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    Napoli, cittadina cinese uccisa all’Arenaccia durante una rapina: preso uomo del clan Contini

    Era presente anche lui la sera del 3 aprile 2011 in via Attanasio all’ Arenaccia quando insieme con due complice prima rapinarono e poi ucciserouna cittadina cinese.E oggi a 12 anni di distanza sono scattate le manette anche per lui, un 32enne, esponente di spicco del clan Contini. Infatti su delega del Procuratore della Repubblica facente funzione di Napoli,  stamattina la Squadra Mobile di Napoli ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di C.P.,.
    L’uomo è ritenuto gravemente indiziato dei reati di concorso in rapina pluriaggravata e concorso in omicidio volontario pluriaggravato.
    La sera del 3 aprile 2011 la cittadina cinese Wu Shufen detta Angela fu rinvenuta priva di vita all’interno della propria abitazione in via Attanasio. L’appartamento si presentava completamente a soqquadro e sul cadavere della donna erano presenti numerose ferite multiple da taglio e da punta.
    La successiva attività d’indagine, coordinata dalla locale Procura della Repubblica, ha consentito di accertare che la vittima era rimasta uccisa dopo aver ricevuto numerosi fendenti in varie parti del corpo, nel tentativo invano di opporsi alla rapina di una somma di denaro di 230 euro.
    Nella circostanza furono individuati quali responsabili Vincenzo Rubino (classe 1992) e  Lucio Di Roberto (classe 1993, minorenne all’epoca dei fatti), entrambi successivamente condannati per questo delitto con sentenze divenute irrevocabili.
    Gli ultimi sviluppi investigativi, che hanno preso le mosse dalle recenti dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, hanno consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza anche a carico di C.P. quale autore materiale in concorso con gli altri due soggetti già condannati di quell’efferato delitto.
    Il coinvolgimento del suddetto, all’epoca ventenne e legato da vincoli di parentela con elementi di spicco del clan Contini, sodalizio di camorra reggente della zona “Vasto-Arenaccia”, non sarebbe mai stato svelato negli anni dagli altri indagati proprio in ragione del clima di omertà determinatosi sulla sua figura per effetto del suo spessore criminale.
    La misura cautelare de quo è stata eseguita in carcere, ove l’indagato è attualmente detenuto per altri reati.

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    L’assassino di Mergellina parla dal carcere: “Mi dispiace per la morte del ragazzo, non l’ho ucciso io

    “Mi dispiace per la morte di quel ragazzo, ma io sono innocente, perché avevo una pistola a salve, qualcun altro ha sparato colpi veri, non io. Ho fornito le indicazioni per ritrovare l’arma che usavo”.
    E’ la versione fornita da Francesco Pio Valda il 20enne di Barra, figlio del defunto boss di Barra,  Ciro Valda, in carcere da 5 giorni per l’omicidio di Mergellina di una settimana fa del 19enne innocente Francesco Pio Maimone.
    Il giovane detenuto, nonostante abbia scelto la comoda soluzione di avvalersi della facoltà di non rispondere davanti al gip del Tribunale di Napoli durante l’interrogatorio di garanzia, sabato scorso si è confidato con il garante dei detenuti Samuele Ciambriello, nel corso di una sua rituale visita nel carcere di Secondigliano.
    Ciambriello ha incontrato alcuni detenuti del reparto Ionio, del polo universitario, altri reclusi di altri dipartimenti. Poi ha incontrato anche Valda, che ha raccontato la sua vita: il padre ucciso dieci anni fa dalla camorra, il rapporto difficile con la madre, brutalizzata quando era incinta.
     L’assassino di Mergellina ha incontrato il garante dei detenuti a Secondigliano
    Ha raccontato infatti parte della storia della sua famiglia già nota: “Mi chiamo Francesco Pio perché sono vivo per miracolo. Mia madre fece un voto a Padre Pio, perché venne gravemente ferita da mio padre mentre era incinta”. 
    Gli investigatori però ritengono che la parte del racconto della pistola a salve sia di pure convenienza visto il revolver 38 special non è stato ritrovato e che nessuno dei testimoni ha parlato di un’altra pistola e infine non c’è traccia delle famose scarpe da mille euro sporcate e che ha fatto scatenare l’inferno a Mergellina una settimana fa che ha portato alla morte dell’innocente Francesco Pio Maimone. Scarpe che non sono state ancora ritrovate.

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    Torre del Greco, prof muore dopo intervento di isterectomia: in arrivo gli avvisi di garanzia

    Sarà l’inchiesta della magistratura a fare luce sulla morte della professoressa Iolanda Gentile, 51 anni di Trecase.
    La donna, insegnante di matematica al Liceo Pitagora-Croce di Torre Annunziata, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di isterectomia presso una clinica privata nella zona di Santa Maria la Bruna a Torre del Greco.
    Le condizioni della donna, madre di quattro figli, erano peggiorate dopo l’operazione, fino a richiedere la necessità di un trasferimento all’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, dove la paziente è deceduta. I familiari hanno allora presentato denuncia, con l’apertura di un fascicolo.
    Gli agenti del commissariato di polizia stabiese, su ordine dei magistrati, hanno sequestrato le cartelle cliniche, mentre la salma della donna è stata sequestrata in attesa dell’effettuazione dell’autopsia.
    La procura diTorre Annunziata è pronta ad inviare gli avvisi di garanzia, come atto dovuto, a tutte gli operatori sanitari che hanno avuto contatti con la donna. Potranno in questo modo far presenziare sia i loro avvocati sia i loro periti medici all’esame autoptico che si svolgerà ad inizio della prossima settimana.
    E solo in quel caso si potranno avere notizie certe sulle cause della morte della prof.

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    Camorra a Scafati, resta libera la figlia del boss Matrone

    Era accusata di essere la contabile del clan Matrone Buonocore di Scafati e per questo la Dda di Salerno ne aveva chiesto l’arresto.
    Filomena Generali, 49 anni, figlia del boss ergastolano, Francesco Matrone detto franchino a’ belva e moglie dell’attuale reggente della camorra a Scafati, Giuseppe Buonocore resta una donna libera.
    Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Salerno (presidente Gaetano Sgroia) che ha respinto l’appello presentato dalla Dda dopo la decisione del gip del giugno dello scorso anno che portò in carcere oltre 32 affiliati alla camorra a Scafati con l’operazione New Balance e che in quella occasione rigettò la richiesta di arresto per Filomena Generali.
    Alla luce degli elementi raccolti è stato presentato appello da parte dell’antimafia di Salerno. Ma l’avvocato difensore della donna, Massimo Autieri, ha sostenuto che non si potesse contestare due volte lo stesso ruolo. tesi accolta dal Riesame che ha lasciato libera la figlia del boss.

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    Sentenza choc: gambe amputate a Gaetano Ferraiulo, tutti assolti perché il fatto non sussiste

    Assolti perché il fatto non sussiste. E’ la sentenza choc pronunciata oggi dal tribunale di Aversa per il ferimento di Gaetano Barbuto Ferraiuolo, il ragazzo di Sant’Antimo raggiunto da colpi di pistola alle gambe in corso Europa al culmine di una lite.
    A emettere la decisione oggi, 23 marzo, il gip di Napoli Nord, Daniele Grunieri, davanti al quale si è svolto il processo con rito abbreviato.
    “Mi hanno amputato le gambe per la seconda volta”, ha commentato laconico Gaetano Barbuto Ferraiuolo. La mamma invece si è lasciata andare in “Ingiustzia è fatta. Non ci sono parole. Solo tanta amarezza e dolore che si aggiunge a quello già provato da oltre due anni”.
    A processo c’erano tre giovani: Antonio Sgamato, 26enne di Sant’Antimo, Antimo Belardo, 28 anni anche lui di Sant’Antimo, e Raffaele Chiacchio, 19enne di Grumo Nevano. Nel settembre 2020, a Sant’Antimo, l’allora 21enne fu raggiunto da dei colpi di pistola, che seguirono una lite, alle gambe. A causa delle ferite riportate, fu necessaria l’asportazione degli arti inferiori.
    I tre sospettati, arrestati dopo un mese per tentato omicidio, furono poi scarcerati e rimessi in libertà con la sola accusa di lesioni gravissime. Oggi è arrivata la sentenza choc. Ora bisognerà attendere le motivazioni e fare appello. LEGGI TUTTO

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    Processo “cella zero” a Poggioreale: tutti assolti i 12 agenti penitenziari

    “Il fatto non sussiste”: hanno tutti rinunciato alla prescrizione e sono stati tutti assolti gli agenti della polizia penitenziaria coinvolti nel cosiddetto processo sulla “cella zero” nel carcere napoletano di Poggioreale.
    La sentenza riguarda una decina di agenti ai quali venivano contestati abusi e lesioni ai danni dei detenuti. La sentenza è stata pronunciata in mattinata a Napoli, dal giudice Diego Vargas (terza sezione penale).
    I presunti maltrattamenti vennero denunciati da quattro ex detenuti del carcere di Poggioreale tra il 2012 e il 2014. Il processo prese il via nel 2018 e l’introduzione del reato di tortura (che non poteva essere contestato come invece è avvenuto per i fatti di Santa Maria Capua Vetere) è risalente al 2017.
    Il collegio difensivo è stato composto, tra gli altri, dagli avvocati Marcello Severino, Carmine Capasso, Carlo De Stavola, Elisabetta Montano e Marco Monica. LEGGI TUTTO

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    La Cassazione annulla la condanna del figlio del boss Puca

    La Cassazione ha annullato la sentenza di condanna   comminata dalla Corte di Appello di Napoli nei confronti di Luigi Puca.
    Il figlio del boss di Sant’Antimo era imputato per estorsione insieme con Giuseppe D’Aponte. I due era stati arrestati nel 2020 dai carabinieri.
    Luigi Puca, figlio del boss Pasquale detto o’ minorenne, è stato difeso dall’avvocato Roberto Iacono insieme con Vianello Accoretto mentre l’imprenditore edile Giuseppe D’Aponte è stato difeso dall’avvocato Giaccio.
    I due erano accusati del reato di estorsione aggravata dal metodo e dalle finalità mafiose ai danni di un altro costruttore della zona.
    Secondo quanto raccolto durante le indagini, anche grazie alla denuncia della vittima, i due uomini, con reiterate richieste e minacce di morte, avevano costretto la vittima, trovatasi in gravi difficoltà economica, a consegnare loro assegni e cambiali per un importo complessivo di oltre 50 mila euro a fronte di un debito iniziale di 11 mila.
    L’imprenditore, che aveva concesso al D’Aponte di far transitare dei pagamenti sul suo conto corrente, a causa di alcune spese improvvise a cui aveva dovuto fare fronte, aveva preso a prestito tale somma per la quale tuttavia, dopo alcuni giorni, il D’Aponte, riferendo che quelli fossero soldi della famiglia Puca, aveva preteso la restituzione per un importo di molto superiore alla cifra originaria. LEGGI TUTTO

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    Ufficiale Aereonautica arrestato, certificati falsi per patenti

    E’ Antonio Montanari, 56 anni, il tenente colonnello medico dell’Aereonautica militare arrestato dai carabinieri con la sua collaboratrice Zaluha Yevheniya, con l’accusa, si legge negli atti, di essere fra i “promotori e organizzatori” di un’associazione “finalizzata alla realizzazione dei reati di falso in atto pubblico inerenti il rilascio di certificati medici” per le patenti di guida. Secondo l’accusa Montanari, in qualità di medico certificatore, avrebbe firmato certificati medici redatti dalla sua collaboratrice, “priva di alcuna abilitazione”, il tutto con la complicità di titolari e collaboratori di alcune agenzie e autoscuole delle provincie di Bari, Foggia, Venezia e Taranto. Secondo l’accusa, l’organizzazione avrebbe redatto complessivamente oltre 1.500 certificati medici fra il 2020 e il 2022.
    Le indagini erano partite nell’agosto 2020, inizialmente coordinate dalla Procura della Repubblica militare di Napoli. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti erano stati in particolare due dettagli: l’elevatissimo numero di certificati prodotti da Montanari (quasi 40mila nel quadriennio 2018/2021) e la presenza di numerose trasmissioni telematiche effettuate dal medico mentre era in servizio all’Aereonautica o nelle sedi Asl Bari di Monopoli e Sannicandro di Bari.
    E’ stato così possibile ricostruire il sistema illecito che avrebbe consentito di rinnovare patenti guida, come viene evidenziato negli atti, anche a consumatori abituali di sostanze stupefacenti, a titolari di indennità di invalidità civile o persone anziane con evidenti problemi di salute, che avrebbero dovuto essere valutate dalla Commissione medica locale. Attività che, fra il 2021 e aprile 2022, avrebbero fruttato circa 50mila euro. LEGGI TUTTO

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    Albergatore condannato per spaccio, spediva droga a Ischia

    E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna a cinque anni e quattro mesi di carcere, oltre alla multa di 26.666 euro, per detenzione e spaccio di droga a carico di un imprenditore napoletano, gestore di un albergo a Ischia presso il quale l’uomo – di 47 anni – aveva incaricato il suo spedizioniere di fiducia di provvedere alla consegna di un pacco che lui stesso si era mandato.
    Per errore il pacco, che conteneva due chili e mezzo di hascisc e 270 grammi di cocaina, era finito a Procida dove era stato consegnato a un commerciante del tutto estraneo a questo traffico di droga, e anche la ditta di spedizioni è risultata inconsapevole del contenuto del pacco. Da questo disguido – sul pacco c’era scritto solo ‘Gianni’, soprannome dell’imputato – hanno preso l’avvio le indagini condotte dai carabinieri di Ischia che sono risaliti al ‘mittente’ del pacco.
    Ad avviso degli ‘ermellini’, che hanno respinto la richiesta della difesa di concedere all’albergatore le attenuanti generiche, ‘Gianni’ non merita sconti di pena per “l’ingente quantitativo” di droga trovata nel pacco e per “la diversa tipologia delle sostanze stupefacenti detenute”, elementi che dimostrano la “pericolosa caratura criminale” dell’imprenditore “evidentemente inserito in circuiti di mercato stabilmente dediti al traffico illecito”.
    Inoltre la Cassazione mette in evidenza l’ulteriore circostanza di “segno negativo” rappresentata “dalle modalità subdole della condotta” di ‘Gianni’. I supremi giudici infatti rilevano – nel verdetto n. 12012 depositato oggi dalla Terza sezione penale – che l’albergatore non si era fatto scrupolo di “coinvolgere” il titolare della ditta di spedizioni “consegnandogli un pacco contenente merce scottante e perciò esponendolo al rischio anche soltanto potenziale, ma poi di fatto verificatosi, della scoperta del suo contenuto e di trovarsi involontariamente coinvolto in una vicenda criminosa di cui era del tutto ignaro”. Oltre a dichiarare “inammissibili” i motivi di ricorso proposti dagli avvocati difensori, la
    Cassazione ha condannato l’imputato anche a versare tremila euro alla Cassa delle Ammende, e a pagare e spese processuali. Con questa decisione – presa al termine dell’udienza svoltasi lo scorso 16 febbraio -, la Suprema Corte ha confermato la condanna inflitta a ‘Gianni’ dalla Corte di Appello di Napoli il 12 aprile 2022. In primo grado, l’uomo era stato giudicato con rito abbreviato. LEGGI TUTTO

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    Camorra, i Montescuro chiedono la restituzione dei beni sequestrati

    ‘La persecuzione dei Montescuro. Ma i figli di ‘o Minuzz non si arrendono’.Risale all’estate del 2021 la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale e personale nei confronti di Montescuro Luca, figlio 62enne del defunto boss Carmine Montescuro ‘o Minuzz anche detto sindaco della Camorra, scomparso nel mese di gennaio.
    Ma il 25 gennaio il Tribunale di Napoli– Sezione Misure di Prevenzione ha accolto l’istanza con cui le difese, rappresentate dagli avvocati Immacolata Romano e Giuseppe Milazzo, sostenevano l’inammissibilità della sorveglianza speciale. Il Montescuro Luca è infatti detenuto dal lontano 2008 per essere stato ai vertici di un sodalizio che distribuiva droga proveniente dalla Spagna sul territorio campano e per aver partecipato a svariati assalti ai tir in autostrada.
    La Procura infatti chiedeva che venissero sequestrati al Montescuro beni immobili (una casa, la casupola del portiere del condominio, tre locali adibiti a negozi ed un deposito, tutti siti a Sant’Erasmo), rapporti bancari e finanziari e due autoveicoli (una Mini Cooper e una Fiat 500X).
    Il Tribunale, però, nella stessa udienza dove dichiarava inammissibile la richiesta di sorveglianza speciale, rigettava anche il sequestro della maggior parte dei beni ad eccezione di una casa e della casupola del portiere del condominio.
    I due difensori, coadiuvati da esperti contabili, con le memorie difensive prodotte al tribunale sono riusciti a far emergere che i soldi con cui tutti i beni sono stati acquistati fossero di provenienza lecita.
    Ora toccherà agli stessi impugnare il provvedimento per la restituzione dell’unica casa tolta al Montescuro e della casupola del portiere, per sottrarre dalle braccia della Procura il magro bottino consegnatole dal Tribunale. LEGGI TUTTO

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    Camorra, i Montescuro chiedono la restituzione dei beni sequestrati

    ‘La persecuzione dei Montescuro. Ma i figli di ‘o Minuzz non si arrendono’.Risale all’estate del 2021 la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale e personale nei confronti di Montescuro Luca, figlio 62enne del defunto boss Carmine Montescuro ‘o Minuzz anche detto sindaco della Camorra, scomparso nel mese di gennaio.
    Ma il 25 gennaio il Tribunale di Napoli– Sezione Misure di Prevenzione ha accolto l’istanza con cui le difese, rappresentate dagli avvocati Immacolata Romano e Giuseppe Milazzo, sostenevano l’inammissibilità della sorveglianza speciale. Il Montescuro Luca è infatti detenuto dal lontano 2008 per essere stato ai vertici di un sodalizio che distribuiva droga proveniente dalla Spagna sul territorio campano e per aver partecipato a svariati assalti ai tir in autostrada.
    La Procura infatti chiedeva che venissero sequestrati al Montescuro beni immobili (una casa, la casupola del portiere del condominio, tre locali adibiti a negozi ed un deposito, tutti siti a Sant’Erasmo), rapporti bancari e finanziari e due autoveicoli (una Mini Cooper e una Fiat 500X).
    Il Tribunale, però, nella stessa udienza dove dichiarava inammissibile la richiesta di sorveglianza speciale, rigettava anche il sequestro della maggior parte dei beni ad eccezione di una casa e della casupola del portiere del condominio.
    I due difensori, coadiuvati da esperti contabili, con le memorie difensive prodotte al tribunale sono riusciti a far emergere che i soldi con cui tutti i beni sono stati acquistati fossero di provenienza lecita.
    Ora toccherà agli stessi impugnare il provvedimento per la restituzione dell’unica casa tolta al Montescuro e della casupola del portiere, per sottrarre dalle braccia della Procura il magro bottino consegnatole dal Tribunale. LEGGI TUTTO

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    Stritolato da usura, denuncia e fa condannare tre strozzini

    Quasi stritolato dalla morsa dell’usura cui aveva dovuto far ricorso per via di una cartella esattoriale di quasi 90mila euro, costretto a vendere un terreno e a perdere la propria attività, ha trovato il coraggio di denunciare i suoi strozzini facendoli condannare.Il processo si è concluso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (collegio presieduto da Giuseppe Meccariello) con la condanna a tre anni e nove mesi per Elvio Luigi D’Aria e Andrea Rendina e due anni a Giovanni Varatta; parte offesa è l’imprenditore Gianluca Izzo (difeso da Gianluca Giordano e Giovanni Plomitallo, mentre la madre, costituitasi in giudizio, è stata assistita da Andrea Balletta), che presentò denuncia ai carabinieri nell’agosto 2017.
    Allora Izzo aveva una ricevitoria/tabacchi a Raviscanina, comune dell’Alto-Casertano, ed era disperato per il debito accumulato con D’Aria e Rendina, entrambi imprenditori, e con Varatta, dipendente pubblico che arrotondava prestando i soldi a strozzo.
    Peraltro Izzo inizialmente, per la paura che diventassero reali le minacce di morte pronunciate più volte nei suoi confronti dai tre usurai, ma spinto dalle disperazione finanziaria, aveva denunciato ai carabinieri un furto di sigarette e gratta e vinci alla sua attività, poi però i militari hanno capito che qualcosa non quadrava nel racconto, e lo hanno esortato ad aprirsi e parlare.
    È così venuto fuori che da oltre due anni, dopo aver sostenuto spese per ristrutturare il negozio e aver ricevuto una cartella esattoriale, era finito nella morsa dell’usura, in particolare del ‘collega’ imprenditore D’Aria, che gli aveva prestito prima 5mila euro facendosene consegnare 8mila, poi altre somme restituite sempre con interessi pari ad oltre il 50%.
    Izzo si era così rivolto a Varatta e poi a Rendina, con precedenti per usura, ricevendo dai due prestiti rispettivamente di 36mila euro e di oltre 10mila euro. Per pagare Izzo ha sborsato interessi altissimi, ma anche gratta e vinci, una Fiat 500, ha venduto un terreno e perso l’attività. LEGGI TUTTO