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    Processo “cella zero” a Poggioreale: tutti assolti i 12 agenti penitenziari

    “Il fatto non sussiste”: hanno tutti rinunciato alla prescrizione e sono stati tutti assolti gli agenti della polizia penitenziaria coinvolti nel cosiddetto processo sulla “cella zero” nel carcere napoletano di Poggioreale.
    La sentenza riguarda una decina di agenti ai quali venivano contestati abusi e lesioni ai danni dei detenuti. La sentenza è stata pronunciata in mattinata a Napoli, dal giudice Diego Vargas (terza sezione penale).
    I presunti maltrattamenti vennero denunciati da quattro ex detenuti del carcere di Poggioreale tra il 2012 e il 2014. Il processo prese il via nel 2018 e l’introduzione del reato di tortura (che non poteva essere contestato come invece è avvenuto per i fatti di Santa Maria Capua Vetere) è risalente al 2017.
    Il collegio difensivo è stato composto, tra gli altri, dagli avvocati Marcello Severino, Carmine Capasso, Carlo De Stavola, Elisabetta Montano e Marco Monica. LEGGI TUTTO

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    Stritolato da usura, denuncia e fa condannare tre strozzini

    Quasi stritolato dalla morsa dell’usura cui aveva dovuto far ricorso per via di una cartella esattoriale di quasi 90mila euro, costretto a vendere un terreno e a perdere la propria attività, ha trovato il coraggio di denunciare i suoi strozzini facendoli condannare.Il processo si è concluso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (collegio presieduto da Giuseppe Meccariello) con la condanna a tre anni e nove mesi per Elvio Luigi D’Aria e Andrea Rendina e due anni a Giovanni Varatta; parte offesa è l’imprenditore Gianluca Izzo (difeso da Gianluca Giordano e Giovanni Plomitallo, mentre la madre, costituitasi in giudizio, è stata assistita da Andrea Balletta), che presentò denuncia ai carabinieri nell’agosto 2017.
    Allora Izzo aveva una ricevitoria/tabacchi a Raviscanina, comune dell’Alto-Casertano, ed era disperato per il debito accumulato con D’Aria e Rendina, entrambi imprenditori, e con Varatta, dipendente pubblico che arrotondava prestando i soldi a strozzo.
    Peraltro Izzo inizialmente, per la paura che diventassero reali le minacce di morte pronunciate più volte nei suoi confronti dai tre usurai, ma spinto dalle disperazione finanziaria, aveva denunciato ai carabinieri un furto di sigarette e gratta e vinci alla sua attività, poi però i militari hanno capito che qualcosa non quadrava nel racconto, e lo hanno esortato ad aprirsi e parlare.
    È così venuto fuori che da oltre due anni, dopo aver sostenuto spese per ristrutturare il negozio e aver ricevuto una cartella esattoriale, era finito nella morsa dell’usura, in particolare del ‘collega’ imprenditore D’Aria, che gli aveva prestito prima 5mila euro facendosene consegnare 8mila, poi altre somme restituite sempre con interessi pari ad oltre il 50%.
    Izzo si era così rivolto a Varatta e poi a Rendina, con precedenti per usura, ricevendo dai due prestiti rispettivamente di 36mila euro e di oltre 10mila euro. Per pagare Izzo ha sborsato interessi altissimi, ma anche gratta e vinci, una Fiat 500, ha venduto un terreno e perso l’attività. LEGGI TUTTO

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    Omicidio Cerciello Rega, la Cassazione annulla condanne per Elder e Hjorth: processo da rifare

    Dopo 5 ore di camera di consiglio la prima corte di Cassazione ha annullato la sentenza a 24 anni per Finnegan Lee Elder e a 22 anni per Gabriel Natale Hjort in merito all’omicidio del vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 nel quartiere Prati, a Roma.Da stanotte Lee Finnegan Elder e Gabriel Natale Hjorth possono cominciare a sperare. Guardando con un po’ di fiducia nel futuro. La Cassazione ha riconosciuto nei loro confronti che la sentenza di condanna per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega non funzionava, non potevano diventare definitive le pene a 24 anni per Elder e 22 per Hjorth.
    Un nuovo processo d’appello dovrà rivalutare il processo e riscrivere in buona parte la storia di quel delitto consumato nelle strade del quartiere Prati, a poche decine di metri dallo stesso palazzo della Suprema Corte dove in meno di 5 ore di camera di consiglio è stato, di fatto, cambiato presente e futuro prossimo di chi è stato coinvolto nella vicenda. In favore dei due ragazzi americani i giudici hanno accolto nella sostanza tutto quanto era stato prospettato dai difensori nel corso degli interventi in aula.
    Annullata la sentenza per Hjorth in relazione alla stessa contestazione di concorso in omicidio. Perché ci sono diverse recenti sentenze che ridisegnano la fattispecie contestata e la condotta dello stesso Hjorth non è poi così sovrapponibile a un comportamento in cui si condivide tutta l’azione posta in essere da Elder.
    Omicidio Cerciello Rega, la difesa di Elder: “Non sapeva fossero carabinieri”
    Le 11 coltellate inferte al carabiniere in borghese non spiegano tutto. Così come uno scontro durato tra 15 e 22 secondi, che vede da una parte i due giovani statunitensi e dall’altra Cerciello ed il collega Andrea Varriale. Gli ermellini oggi hanno stabilito che per Elder vanno rivalutate le aggravanti contestate e anche la resistenza a pubblico ufficiale. Insomma i giudici di merito dovranno chiarire, mettere un punto, se i due militari si sono qualificati, dicendo ‘carabinieri’ e mostrando il tesserino.
    Oppure hanno provato a portare a termine l’intervento con la leggerezza di chi indossa maglietta e bermuda, ed è disarmato. Con la voglia forse di risolvere un contenzioso da strada, foriero di un verbale, una contravvenzione o poco più. E giammai immagina il disastro che è venuto poi. Con Cerciello riverso sull’asfalto e Varriale incapace di spiegare chi li avesse aggrediti e perché.
    Per le difese è una vittoria su tutta la linea. Ed anche se trattengono l’emozione e la soddisfazione gli avvocati spiegano che “finalmente è stato dato ascolto ad argomentazioni che sin dall’inizio della vicenda sono state affermate”. Rispetto alla eccentricità dell’intervento di polizia quella notte tra il 25 ed il 26 luglio del 2019.
    Con illogicità e menzogne da parte di Varriale – spiegano i legali di Elder durante le discussioni – perché non si comprendono alcuni comportamenti dei protagonisti e nemmeno dei comprimari. Come quello che portò i due americani dal pusher e poi venne derubato proprio dai due turisti dello zaino.
    La vedova di Cerciello, la signora Rosa Maria Esilio, sempre accompagnata da alcuni amici e dai familiari, ha avuto sempre per tutta l’udienza in Cassazione la foto del marito stretta tra le mani. I capelli rossi e raccolti sulla nuca, il viso provato. Rifiuta qualsiasi commento e lascia il Palazzaccio attorniata da alcuni commilitoni del marito e da altri militari dell’Arma.
    E’ la grande famiglia di chi per mestiere indossa una divisa e sopporta le battaglie vinte e quelle perse. Ed è difficile spiegare il significato del verdetto in cui il presidente scandisce le parole ‘annulla’ e ‘rigetta’ senza poi aggiungere molto altro. “Vanno liberi?”, chiede uno. E’ una prospettiva quella dell’uscita dal carcere di Elder e Hjorth che certamente sarà vagliata dai difensori.
    “Dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di oggi – si spiega – vedremo quali passi compiere”. Di sicuro la vita per i due imputati ricomincia. Hjorth, in carcere a Velletri, si è da tempo iscritto all’università. Studia lingue, si aggiunge. Elder ha in animo di iscriversi ad un corso di Economia. Detenuto a Rebibbia partecipa a diversi laboratori ed ha da tempo avviato un percorso di recupero.
    I tentativi di suicidio, il primo quando aveva 12 anni, sono ormai un pezzo del passato. La Cassazione non riporta indietro il tempo a quella notte d’estate in cui è cambiato tutto, ma ha concesso una prospettiva che sino a poche ore fa nessuno poteva prevedere. LEGGI TUTTO

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    Omicidio Cerciello Rega: in Cassazione l’accusa chiede conferma condanna per americani

    La procura generale sollecita la conferma della pena a 24 e 22 anni, rispettivamente per Gabriel Natale Hjorth e Finnegan Lee Elder chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso di Elder e di rigettare quello di Natale Hjort.I due giovani statunitensi sono sotto processo, dinnanzi alla Prima corte di Cassazione per l’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega avvenuto nella notte tra 25 e 26 luglio 2019 nel quartiere Prati a Roma.
    “In 20 secondi” Finnegan Lee Elder “infligge 11 coltellate al brigadiere disarmato. Questa e’ la descrizione dei fatti identica in entrambe le sentenze” di primo e secondo grado. “Il fatto che i due carabinieri hanno mostrato il tesserino o se non lo hanno mostrato sono tutti motivi di contorno”. Lo he detto il procuratore generale Francesca Loy durante la requisitoria nel processo in cassazione per l’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega.
    Imputati Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, condannati a 24 e 22 anni in appello. I due cittadini americani erano stati condannati all’ergastolo nel processo di primo grado.L’assassinio del vicebrigadiere dei carabinieri risale alla notte del 26 luglio 2019: dopo un tentato acquisto di droga, non andato a buon fine, i due americani, all’epoca diciannovenni, rubarono lo zaino di Sergio Brugiatelli, che, in Piazza Mastai, aveva indicato loro il pusher dal quale potevano rifornirsi.
    Gli americani pretendevano 100 euro e della cocaina per restituire il maltolto, e Brugiatelli (teste chiave della vicenda, deceduto nel 2021 per un male incurabile) chiese aiuto al 112. A quel punto, Cerciello, con il collega Andrea Varriale, venne inviato in soccorso per fermare la tentata estorsione messa in atto dai due giovani.
    Quando i militari cercarono di bloccarli, Elder reagì colpendo a morte Cerciello con 11 coltellate, prima di darsi alla fuga con l’amico.I due aggressori si precipitarono nella camera 109 dell’albergo Le Meridien, che li ospitava, a pochi metri da Via Pietro Cossa, luogo dell’omicidio, mentre Varriale cercava disperatamente di soccorrere il collega che sarebbe morto poco dopo, in ospedale.
    Elder e Hjorth dormirono in albergo, e la mattina del 26 luglio, grazie alle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza e alle testimonianze raccolte, i carabinieri li trovarono e fermarono. I due erano pronti a lasciare l’Italia, con biglietti aerei già acquistati, e avevano nascosto in un controsoffitto il coltello con lama da 18 centimetri usato nell’agguato, che Elder aveva portato con sé, nascosto in un trolley, dagli Stati Uniti. LEGGI TUTTO

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    Accusato di diffamazione aggravata e minacce di morte alla giornalista Rai: assolto

    È stato assolto a formula piena “perché il fatto non sussiste”.
    È l’epilogo del lungo processo penale a carico di Berrettino L. ed altri due, un siciliano è un ragazzo originario di Capua, accusati di diffamazione aggravata col mezzo Facebook e di minacce aggravate di morte nei confronti della giornalista Rai de i Fatti Vostri, del conduttore Magalli, che stava seguendo la vicenda dei tre ragazzi scomparsi e uccisi in Messico.
    Il napoletano aveva chiesto ed ottenuto la definizione del processo secondo le forme del rito abbreviato, la cui posizione era stata stralciata ed assegnata alla settima sezione.Oggi l’arringa fiume del suo difensore l’Avvocato Massimo Viscusi, il quale è riuscito a smontare l’impianto accusatorio della procura, ottenendo una incredibile assoluzione “piena”.
    Il P.M. aveva chiesto l’assoluzione per insussistenza del fatto. LEGGI TUTTO

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    Strage bus Avellino: dopo due anni chiusa istruttoria processo d’Appello

    Si è chiusa ieri, dopo oltre due anni, l’istruttoria del processo di secondo grado (iniziato il 7 gennaio 2021) sull’incidente stradale avvenuto sull’A16 dove, la sera del 28 luglio 2013, all’altezza di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, si verificò una strage: un bus precipitò dal viadotto Acqualonga provocando quaranta morti.
    Tra le cause, secondo quanto emerso durante il processo di primo grado, figura anche l’impianto frenante malfunzionante a causa dei danni arrecati da alcune parti della trasmissione del bus separatesi per la rottura di alcuni perni di serraggio. Una novità è emersa durante le fasi del processo di secondo grado e cioè che quei perni si sarebbero potuti rompere a causa dello scorretto serraggio praticato senza l’utilizzo di una speciale chiave, chiamata dinamometrica.
    Una ipotesi avanzata dalla difesa di Gennaro Lametta, l’avvocato Sergio Pisani che ha anche presentato come prova difensiva la registrazione di una conversazione. La circostanza ha spinto i giudici a chiamare a testimoniare anche un meccanico, collaboratore del titolare dell’officina dove venne eseguito l’intervento alla trasmissione, il quale riferì anche che il bus rimase tre giorni in quell’officina, per gli interventi di manutenzione.
    Prossima tappa del processo sarà la requisitoria del sostituto procuratore generale, che è stata fissata per il 20 aprile prossimo, nell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale LEGGI TUTTO

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    “Il Principe e la scheda ballerina”, Cosentino assolto in Cassazione nel processo sul centro commerciale

    La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla Procura Generale che ha impugnato l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello nei confronti dell’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e dell’imprenditore Gaetano Iorio per l’inchiesta “Il Principe e la scheda ballerina”.
    Rigettato il ricorso presentato dalla Procura Generale
    La Quinta Sezione della Suprema Corte ha quindi confermato la formula assolutoria pronunciata in secondo grado per l’ex politico e l’imprenditore.
    Quello dei magistrati partenopei fu un verdetto che ribaltò quello di primo grado, quando l’ex sottosegretario all’Economia venne condannato a 5 anni e mezzo mentre per l’imprenditore Gaetano Iorio la condanna fu di 9 anni di reclusione.
    Per la Procura Generale, la decisione della corte partenopea apparve “caratterizzata da una motivazione viziata da numerose ed evidenti mancanze, manifeste illogicità, contraddizioni e travisamenti della prova”. Il riferimento è in particolare alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, primo fra tutti Nicola Schiavone, figlio di Sandokan.
    I giudici di Appello, nelle motivazioni della sentenza, avevano aspramente censurato le propalazioni del rampollo di casa Schiavone ritenendole “non riscontrate” e smentite dalle “emergenze istruttorie”.
    Assolto non solo Cosentino ma anche Iorio e Zara
    La Procura Generale però insiste, ribadendo come i giudici si erano “volutamente privati della possibilità di verificare l’esistenza di riscontri nel narrato di altri collaboratori di giustizia”.
    Nel processo in Appello i giudici avevano assolto non solo Cosentino e l’imprenditore Iorio ma anche altri imputati, tra cui il funzionario di banca Cristoforo Zara.
    All’esponente di Forza Italia era contestato il finanziamento da 5 milioni di euro per la costruzione – mai avvenuta – del centro commerciale “Il Principe”, a Casal di Principe, che, secondo l’accusa, sarebbe stato voluto dal clan dei Casalesi per inquinare il voto alle amministrative del 2008 e del 2010. LEGGI TUTTO

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    Archiviate le accuse di divulgazione illecita di dati personali e diffamazione aggravata per il giornalista Grazioli

    Era stato denunciato, per il qual motivo risultava essere indagato con le gravi accuse di “Comunicazione e diffusione Illecita di dati personali oggetto di trattamento su larga scala” e “diffamazione aggravata dal mezzo della stampa/Facebook”.
    Il giornalista stava seguendo il caso di una ragazza tossicodipendente che per approvvigionarsi della droga si prostituiva, vivendo in condizioni pietose.Fu raggiunto da un messaggio di forte critica per il modus operandi del giornalista, ritenuto dalla 55enne C.A. di Mariglianella errato, speculativo e volto solo alla remunerazione personale.
    A seguito di ciò il giornalista pubblico’ quel messaggio sulla sua pagina Facebook, ricevendo moltissimo commenti dai suoi migliaia di follower, critici con la donna.
    Da qui vi fu una proroga delle indagini, a seguito di richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura e dal Difensore, disposta dal GIP; nella seconda udienza fissata il giorno 21 dicembre, il Difensore del giornalista, l’ avvocato Massimo Viscusi, ha definitivamente ottenuto il provvedimento di archiviazione, come anche chiesto dalla stessa Procura, per infondatezza della notizia di reato. LEGGI TUTTO

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    Mugnano, Maria Adamo uccisa dal cancello di casa: condannato proprietario

    Il giudice monocratico di Napoli Nord Stefania Amodeo ha condannato il proprietario dell’abitazione presa in fitto dalla famiglia di una donna di 60 anni, Maria Adamo, morta sul colpo, nel dicembre del 2018, dopo essere stata travolta da un cancello scorrevole all’esterno della casa, in un parco privato di via della Resistenza, a Mugnano di Napoli.
    Il giudice di Napoli Nord ha inflitto un anno di reclusione al proprietario, ritenuto colpevole di omicidio colposo. Accordata una provvisionale di 25mila euro per i cinque eredi della vittima, difesi dall’avvocato Sergio Pisani, e anche un risarcimento da quantificare.
    La signora, secondo quando accertarono i carabinieri, stava aprendo il cancello quando il cedimento di una staffa ne determinò l’uscita dalle guide e il conseguente crollo sulla donna che venne uccisa sul colpo.
    Subito l’attenzione degli inquirenti si concentrò sulla posizione del proprietario del complesso immobiliare, un 57 enne del posto, al cui interno la donna viveva in affitto. LEGGI TUTTO

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    Immigrato ucciso a Castel Volturno, sconto di pena per il killer

    Si erano accusati a vicenda di aver commesso un omicidio, poi in appello uno dei due ha confessato ed è arrivato lo sconto di pena per entrambi. È la vicenda dell’omicidio di Anthony Amadi, 30enne immigrato nigeriano ucciso a Castel Volturno nel febbraio del 2020, per il quale in primo grado erano stati condannati a 23 anni di carcere dalla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Mohamed Saussi, 39enne tunisino, e Assan Maged Osseran, 52 anni della Costa d’Avorio.
    In secondo grado, davanti alla terza sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, Saussi (difeso da Giuseppe Guadagno) ha confessato di essere stato l’autore materiale del delitto, ed ha avuto 18 anni previo riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, mentre il coimputato (assistito da Paolo Di Furia) è stato condannato a 16 anni perché gli è stata riconosciuta la partecipazione generica all’omicidio (la Procura Generale aveva chiesto 21 e 20 anni per i due imputati).
    L’omicidio di Amadi è avvenuto la notte tra il 26 ed il 27 febbraio del 2020, quando il 30enne venne ucciso con una coltellata dopo una colluttazione con entrambi gli imputati, che lo avevano inseguito in auto. Ognuno dei due aveva un movente: Soussi, carrozziere, aveva visto la vittima a bordo di una vettura rubata qualche giorno prima presso la sua officina, mentre Osseran voleva recuperare dei soldi che insieme a degli amici aveva consegnato ad Amadi per una partita di droga mai ricevuta. Per questo i due, in primo grado, si era accusati vicendevolmente, poi in Appello il cambio di versione con lo sconto di pena per entrambi. LEGGI TUTTO

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    Violenze in carcere, per il Riesame niente obbligo dimora per 7 agenti

    Il tribunale del Riesame di Napoli ha respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare dell’obbligo di dimora avanzata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere  nei confronti di 7 agenti della polizia penitenziaria coinvolti nei pestaggi del 6 aprile 2020 ai danni di detenuti nel carcere sammaritano.
    Si tratta degli agenti Gianni Greco, Angelo Ricciardi, Marcello Vetrano, Angelo Di Costanzo, Angelo Racioppoli, Nunzia Di Donato e Tiziana Perillo, tutti imputati nel processo per le violenze. Di Costanzo, rispetto agli altre sei poliziotti che stanno sostenendo il processo con rito ordinario, ha scelto il rito abbreviato, e nella scorsa udienza del 14 febbraio la Procura ha chiesto nei suoi confronti una condanna a sei anni per reati di tortura e lesioni.
    Lo scorso luglio era stato il gup Pasquale D’Angelo a respingere l’istanza della Procura, che aveva chiesto l’obbligo di dimora per i sette alla luce di nuove prove. Rilevanza particolare avevano le posizioni delle ufficiali della penitenziaria Nunzia Di Donato e Tiziana Perillo, mai raggiunte da misure cautelari – furono respinte le iniziali richieste nei loro confronti di arresti domiciliari – e mai sospese dal servizio, a differenza degli oltre 100 colleghi imputati; nei loro confronti i pm (l’aggiunto Alessandro Milita e le sostitute Alessandra Pinto e Daniela Pannone) volevano una misura alla luce di nuovi riconoscimenti fotografici fatti da altri ufficiali della penitenziaria coindagati
    . Dopo il no del giudice per l’udienza preliminare, la Procura ha fatto poi ricorso al Riesame di Napoli, ma anche il tribunale della Libertà ha rigettato la richiesta ritenendo passato molto tempo dai fatti e che dunque va escluso il pericolo di reiterazione del reato; i giudici partenopei hanno escluso anche il pericolo di inquinamento probatorio, perchè ai sette agenti per cui la Procura ha chiesto la misura, non sono state contestate condotte di depistaggio come ad altri imputati. LEGGI TUTTO

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    Violenze in carcere a Santa Maria Capua Vetere, la Procura chiede condanne per due agenti

    Prime richieste di condanna per gli agenti della Penitenziaria imputati nel processo per i pestaggi dei detenuti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 per sedare una rivolta.
    La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha infatti chiesto sei anni di reclusione per l’agente Angelo Di Costanzo e tre anni e otto mesi per l’agente Vittorio Vinciguerra, imputati per i reati di lesioni, abuso di autorità e tortura.
    Per Vinciguerra la tortura è stata contestata in relazione ad un episodio avvenuto il 10 marzo 2020, ovvero quasi un mese prima dei pestaggi. I due poliziotti penitenziari sono stati gli unici a scegliere la strada dell’abbreviato, rito che comporta uno sconto di pena in caso di condanna ma non permette l’acquisizione di nuove prove e si basa solo su quelle raccolte durante le indagini.
    Altri 105 imputati, tra agenti, funzionari del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e medici dell’Asl, stanno invece sostenendo il processo con rito ordinario che si sta svolgendo nell’aula bunker (prossima udienza l’8 marzo) annessa al carcere delle violenze, la stessa dove si sta celebrando il processo abbreviato.
    Contro i due agenti si sono costituite come parti civili decine di detenuti vittime dei pestaggi; e come nel processo ordinario, anche per questo abbreviato il Ministero di Grazia e Giustizia compare nella doppia veste di parte civile, legittimato dunque a chiedere un risarcimento ai due agenti, e di responsabile civile, che in teoria potrebbe essere chiamato a risarcire alle altre parti civili i danni nel caso in cui i due poliziotti, suoi dipendenti, non avessero le risorse per pagare dopo l’eventuale condanna. LEGGI TUTTO