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    Napoli: il Csm elegge Aldo Policastro nuovo procuratore generale

    Il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha designato il nuovo procuratore generale presso la Corte di Appello di Napoli: a maggioranza e’ stato eletto Aldo Policastro, che attualmente ricopriva la carica di procuratore della Repubblica di Benevento.PUBBLICITA

    A lui sono andati 16 voti, contro gli undici voti in favore di Antonio Balsamo. Due gli astenuti. Il posto di procuratore generale era vacante dal luglio 2023 quando Luigi Riello ando’ in pensione.

    Leggi AncheCollaboratore di lunga data di Cronache della CampaniaDa sempre attento osservatore della società e degli eventi.Segue la cronaca nera. Ha collaborato con diverse redazioni. LEGGI TUTTO

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    Traffico di droga con il clan del Parco Verde di Caivano: assolto Luigi Centonze

    La Prima Sezione Penale del Tribunale di Napoli Nord, in composizione collegiale, accogliendo le tesi dell’ avvocato Vittorio Fucci, ha assolto Luigi Centonze, 42 anni di Airola, imputato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico ed aggravata dal metodo mafioso poiché finalizzata ad agevolare il Clan Sautto-Ciccarelli del Parco Verde di Caivano.PUBBLICITA

    Centonze nel 2021 era stato destinatario del provvedimento cautelare, emesso dal GIP presso il Tribunale di Napoli, Dott. Marco Giordano, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, perché coinvolto in un procedimento di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico relativo a centinaia e centinaia di chili di droga, con l’ aggravante del metodo mafioso.Le ordinanze di custodia cautelare erano state emesse a carico di Centonze ed altri 50 indagati, ritenuti vicini al Clan Sautto- Ciccarelli, egemone del Parco Verde di Caivano, che oggi è considerato la prima piazza di spaccio d’ Europa.

    Le indagini si fondavano su intercettazioni telefoniche ed ambientali, su dichiarazioni di diversi pentiti e sull’ apposizione di trojan sui telefoni dei vari indagati. Il Tribunale di Napoli Nord, oggi, accogliendo la tesi dell’avvocato Vittorio Fucci, ha assolto Luigi Centonze.
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    Castellammare, legami coi Casalesi: sequestro beni ad Adolfo Greco

    I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli hanno eseguito un provvedimento di sequestro emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli, su proposta della DDA partenopea, nei confronti di Adolfo Greco, un imprenditore 74enne di Castellammare di Stabia, attualmente imputato dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per concorso esterno nel clan dei Casalesi.PUBBLICITA

    Secondo quanto ricostruito durante le indagini coordinate dalla DDA di Napoli, Greco avrebbe fornito un contributo concreto al clan camorristico, inducendo gli organi di amministrazione di una società del settore lattiero-caseario a revocare la concessione per la distribuzione esclusiva dei propri prodotti nella provincia di Caserta a un’impresa collegata al clan dei Casalesi, fazione Zagaria (già confiscata in sede di prevenzione), e assegnando una nuova concessione a una società neo costituita, interamente controllata dal clan.

    In un separato procedimento penale, il 74enne aveva subito il sequestro di un’ingente somma di denaro contante, oltre 2,7 milioni di euro, trovata nella sua abitazione in un’intercapedine ricavata tra il muro e un armadio in legno.
    Interrogato, Greco aveva attribuito l’origine del denaro in parte ai risparmi accumulati negli anni e in parte ad attività di evasione fiscale. Gli approfondimenti economico-patrimoniali eseguiti in sede di prevenzione hanno rivelato una sproporzione tra la somma, ritenuta frutto di attività illecite, e i redditi dichiarati da Greco e dal suo nucleo familiare negli anni dal 2003 al 2017.

    Da qui il sequestro di prevenzione dell’intero importo già sottoposto a vincolo nel processo penale.
     Greco, meglio noto come “il re del latte” il tre giugno scorso era stato assolto con formula piena nel processo di appello scaturito dall’inchiesta Olimpo, per presunti legami con tutti i clna della zona di Castellammare diStabia, in cui era stato arrestato e condannato in primo grado a 8 anni di carcere.
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    Camorra, riciclaggio per i Contini: a giudizio i presunti imprenditori del clan

    Colpo di scena al processo stralcio al gruppo imprenditoriale che avrebbe riciclato i proventi illeciti del clan Contini e dell’Alleanza di Secondogliano.PUBBLICITA

    Nell’ultima udienza preliminare svoltasi davanti al gup Nicola Marrone sono state accolte le richieste dei difensori e sono state dichiarate inutilizzabili tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali, e di altre attività investigative svolte dagli investigatori della Direzione Distrettuale Antimafia.

    Punti Chiave ArticoloMa no solo perché è stato anche definito il proscioglimento e  la prescrizione di molti reati contestati in ben dieci capi di imputazione concernente la posizione di alcuni imputati.Tutti però sono stati rinviati a giudizio, con processo che inizierà dinanzi al Collegio del Tribunale penale di Napoli in data 28 ottobre 2024. In questo processo stralcio figurano gli imprenditori Antonio Festa e il figlio Gennaro (difesi dall’avvocato Arturo Cola),  il noto imprenditore Salvatore D’Amelio patron dei marchi di abbigliamento Minimal e Drop List (difeso dagli avvocati Giacomo Manzi e Artuo Cola), Michele Tecchia (difeso dagli avvocati Giovanni Cerino e Vincenzo Romano), Carline D’Aria (difeso dall’ avvocato Domenico Vincenzo Ferraro), l’imprenditrice toscana Rosalba Chieli (difesa dall’avvocato Gianluca Gambogi del foro di Firenze) e infine Giuseppe Illiano (difeso dagli avvocati Claudio D’Avino e Massimo Viscusi).
    In fase cautelare, la Cassazione ha annullato con rinvio a nuove sezioni del riesame le posizioni dei due Festa padre e figlio e di Illiano. Il patteggiamento richiesto per Michele Tecchia è stato rigettato e la posizione stralciata e gli atti sono stati trasmessi al Presidente del Tribunale per l’assegnazione ad un nuovo giudice. Gli avvocati difensori nelle due ultime udienze avevano sollevato corpose questioni giuridiche processuali circa l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre che di alcune attività portate avanti dalla Procura partenopea, dal 2018 in poi.
    Tutte accolte dal gup che ha rinviato a giudizio gli imputati ma con un carico di accuse certamente molto meno pesanti della fase preliminare. Attività investigative che secondo i difensori sarebbero state svolte oltre il termine consentito dalla nuova Riforma Cartabia per l’esercizio dell’azione penale nelle indagini preliminari in caso di richiesta di proroga, come anche già stabilito dal GIP per alcune intercettazioni ed attività svolte oltre il termine consentito dalla legge in sede di richiesta di proroga delle indagini da parte della Direzione Distrettuale Antimafia.  Il tentato omicidio dell’intermediario Salvatore Cassese Ora però con il rinvio a giudizio il processo dal 28 ottobre entra nel vivo. In questo filone dell’inchiesta vi è anche la  detenzione e traffico di armi da fuoco e l’estorsione all’intermediario Salvatore Cassese (che figura come parte lesa), ex dell’arma dei carabinieri che secondo la Procura è stato destinatario di estorsioni da uomini del clan, minacciato, picchiato e accoltellato per un investimento andato male con i Festa ed e altri esponenti del clan, antecedentemente all’epoca covid, con intermediari cinesi. Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Autovelox, la Cassazione dà ragione a Sonnino: “Pronuncia importante per tutti i Comuni”

    “Siamo lieti di annunciare che il Comune di Sonnino ha ottenuto un risultato straordinario con una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione. Per la prima volta, la Cassazione si è espressa in merito alla segnaletica utilizzata nel controllo della velocità media grazie al ricorso presentato dal Comune di Sonnino“. Lo rende noto Gianni Celani, […] LEGGI TUTTO

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    Camorra, ergastolo per i boss di Pozzuoli e Quarto

    La Corte di Assise d’Appello ha nuovamente ribaltato la decisione condannando all’ ergastolo  i quattro boss di Pozzuoli e Quarto.PUBBLICITA

    La sentenza è stata emessa ieri dalla V sezione – presidente Ginevra Abbamondi, con Amalia Taddeo come giudice a latere – nei confronti di Gennaro Longobardi, Gaetano Beneduce, Salvatore Cerrone detto “o biondo” e Nicola Palumbo “faccia abbuffata” per il duplice omicidio avvenuto 27 anni fa dei boss del Rione Toiano Domenico Sebastiano detto “Mimì cap e mort” e Raffaele Bellofiore “o biondo”.

    Punti Chiave ArticoloIl tortuoso iter giudiziario I quattro boss erano stati inizialmente condannati all’ergastolo sia in primo che in secondo grado, ma le sentenze erano state annullate dalla Cassazione a causa della caduta delle testimonianze dei pentiti. Nei mesi scorsi il caso è tornato in Appello, con la Procura Generale che nel frattempo aveva ascoltato due nuovi pentiti del clan Polverino: Giuseppe Ruggiero, detto “Geppino Ceppa ‘e fung” e Giuseppe Simioli.
    Il primo avrebbe partecipato personalmente ai preparativi e accompagnato il furgone nel Rione Toiano, per poi trasportare con un’auto i killer a Marano, insieme al fratello Castrese e a Simioli. Il supporto sarebbe stato fornito in virtù degli accordi tra i Polverino e il clan Longobardi-Beneduce, che all’epoca aveva i due boss latitanti proprio a Marano. L’agguato il 19 giugno del 1997 Il duplice omicidio si è svolto il 19 giugno 1997 quando un furgone, poi risultato rubato a Gaeta, scortato da alcune auto, entrò nel Rione Toiano, allora roccaforte del boss Salvatore Bellofiore. Nel veicolo viaggiavano almeno quattro persone, tutte incappucciate e armate di fucili da guerra, tra cui si ritiene ci fossero i quattro boss, mandanti ed esecutori del delitto. Sul posto c’era anche uno “specchiettista”, che aveva il compito di avvisare il commando dell’arrivo delle vittime designate. Bellofiore e Sebastiano furono inseguiti e uccisi tra i giardinetti e i palazzi popolari noti come “carrarmati”.
    Tre dei quattro boss sono già in carcere Attualmente, tre dei quattro boss sono detenuti, due dei quali in regime di carcere duro: Gaetano Beneduce, sottoposto al 41 bis a Spoleto, e Nicola Palumbo detto “faccia abbuffata”, rinchiuso nel carcere de L’Aquila; Gennaro Longobardi, invece, non è sottoposto al 41 bis e si trova nel carcere di Terni. Salvatore Cerrone è sottoposto alla misura della casa lavoro nel nord-est d’Italia e sarebbe dovuto rientrare a Quarto a breve. Le difese (Palumbo, Longobardi e Cerrone sono difesi dall’avvocato Domenico De Rosa, mentre Cerrone è rappresentato da Luca Gili) ora attendono le motivazioni della sentenza (previste entro 60 giorni) per presentare un nuovo ricorso in Cassazione. (nella foto da sinistra Gennaro Longobardi, Gaetano Beneduce e Nicola Palumbo) Leggi Anche LEGGI TUTTO

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    Camorra, torna libero Salvatore Liberti sasariello: ras della Masseria Cardone

    Scarcerato un ras del clan Licciardi: è festa alla Masseria Cardone.PUBBLICITA

    Da ieri infatti dopo 15 anni ininterrotti di carcere è tornato in libertà Salvatore Liberti detto sasariello, esponente di primo piano della camorra della Masseria Cardone.

    Il suo ultimo arrestato risale al 2009 quando fu ammanettato a Marano dalla polizia dopo una rocambolesca fuga.
    Era andato al Vomero insieme allo zio a chiedere il pizzo di 5mila euro al titolare di una ditta edile che aveva fatto finta di accettare.

    Ma all’appuntamento fissato per riscuotere i due trovarono la polizia. Lo zio fu arrestato subito mentre Salvatore Liberti riuscì a fuggire. Fu rintracciato dopo alcune ore a Marano.
    Ora sasariello è tornato in libertà avendo scontato per intero la sua condanna. E la camorra della Masseria Cardone da oggi ha di nuovo tra le sue fila un “esperto” criminale.

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    Camorra, il pentito De Rosa: “Ecco come i Licciardi sono andati in aiuto ai Bosti-Contini”

    Il pentito di camorra eccellente Teodoro De Rosa in una recente deposizione davanti ai magistrati della Dda di napoli ha fornito una serie di interessanti chiarimenti in meriti ai rapporti interni all’Alleanza di Secondigliano.PUBBLICITA

    Il suo racconto è contenuto nell’ordinanza cautelare di 480 pagine firmata dal gip Federica Colucci dell’ottava sezione del Tribunale di napoli e con la quale il mese scorso sono finite in carcere 12 persone ovvero i nuovi vertici della cosca dei Bosti-Contini e tra questi Carmine  Botta e il noto Gennaro Manetta detto “Maradona”, il politico della cosca.

    Racconta Teodoro De Rosa: “… usciti Lo Russo e Sacco dalla Alleanza, non con guerre ma con una separazione che negli anni successivi comportava che i nostri rapporti fossero ancora buoni ma certo più freddi e cauti, la alleanza resta tra Mallardo, Contini e Licciardi.
    E il passaggio di alcuni dei Licciardi dalla Masseria ai territori dei clan alleati, cioè a Giugliano per Trambarulo e al Borgo S. Antonio quanto a Cristiano e Ammendola. serviva a rafforzare l’alleanza e i relativi clan garantendo anche a quei territori la presenza di appartenenti al gruppo di fuoco dei Licciardi.

     Questo perché alcuni clan stavano facendo guerra alla Alleanza, come i Mazzarella, e occorreva rinforzarla; ma è anche da dire (per quanto io ricordi poiché certe discussioni avvenivano a casa di mia nonna) che i tre che se ne andarono verso i clan alleati erano anche contenti di farlo perché all ‘interno del clan Licciardi si stavano creando delle frizioni tra i membri del clan appartenenti alla ristretta cerchia familiare (come Gennaro e Pierino Licciardi, spalleggiati dalle loro sorelle) e i loro principali capizona come Cristiano Antonio, Trambarulo e Ammendola poiché a dire della famiglia Licciardi questi loro importanti affiliati non stavano reagendo adeguatamente alle morti che la famiglia Licciardi aveva subito. Aggiungo che coinvolto in questo passaggio fu anche Tonino ‘o Biondo, cioè Muscireno Antonio.

    L’unico fedelissimo rimasto con la famiglia Licciardi fu Giovanni Cesarano, e a San Pietro restò Bombolone. E aggiungo che i Moccia sostennero sin da questo periodo la famiglia Licciardi anche perché c ‘era un rapporto di parentela tra la moglie di Giovanni Cesarano e i Moccia, non so bene il grado di parentela. La donna la conosco, ma non ricordo il nome, forse Assunta”.
    Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Camorra, spaccio a San Pietro a Patierno e Secondigliano: condanne per la famiglia di “Totore Marlboro”

    Salvatore Romano, detto “Totore Marlboro”, capo di una paranza di narcotrafficanti che inondava di droga le strade di San Pietro a Patierno e Secondigliano, è stato condannato a 15 anni di reclusione al termine del processo di primo grado.PUBBLICITA

    Insieme a lui, anche il figlio Daniele Romano (14 anni) e Antonio Russo (10 anni e 6 mesi) hanno ricevuto condanne severe.

    Punti Chiave ArticoloPer le donne del gruppo, la pena è stata più mite: Giuseppina Esposito, moglie di Romano, ha ottenuto 4 anni e 2 mesi grazie all’esclusione dell’accusa associativa (la procura aveva chiesto 19 anni). L’accusa di aver agevolato il clan della Vanella Grassi non è stata accolta per la maggior parte degli imputati.
    Le indagini e il modus operandi Le indagini, coordinate dalla DDA e durate sei mesi, hanno permesso di ricostruire il modus operandi del gruppo, che gestiva un vero e proprio “servizio di delivery” di cocaina.
    Un componente riceveva le ordinazioni telefonicamente, mentre i “rider” si occupavano di recapitare la droga a domicilio, in un’area che comprendeva Secondigliano, San Carlo all’Arena, Vasto, Arenaccia, Poggioreale, Casoria e Casavatore. Si stima che il giro d’affari della piazza di spaccio ammontasse a circa mezzo milione di euro all’anno. Durante le perquisizioni, sono stati sequestrati 15mila euro in contanti a casa di Romano e 5mila al figlio.
    Le condanne Salvatore Romano: 15 anni di reclusioneDaniele Romano: 14 anni di reclusioneAntonio Russo: 10 anni e 6 mesi di reclusioneGiuseppina Esposito: 4 anni e 2 mesi di reclusioneCristofaro Alfano: 10 anni e 6 mesi di reclusione (nella foto da sinistra Salvatore Romano, Giuseppina Esposito, Daniele Romano, Cristoforo Alano e Antonio Russo) Leggi Anche LEGGI TUTTO