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Marcianise, l’ex sindaco Velardi di nuovo davanti al gip
Nuova udienza preliminare per l’ex sindaco di Marcianise, Antonello Velardi, che dovrà comparire il 26 gennaio 2023 davanti al Gup di Santa Maria Capua Vetere Giovanni Mercone per difendersi dalle accuse di falso ideologico e materiale finalizzati alla truffa aggravata perché commessa ai danni di un ente pubblico (il Comune).
Velardi era già comparso davanti al giudice per l’udienza preliminare nei mesi scorsi, ma il sei ottobre la sua posizione era stata stralciata rispetto a quella del coimputato Onofrio Tartaglione (ex segretario comunale di Marcianise), che era stato invece rinviato a giudizio per gli stessi reati di Velardi.
Il gup aveva preso atto che al difensore di Velardi non era stato notificato l’avviso di conclusione indagini, e così si è tornati alla fase precedente, con la Procura che ha dovuto notificare un nuovo avviso di chiusura dell’inchiesta e il gup che ha fissato una seconda udienza preliminare solo per Velardi.
I fatti sono relativi al primo mandato da sindaco di Velardi (2016-2019), e riguardano i permessi retribuiti, pari a circa 15mila euro, che Velardi ha ricevuto dal Comune per essersi assentato dal quotidiano Il Mattino, di cui in quel periodo era caporedattore centrale; Velardi è stato poi licenziato per giusta causa dal quotidiano napoletano nel novembre 2020. Per la Procura – sostituto Gerardina Cozzolino – i permessi di cui Velardi avrebbe usufruito attesterebbero fatti non veri, cioè che Velardi era presente in giunta per cui non poteva recarsi al quotidiano.
Per l’ufficio inquirente, Velardi non avrebbe preso parte alle riunioni dell’esecutivo oggetto dell’indagine, e inoltre per il pm sarebbero state falsificate dal segretario comunale Onofrio Tartaglione le delibere successive alle riunioni di giunta che davano atto della presenza di Velardi. All’udienza preliminare si è costituito come parte civile il Comune di Marcianise.Continua a leggere LEGGI TUTTO
Ex Miss Campania morta in vacanza: processo al marito e coppia di amici
Il gip del Tribunale di Vibo Valentia ha rinviato a giudizio con l’accusa di Paolo Foresta, il 36enne napoletano accusato di omicidio preterintenzionale per la morte della moglie, Annamaria Sorrentino, 29enne di Melito ex Miss Campania.
La donna, nell’estate 2019, aveva 29 anni, precipitò dal balcone dell’appartamento del villaggio turistico di Parghelia, in Calabria, dove stava trascorrendo un periodo di vacanza insieme a una coppia di amici e al marito.
Il Tribunale di Vibo ha stabilito il processo anche per la coppia di amici, Gaetano Ciccarelli e Francesca nero accusati di favoreggiamento.
“Non l’ho uccisa io. Io ero innamorato di mia moglie e di certo la sua morte ha provocato un immenso dolore nel mio cuore. Attualmente soffro di depressione”.
“In questi anni – afferma Foresta – sono stato massacrato da tutta Italia. Sono stato descritto come un mostro che ovviamente non sono. Ho partecipato a molte trasmissioni televisive con l’intento di raccontare come fossero andate davvero le cose. Con mille difficoltà, ho sempre cercato di spiegarmi ma essendo sordomuto non sono mai stato capito del tutto.
Per chi vive questa disabilità risulta difficoltoso esprimere con chiarezza tutto quello che si pensa e si vuole dire. È vero, io e Annamaria litigavamo come normalmente accade tra marito e moglie quando qualcosa non va. Sfido chiunque a dire che con il proprio partner non abbia litigato”.Continua a leggere LEGGI TUTTO
La storia di Maria Tino, uccisa dall’uomo che la salvò dalla furia dell’ex marito
Tre colpi di pistola, poi la fine. Maria Tino è morta per mano dell’uomo che diceva di amarla, e che appena un anno prima la salvò dall’ex marito.
È una storia di speranze disattese finite nel sangue, di un amore che si è tradotto in un incubo senza via d’uscita. Maria Tino è morta all’età di 49 anni, uccisa senza pietà su una panchina nella piazza di Dragoni (Caserta). A sparare è stato il suo compagno, Massimo Bianchi, condannato a 19 anni di carcere all’esito del primo grado di giudizio. Lui, che un anno prima dell’omicidio l’aveva salvata dalla furia dell’ex marito, le era sembrato un angelo che l’avrebbe fatta rinascere. Invece, era solo l’inizio del suo inferno.
La storia di Maria Tino
Maria Tino era originaria di Dragoni, un piccolo centro dell’Alto Casertano, dove la sua esistenza sarebbe finita nel più tragico degli epiloghi. Miracolata, forse, o semplicemente sopravvissuta per caso alla violenza dell’ex marito, Angelo Gabriele Ruggiero. È lui che, il 18 agosto 2016, ha cercato di ucciderla con 25 coltellate.Un tentato femminicidio al quale è riuscita a scampare rifugiandosi tra le braccia del suo salvatore, Massimo Bianchi. Ma la storia, a questo punto, assume i contorni di una incredibile sequenza di orrori.
Maria Tino faceva la sarta per arrotondare lo stipendio dei lavori socialmente utili svolti al Comune. Una donna senza grilli per la testa, dolce e sensibile, alla ricerca di una serenità emotiva che non arriverà mai. Era madre di due figli, con i quali conduceva un’esistenza senza troppe pretese, nel tentativo di lasciarsi alle spalle un delicato passato familiare.Fonte foto: https://pixabay.com/it/photos/rose-sulla-panchina-756950/
Chi è l’ex marito di Maria Tino?
Maria Tino aveva sposato Angelo Gabriele Ruggiero, padre dei suoi figli (un maschio e una femmina) che si sarebbe rivelato il regista di una violenza inaudita. Il 18 agosto 2016, accecato dalla gelosia dopo aver sentito una telefonata tra l’ex moglie e Massimo Bianchi, l’uomo l’ha raggiunta in casa colpendola con una serie di fendenti (25, diranno le carte dell’inchiesta) che avrebbero potuto ucciderla.
Dall’altro capo del telefono, il nuovo compagno di lei ha assistito all’agguato in diretta. Una coincidenza che ha trasformato Bianchi nel salvatore di Maria Tino. L’uomo ha chiamato i soccorsi, cui è seguito un ricovero di circa 40 giorni e il ritorno alla vita.
Il dramma di Maria Tino affonda le sue radici in un tessuto di violenze domestiche ormai insostenibili, culminato nella brutale aggressione che ha visto l’ex marito condannato a 8 anni e 4 mesi di carcere per tentato omicidio.
La dinamica ricostruita dagli inquirenti è agghiacciante. Secondo quanto emerso in sede di indagine, Ruggiero era solito appostarsi sotto quella casa di Roccaromana dove la sua ex aveva deciso di rifarsi una vita senza di lui. Quel 18 agosto si sarebbe arrampicato su una grondaia per entrare nell’appartamento, avventarsi sulla donna e sferrarle 25 colpi con un coltellino svizzero.
Esattamente 11 mesi più tardi, Maria Tino non sarebbe riuscita a sfuggire al suo secondo appuntamento con la morte.
L’omicidio di Maria Tino a Dragoni
Massimo Bianchi era l’uomo perfetto con cui rinascere dalle ceneri di un amore malato, maltrattato, distrutto. È con lui che Maria Tino aveva ritrovato il sorriso dopo la difficile separazione dal marito, ed è per lui che aveva subito la brutale aggressione del 2016.
Ruggiero sapeva del loro rapporto e per questo aveva cercato vendetta accoltellandola. Maria Tino si era salvata, certo, ma non sapeva ancora che la sua nuova strada portava dritta all’inferno.
Il nuovo compagno, dipendente della Comunità Montana di Monte Maggiore, si sarebbe rivelato morbosamente geloso. Proprio come l’ex marito, da cui lei aveva cercato riparo. Maria Tino ha deciso di lasciare anche lui, che in realtà non si sarebbe rassegnato a incassare la sconfitta sentimentale.
Il 13 luglio 2017 lei è stata uccisa in pieno centro a Dragoni. Un delitto il cui movente è da ricercare proprio nella cieca gelosia dell’assassino. Massimo Bianchi le avrebbe dato appuntamento in piazza per un ultimo chiarimento, prima dell’addio.
Ma la vita di Maria Tino si è spenta su una panchina. Fatali i 3 colpi di pistola al petto, sparati con una calibro 7.65 legalmente detenuta dal Bianchi ma con il porto d’armi scaduto da anni.
“Sono stato io, mi voleva lasciare“, avrebbe detto lui ai Carabinieri giunti poco dopo sulla scena del crimine. L’arma poggiata sul selciato. La vittima, accasciata su quella inaspettata trappola di ferro battuto e legno, ormai senza speranza di salvezza.
Per l’omicidio di Maria Tino, Massimo Bianchi è stato condannato in primo grado a 19 anni di reclusione, con la formula del rito abbreviato.
Fonte foto: https://pixabay.com/it/photos/rose-sulla-panchina-756950/ LEGGI TUTTOQatargate, rinviata udienza per l’estradizione Andrea Cozzolino
E’ rinviato al 28 febbraio il braccio di ferro che gli avvocati dell’europarlamentare Andrea Cozzolino, indagato nell’ambito del cosiddetto Qatargate, hanno intrapreso con la procura federale belga.Ieri, davanti alla sezione misure di prevenzione della Corte di Appello di Napoli, l’europarlamentare accusato di corruzione nell’ambito del Qatargate si è presentato insieme con i suoi due legali, gli avvocati Dezio Ferraro e Federico Conte, che hanno chiesto ai magistrati Gabriella Gallucci, Furio Cioffi e Rosa Maria Caturano un’integrazione probatoria, la traduzione in italiano degli atti e una verifica sull’idoneità delle strutture carcerarie presenti del Belgio.
Cozzolino, arrivato e andato via con discrezione, non ha rilasciato alcuna dichiarazione ai giudici. I suoi avvocati, sollecitati dai giornalisti al termine dell’udienza, hanno fatto sapere che però ha intenzione di parlare alla prossima udienza.
Secondo Ferraro e Conte, dalla documentazione in loro possesso non è possibile comprendere quali sìano gli elementi a fondamento del mandato di arresto di europeo: “Si tratta – sostengono – di un racconto sintetico in cui i pagamenti vengono solo evocati. Sembra piuttosto una normalissima attività di interlocuzione tra parlamentari europei, su questioni di voto e di opinione”.
Estradizione Andrea Cozzolino si decide il 28 febbraio
Condotte, in sostanza, “non censurabili”. L’integrazione chiesta, quindi, è finalizzata a capire “dov’è l’aggancio tra un’attività pacificamente lecita e non censurabile e una condotta criminale”.
Altra questione calda è, nell’eventualità che l’estradizione venga concessa, capire se esistono in Belgio strutture penitenziarie capaci di accogliere Andrea Cozzolino, in cura per problemi di carattere cardiaco.
“C’è una patologia da tenere presente, che è evidente ed è agli atti – hanno detto gli avvocati – e in relazione a questa circostanza la struttura carceraria dovrà essere capace di garantire un trattamento individualizzato, tenuto conto che si tratta del portatore di una patologia cardiaca documentata”.
Consegnato ai giudici un documento del Consiglio d’Europa risalente al 2022 dal quale, riferiscono, si evince che le carceri del Belgio sono afflitte “da sovraffollamento e frequenti gli episodi di violenza tra detenuti”. Secondo quanto riferito dai due avvocati, la Procura generale, rappresentata dal magistrato Paola Correro, ha condiviso le loro scelte “finalizzate – hanno concluso – a garantire una difesa equa e giusta, come previsto dalla Costituzione”. LEGGI TUTTOParcheggiatore ucciso a Bagnoli, il boss pentito: “Errore dei killer ubriachi”
L’omicidio del parcheggiatore abusivo Gaetano Arrigo, ucciso nella zona di Coroglio, nel quartiere di Bagnoli, nel giugno del 2016, fu un errore dei killer.
Non era stato pianificato dal clan D’Ausilio ma sarebbe stato frutto di un errore dei killer “Forse erano ubriachi o drogati”. Lo ha dichiarato l’ex reggente del clan, ora collaboratore di giustizia, Felice D’Ausilio ascoltato oggi dai giudici della quinta Corte di Assise nell’ambito del processo che vede imputati, a Napoli, il fratello Antonio, e altri presunti affiliati del clan di camorra operante da anni nella zona di Bagnoli.
Non vi fu quindi alcuna pianificazione da parte della cosca. Ma per mettere le mani sul business dei parcheggi in una della zone maggiormente frequentate dalla movida di Napoli bisogna dare un segnale a tutti e per questo che il parcheggiatore ribelle andava punito con una gambizzazione. Ma i sicari lo uccisero.
Parcheggiatore ucciso a Bagnoli per il pentito fu un errore
Felice D’Ausilio è il figlio dello storico capo clan Domenico, detto “Minì o sfregiato”. Il collaboratore di giustizia nel 2016 grazie a un permesso, riuscì a fuggire mentre era detenuto in Sardegna. Durante la latitanza, secondo gli inquirenti, avrebbe cercato di dare impulso al clan, ponendosi nella posizione di vertice. Venne catturato dai Carabinieri nel dicembre del 2016: era fuggito, il mese di maggio di quello stesso anno.
I militari lo scovarono in un’abitazione di Marano di Napoli e anche in quell’occasione tentò di fuggire, da una finestra, me venne bloccato poco dopo, anche grazie a un elicottero che teneva sotto controllo la zona. LEGGI TUTTO
CRONACA NERA
Arrestato per maltrattamenti in famiglia e resistenza ai carabinieri, 23enne subito libero
Citati in giudizio per aver dato notizia di una sentenza: “Modo di intimorire giornalisti”
Maltrattamenti in famiglia, assolto perché il fatto non sussiste
“Tiberio 2”: assoluzioni, prescrizioni e tre rinvii a giudizio per corruzione