda ha sollevato polemiche e indignazione per la delicatezza del caso e per il fatto che il neonato si trovi in carcere, senza protezione e assistenza adeguate. La richiesta di intervento del ministro della Giustizia è stata avanzata al fine di garantire il rispetto dei diritti della madre e del bambino, nonché per trovare una soluzione urgente alla situazione.
    Ieri sulla vicenda è intervenuta anche la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani.”Il ministro Nordio dica se è vera la notizia che un bambino di un mese sia in carcere con la mamma. Mi auguro davvero non sia così. Diversamente chiedo al ministro di intervenire immediatamente perché la mamma e il bambino escano dal carcere”.  LEGGI TUTTO

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    Lecce, testa di capretto insanguinata davanti a casa della giudice

    Un grave atto intimidatorio è stato compiuto nei confronti della giudice leccese Maria Francesca Romano.
    Nella notte tra giovedì e venerdì, la magistrata ha trovato davanti alla porta di casa una testa di capretto insanguinata, infilzata con un coltello da macellaio.Accanto alla testa era stato lasciato un biglietto con la scritta “Così”.
    La giudice Romano è sotto scorta da alcuni mesi dopo aver ricevuto alcune lettere minatorie.Le intimidazioni sarebbero legate alle indagini che hanno portato all’operazione antimafia con cui lo scorso 17 luglio furono arrestate 22 persone del clan Lamendola-Cantanna ritenuto organico alla Scu.
    Insieme alla giudice Romano è finita sotto scorta per le minacce ricevute anche la titolare dell’inchiesta, la pm Carmen Ruggiero.Sull’accaduto indaga la squadra mobile. LEGGI TUTTO

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    Milano, neonato abbandonato con un biglietto: “Sua mamma è morta di parto, io non posso occuparmene”

    Un neonato di circa un mese è stato trovato questo pomeriggio nell’androne di un palazzo di via degli Apuli, a Milano. Il piccolo era avvolto in una coperta e accanto a lui c’era un biglietto scritto in arabo che recitava: “Sua mamma è morta, lascio il bambino da voi. Io abito qui vicino ma non mi conoscete”.
    A dare l’allarme è stato un inquilino del palazzo, Gamal Ghobrial, un egiziano di 53 anni, che si è trovato il fagotto davanti alla porta di casa. “Appena uscito dalla porta ho trovato il bambino. Era calmissimo, non piangeva”, ha raccontato l’uomo.
    Sul posto sono intervenuti i carabinieri e il 118, che hanno trasferito il neonato in ospedale per i controlli. Il piccolo è stato trasportato in codice giallo al pronto soccorso della clinica De Marchi di Milano, dove è arrivato attorno alle 17.40. Dai primi controlli le sue condizioni sembrano stabili.
    I carabinieri stanno ora indagando per cercare di risalire ai genitori del bambino. Le indagini si concentrano sul biglietto scritto in arabo, che potrebbe fornire un indizio importante per identificare la madre.
    L’abbandono di un neonato è un reato grave, punito con la reclusione da 6 a 12 anni. In Italia, però, esiste la possibilità di lasciare il proprio figlio in ospedale in modo anonimo, attraverso la “culla per la vita”. Si tratta di un dispositivo sicuro e riservato che permette alle madri di consegnare il proprio bambino in modo sicuro, senza essere identificate. LEGGI TUTTO

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    L’INCONTRO Al Quirinale c’è l’Italia della Davis. E Mattarella: “Complimenti per la vostra coesione&#…

    Altra giornata memorabile per il tennis italiano, con la squadra azzurra, vincitrice della Coppa Davis a Malaga, che ha avuto l’onore di incontrare oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale. L’emozione e i complimenti del Capo dello Stato sono stati il momento culminante di un incontro molto atteso, con numerosi tifosi e appassionati che attendevano gli azzurri fuori dal Quirinale, dando un caloroso benvenuto ai protagonisti, tra cui Jannik Sinner e Matteo Berrettini.La vittoria della Coppa Davis lo scorso novembre, che ha riportato in Italia l’insalatiera d’argento dopo 47 anni, non è passata inosservata. L’incontro con il presidente Mattarella era stato annunciato subito dopo il trionfo azzurro e è stato programmato per riunire tutti i protagonisti. Nel frattempo, il tennis italiano ha continuato a stupire grazie a Jannik Sinner, che ha ottenuto la vittoria all’Australian Open, conquistando il primo trofeo Slam a Melbourne in singolare dopo 48 anni d’attesa.
    Nel corso dell’incontro al Quirinale, oltre agli azzurri schierati, tra cui Jannik Sinner, Lorenzo Sonego, Lorenzo Musetti, Matteo Arnaldi e Simone Bolelli con il capitano Filippo Volandri, erano presenti anche Andrea Vavassori e Matteo Berrettini. Tutti gli atleti, elegantissimi e visibilmente emozionati, hanno condiviso il momento con il presidente Mattarella.
    All’interno dei saloni del Quirinale, si sono uniti alla celebrazione anche il Ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi, il Presidente del Coni Malagò e il presidente della Fitp Angelo Binaghi. Quest’ultimo ha sottolineato come questa giornata emozionante possa diventare una splendida consuetudine nei prossimi anni. Tra i presenti c’erano anche Nicola Pietrangeli, il segretario generale Carlo Mornati e una corposa delegazione di membri della Federtennis e padel.
    Successivamente, è stato il turno di un emozionatissimo Jannik Sinner, che ha dichiarato: “È un grande onore essere qui, parlo non solo per me ma per tutta la squadra. Siamo ragazzi normali che, grazie anche al Capitano, sono riusciti a fare una cosa molto bella ed importante per questa nazione. La cosa importante però non è stata solo vincere, ma quella di capirci e di sentirci liberi in campo. Questa Coppa ci ha dato tante emozioni… Quest’anno ci sono le Olimpiadi: ognuno di noi proverà a fare del suo meglio anche lì. Il futuro non si può controllare ma speriamo che vada bene”, ha concluso il vincitore dell’Australian Open. LEGGI TUTTO