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    Uccise marito col cianuro, scarcerata e ai domiciliari perché madre di un bimbo di 18 mesi

    Il tribunale del riesame di Palermo ha concesso gli arresti domiciliari a Loredana Graziano, 37 anni, condannata a 30 anni di carcere per l’omicidio del marito, Sebastiano Rosella Musico.Loredana Graziano scarcerata e condannata ai domiciliari
    La donna, che si era vista confermare in appello, il 30 gennaio, la sentenza di colpevolezza, è madre di un bimbo di 18 mesi e, contrariamente a quello che aveva deciso la Corte d’Assise d’appello, che aveva negato la scarcerazione, secondo i giudici del riesame deve stare vicina al bambino in un ambiente non carcerario.
    La storia: uccise il marito avvelenandolo a Termini Imerese
    Loredana Graziano, secondo le sentenze di primo e secondo grado, avrebbe avvelenato il marito, a Termini Imerese (Palermo), somministrandogli cianuro e un farmaco anticoagulante, il Coumadin, mescolandoli alle pietanze che preparava per lui.
    L’uomo morì il 22 gennaio 2019, dopo atroci sofferenze e il decesso venne in un primo momento attribuito a cause naturali. Nel 2020 l’ex amante della Graziano la accusò ai carabinieri di avere ordito la trama, per liberarsi di un coniuge non amato e che non voleva figli.
    Venne così disposta la riesumazione del cadavere e dall’autopsia emersero le tracce di veleno nel corpo di Rosella Musico, che aveva 40 anni e faceva il pizzaiolo. Quando fu aperta l’indagine, Loredana Graziano era incinta di un bimbo, concepito con un terzo uomo: per questo, dopo l’arresto, rimase solo 16 giorni in carcere.
    Successivamente i giudici avevano ritenuto la donna pericolosa e dopo la sentenza di primo grado da parte del Gup, che aveva deciso col rito abbreviato, era stato ordinato il suo trasferimento in cella.
    Loredana Graziano aveva rifiutato di essere ospitata in una casa alloggio attrezzata per detenute madri, ad Avellino: ora il riesame, nonostante la gravità delle accuse e nell’interesse preminente del piccolo, le ha concesso ai domiciliari. LEGGI TUTTO

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    Indagata l’ex amante di Matteo Messina Denaro

    Maria Mesi, ex amante del boss Matteo Messina Denaro, e Francesco Mesi, i fratelli già condannati nei primi anni 2000 per il favoreggiamento del boss Matteo Messina Denaro, sarebbero nuovamente iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di aver favorito la latitanza del capomafia arrestato il 16 gennaio scorso.Oggi, i carabinieri del Ros hanno perquisito le loro abitazioni e di Aspra, nel Palermitano, una casa di campagna e la torrefazione gestita dalla famiglia Mesi. Gli inquirenti avrebbero sequestrato i cellulari e i pc dei due fratelli.
    – “Sto andando a denunciare ai Ros dei carabinieri una storia che quando me l’hanno raccontata, onestamente, non ci potevo credere.”. Comincia così il racconto che Ismaele La Vardera, ex Iena, oggi vicepresidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, decide di fare ai microfoni de Le Iene.
    Filippo Roma ricostruisce la testimonianza raccolta dal deputato regionale e subito denunciata agli inquirenti, di un presunto testimone che parla di alcuni festini in una villa del palermitano, a cui avrebbe partecipato Matteo Messina Denaro e in cui avrebbe visto anche un uomo appartenente alle forze dell’ordine, un medico e un noto politico italiano. Questa testimonianza è al centro del servizio de Le Iene, in onda domani sera, martedì 31 gennaio, in prima serata, su Italia 1.
    “Si parla di un Matteo Messina Denaro che frequentava salotti importanti della borghesia e che partecipava come se nulla fosse a dei festini”, dice La Vardera all’inviato. “Ho denunciato la testimonianza che mi hanno reso al Ros”, il reparto che ha da poco arrestato il superboss.
    “Il testimone è una persona per bene, che fa una vita normale, che aveva paura di parlare – continua La Vardera – perché le cose che poteva raccontare erano molto delicate e parlavano proprio di quella zona d’ombra che avrebbe potuto proteggere il boss latitante”.
    La Iena e il politico ripercorrono insieme, riascoltandola, i passi salienti della testimonianza, in modo da chiarire, per quanto possibile, i passaggi più controversi. Il vicepresidente dell’antimafia siciliana riferisce a Filippo Roma ciò che il testimone gli ha raccontato, eliminando però numerosi dettagli che ne avrebbero potuto rivelare l’identità.
    Il deputato regionale racconta di averlo incontrato, tramite una conoscenza in comune, e di avergli chiesto come mai abbia scelto di raccontare tutto a lui e non a magistrati e forze dell’ordine. “Purtroppo, ho molta paura, non mi fido di nessuno. Tu ti fideresti se allo stesso tavolo vedi persone che potrebbero rappresentare la legge insieme a Matteo Messina Denaro?” è la risposta del testimone.
    “Ma che vuol dire che ha visto uomini che rappresenterebbero la legge insieme al boss Messina Denaro?” domanda Filippo Roma a La Vardera. “Questa persona mi riferisce che ha partecipato più volte a delle feste private; quindi, non si poteva entrare facilmente. Il dove non posso dirtelo perché, inevitabilmente può fare risalire a questa persona.
    L’obiettivo – chiarisce il vicepresidente dell’antimafia – è restituire ai magistrati tutto quello che so, senza filtri e a voi, semplicemente, frammenti di racconto, per il semplice fatto che questa storia più persone la sappiamo meglio è, a tutela di tutti”.
    La Vardera, a maggiore tutela sua e del testimone, ritiene importante condividere subito parte di queste informazioni con l’opinione pubblica. L’inviato chiede al deputato regionale se ha fatto un riscontro su questo luogo di cui parla il presunto testimone: “Ho trovato riscontri oggettivi attraverso visure catastali” risponde La Vardera e la Iena chiede anche per quale motivo questa persona venisse invitata a queste feste: “Anche a questa domanda non posso rispondere, inevitabilmente si risalirebbe alla persona.”, risponde lui. LEGGI TUTTO

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     Messina Denaro, De Lucia: “In atto tentativi di rifondare la Cupola”

    “Le indagini dimostrano che vi e’ tensione interna all’organizzazione, che e’ sempre alta, e che sono in sempre in atto i tentativi di ricostituzione della cupola e di chi occupera’ i ruoli di vertice, occupati dai latitanti”.
    Lo ha detto il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario di Palermo, con un pressante invito ad “aumentare gli sforzi” anche dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
    “Cosa nostra – ha aggiunto – e’ in oggettiva profonda difficolta’ che deriva anche alle indagini svolte e che hanno portato il 16 gennaio scorso alla cattura di Matteo Messina Denaro, ma e’ tutt’altro che sconfitta”.
    E scaccia le “ombre”: “E’ stata una indagine impeccabile su cui ho sentito, da subito, gettare ombre. Ciascuno e’ libero di esprimere le proprie opinioni, ma speculazioni e dietrologie si devono fermare do fronte all’evidenza dei fatti. Alcuni sono gia’ noti altri lo saranno.
    Tutto lo Stato, dal Ros alla Guardia di finanza alla polizia, ha ottenuto questo successo storico che io in qualita’ di capo distrettuale antimafia, ho il dovere di affermare, senza speculazioni e dietrologie di nessun tipo”.
    “Cosa nostra è in un’oggettiva e profonda difficoltà che deriva anche dalle indagini che hanno potato all arresto del boss Messina Denaro. Ma la mafia è tutt’altro che sconfitta. Le evidenze investigative ci raccontano dell’esistenza di una grossa tensione tra le cosche che vorrebbero tentare l’ennesima ricostituzione della sua struttura centrale, la Cupola per usare un termine entrato nel linguaggio comune”
    “I processi e le indagini – ha aggiunto – dimostrano l’impegno delle forze e dell’ordine e dei magistrati che hanno tamponato finora questi tentativi. Ma oggi la mafia cerca di colmare i vuoti lasciati dal latitante e dai suoi. Stiamo attenti a non far passare un messaggio sbagliato”. LEGGI TUTTO

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    Mafia, ecco lo statuto scritto dei padrini costituenti

    Esiste uno statuto di Cosa nostra scritto dai “padri costituenti”, i vecchi padrini mafiosi, dove per “democrazia” gli affiliati “sono la stessa cosa”.E queste norme sarebbero ancora rispettate e ne viene imposta l’osservanza agli affiliati. Questi principi mafiosi più arcaici sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa della Mafia.
    Alzano il velo sui segreti più nascosti delle cosche palermitane i carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale di Palermo che con un blitz, dopo un’inchiesta che si è avvalsa “delle più sofisticate tecnologie di captazione”, hanno sgominato la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, retta dal clan Badagliacca, inquadrata nel mandamento palermitano di Pagliarelli, arrestando sette mafiosi (due ai domiciliari) tra cui uomini d’onore riservati e sventando pure l’omicidio di un architetto che avrebbe sbagliato pratiche di sanatorie edilizia mancando di rispetto al boss
    . In cella sono finiti Pietro Badagliacca, già condannato a 14 anni per Mafia e poi scarcerato, il figlio Angelo e suo nipote Gioacchino (anche loro già condannati per Mafia), Marco Zappulla e Pasquale Saitta. Ai domiciliari sono andati gli ultrasettantenni Michele Saitta e Antonino Anello.
    La cosca, dicono i carabinieri, in passato è stata protagonista di “episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta a Marsiglia del capomafia corleonese deceduto Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la gestione dei contatti con il boss trapanese Matteo Messina Denaro”.
    Gli investigatori, coordinati dai sostituti Federica La Chioma e Dario Scaletta, sono riusciti ad ascoltare ciò che i mafiosi dicevano e decidevano durante una riunione super segreta, nel settembre 2022, in una casa nelle campagne di Butera (Caltanissetta) scoprendo il dissidio tra Pietro Badagliacca e il nipote Gioacchino che è culminato in “un vero e proprio processo nella riunione nissena con i fratelli Saitta come arbitri”.
    Pace tra i due suggellata dalla promessa di Pietro di uccidere l’architetto che aveva “mancato di rispetto” al nipote Gioacchino. In quelle conversazioni registrate definite dal gip Lirio Conti “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”, è stato fatto più volte il richiamo all’esistenza di un “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana.
    E anche gli usi e costumi della Mafia rimangono quelli antichi anche se le reazioni delle vittime oggi spesso sono mutate come nel caso dell’imprenditore edile che ha denunciato dopo aver ricevuto una bambola con un proiettile conficcato nella testa e “impiccata” alla porta d’ingresso della villetta.
    L’obiettivo era quello di costringere la vittima a rivolgersi alla famiglia della zona per la “messa a posto”, garantendo una percentuale dell’appalto. Gioacchino Badagliacca ha appeso la bambola al cancello e si è lamentato di averlo fatto da solo.
    Al telefono parlando con Antonino Anello dice: “Zio Ninì, io, sono uscito la notte io! Anche questa cosa, cioè, si doveva andare a fare la bambola. A metterci un segnale per farli venire perché avevano preso impegni in questi due anni che io sono stato lì dentro”. LEGGI TUTTO

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    Trovata l’auto di Matteo Messina Denaro, il boss studiava Putin

    La Polizia di Stato ha trovato vicino al terzo “covo” l’auto del boss Matteo Messina Denaro. In corso la perquisizione della vettura, un’Alfa Romeo Giulietta. L’auto  è stata ritrovata nei pressi dell’abitazione di Giovanni Luppino, l’autista del capomafia arrestato con lui lunedì mattina. Era stato propri Luppino ad accompagnare il boss in clinica.
    Secondo gli investigatori, all’alba di lunedì il boss avrebbe lasciato la sua Giulietta vicino all’abitazione di Luppino e con la Bravo dell’uomo incensurato hanno raggiunto Palermo.
    Gli investigatori sono riusciti a trovare l’automobile perché nel borsello trovato al capomafia dopo l’arresto c’era una chiave. Dal codice della chiave, i pm sono arrivati alla Giulietta, poi gli investigatori hanno ricostruito, grazie un sistema di intelligenza artificiale, gli spostamenti del veicolo del capo mafia risalendo al suo nascondiglio di vicolo San Vito.
    Dell’Alfa Romeo Giulietta di colore scuro erano state trovate le chiavi nel borsello del boss, al momento dell’arresto avvenuto il 16 gennaio presso una clinica privata di Palermo.
    La macchina e’ stata rinvenuta dagli investigatori della Polizia a pochi passi dall’abitazione di Giovanni Luppino, a Campobello di Mazara, l’autista di fiducia di Messina Denaro, che lo hai poi condotto nel capoluogo siciliano con la sua vettura, una Fiat Brava. Le indagini sono coordinate dal procuratore capo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
     I biglietti aerei per le vacanze e il libro su Putin
    Investigatori e magistrati proseguono l’analisi dei reperti ritrovati nel covo del boss Matteo Messina Denaro di vicolo San Vito (ex CB31) a Campobello di Mazara. Oltre a scontrini, biglietti aerei con destinazioni varie, tra cui Inghilterra, Sud America, nell’ultima casa abitata dal boss che e’ stato latitante per 30 anni, sono stati ritrovati numerosi libri, anche storici, tra cui uno sul premier russo Putin. LEGGI TUTTO

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    Trovato l’archivio di Matteo Messina Denaro

    L’archivio segreto del boss Matteo Messina Denaro era nascosto in un puff scoperto nel terzo covo.Contiene tutta la sua contabilità, agenda, numeri di telefoni, contatti, ma anche gioielli. Resoconti dei suoi spostamenti, dei suoi movimenti. Un colpo importante per gli investigatori che servirà a dare impulso alla caccia dei fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e a tutti coloro che lo hanno aiutato nella lunga latitanza.
    Intanto il Gip Fabio Pilato, accogliendo la richiesta del Pm della Dda di Palermo Piero Padova, ha disposto la custodia cautelare in carcere per Giovanni Luppino, l ‘agricoltore di olive che ha fatto l’autista al boss Matteo Messina Denaro e che è stato arrestato lunedì insieme al capomafia.
    Al momento dell’arresto Giovanni Luppino, l’autista fidato di Matteo Messina Denaro, aveva in tasca, oltre a due telefoni cellulari in modalità aerea, anche dei ‘pizzini’, “una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefoni, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo”.
    A scriverlo,  è il gip di Palermo Fabio Pilato nella ordinanza di custodia cautelare a carico dell’autista del boss appena emessa, 24 ore dopo la convalida dell’arresto del commerciante di olive. Nell’interrogatorio l’uomo ha detto di non sapere che si trattasse del boss Messina Denaro. Ma il gip non gli ha creduto.
    Subito dopo il suo arresto, lunedì mattina, alla clinica Maddalena di Palermo, il boss Matteo Messina Denaro avrebbe detto al suo autista, Giovanni Luppino “E’ finita”. A raccontarlo, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare è lo stesso commerciante di olive finito in carcere con il capomafia.
    Luppino “ha dichiarato di ignorare la vera identità di Messina Denaro – scrive il gip – specificando che, circa sei mesi addietro, il suo idraulico di fiducia, Andrea Bonafede, glielo aveva presentato indicandolo come un suo cognato, di nome Francesco.
    Dopo quel brevissimo incontro, durato appena una manciata di minuti, non lo aveva più visto né incrociato, fino alla mattina del 16.1.2023 quando il tale Francesco, sedicente cognato di Andrea Bonafede, si era presentato all’alba (ore 5,45 del mattino) per chiedergli la cortesia di accompagnarlo a Palermo, dovendo sottoporsi a delle cure mediche in quanto malato di cancro”.
    “Luppino ha concluso le sue dichiarazioni sostenendo di essersi reso conto della vera identità di Messina Denaro soltanto a seguito dell’intervento dei Carabinieri, quando aveva chiesto al tale Francesco se cercassero lui, ottenendo in risposta le testuali parole: ”si, è finita”. LEGGI TUTTO

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    Matteo Messina Denaro e quei poster de Il Padrino e The Jocker

    I suoi due idoli erano il Padrino e the Jocker: ed è per questo che sui muri del covo in vico San Vito a Campobello di Mazara, Matteo Messina Denaro aveva deciso di affiggere i loro poster. Per lui probabilmente due modelli di ispirazione.Uno di questi era una stampa di Marlon Brando nell’interpretazione del padrino Vito Corleone nel primo episodio della saga di Francis Ford Coppola Il Padrino. L’immagine che il boss aveva deciso di tenere sulla sua parete raffigurava il padrino in una scena memorabile del film, quando Vito Corleone vestiva con un elegante papillon e una rosa rossa alla sua destra nel giorno della comunione di sua nipote.
    Ma anche il poster di Jocker, il personaggio di Batman che seminava terrore nella sua follia distruttiva. Ma ieri è stato scoperto anche un terzo covo.
    Si tratta di un appartamento al primo piano di una palazzina gialla. Il paese è sempre lo stesso: Campobello di Mazara, piccolo centro del trapanese.  A poche centinaia di metri dall’abitazione di vicolo San Vito individuata qualche ora dopo il blitz, nella quale sono stati rinvenuti documenti con delle sigle, e non distante dal bunker trovato ieri dalla Guardia di Finanza.
    La casa, che il capomafia avrebbe occupato fino a giugno scorso, è in via San Giovanni. E al momento è vuota e sarebbe in vendita. All’immobile, perquisito dagli inquirenti nel pomeriggio, si è arrivati seguendo un trasloco. Sono in corso indagini per accertare se nell’appartamento siano state ricavate stanze segrete come quella scoperta ieri dalle Fiamme Gialle.
    Un bunker blindato nascosto da un armadio pieno di vestiti, al quale si accede da un fondo scorrevole. A dare la chiave di quel che ha definito un ripostiglio – a quanto pare pieno di scatoloni, alcuni gioielli, pietre preziose e argenteria – è stato il proprietario della casa nella quale il rifugio era stato ricavato: Errico Risalvato, fratello di un fedelissimo del boss condannato per mafia e a lungo indagato.
    La Procura, guidata da Maurizio de Lucia, dovrà ora esaminare tutto il materiale recuperato dopo l’arresto: l’agenda che era nel borsello del capomafia al momento del blitz, che conterrebbe anche riflessioni e pezzi di lettere, i due cellulari di Messina Denaro, post-it, appunti e documenti con sigle, numeri di telefono, nomi e cifre che fanno pensare a una sorta di promemoria su investimenti e spese trovati nell’appartamento di vicolo San Vito e che sono ora all’analisi del Ris. Al momento non ci sarebbe invece traccia di un libro mastro.
    E sull’eventualità che qualcuno possa essere entrato nei covi di Messina Denaro per ‘ripulirli’ subito dopo il suo arresto e prima dell’arrivo degli investigatori, il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, spiega: “Non siamo in grado di dire se qualcuno sia andato prima. Mi auguro che se ci sia stato qualcuno abbia lasciato qualche traccia. E’ un’ ipotesi, ma allo stato non siamo in grado di confermarla”.
    E’ stata posta infine sotto sequestro la casa di proprietà della mamma di Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al capomafia e che ha acquistato con i soldi del boss l’appartamento di vicolo San Vito, occupato dall’ex latitante negli ultimi mesi.
    Il numero di cellulare dell’ex maestro venerabile della loggia Ferrer di Castelvetrano
    Il Fatto Quotidiano scrive oggi che il numero di cellulare dell’ex maestro venerabile della loggia Ferrer di Castelvetrano è stato ritrovato nel portafogli di Giuseppe Luppino. Dopo l’arresto il broker di olive è stato perquisito: nelle sue tasche un coltello a serramanico e molti bigliettini.
    Tra questi anche quello di un urologo molto noto a Castelvetrano. Che però ha risposto al quotidiano che “se c’era, era per motivi urologici. Perché io lavoro da 42 anni. Il mio numero, tra l’altro, è su Internet per pubblicità”.
    Il medico ha detto di non essere più il responsabile della loggia. L’ex pm Teresa Principato ha detto che la latitanza di Messina Denaro è stata protetta dai massoni. La procura di Maurizio de Lucia dovrà ora esaminare tutto il materiale recuperato dopo l’arresto. Ovvero l’agenda che era nel borsello del capomafia al momento del blitz.
    Che conterrebbe anche riflessioni e pezzi di lettere. E poi due cellulari, post-it, appunti e documenti con sigle e numeri di telefono. Nomi e cifre che sembrano promemoria su investimenti e spese trovati nell’appartamento di via Cb 31 e che sono ora all’analisi del Ris.scambiato con l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino. Ma la scoperta più interessante riguarda un numero di telefono.
    La contabilità nell’agendina di colore bordeaux
    Ma la parte che potrebbe essere investigativamente più interessante è la contabilità. Il Messaggero racconta oggi che l’agendina di colore bordeaux con gli appunti dell’ultimo dei Corleonesi, oltre a riflessioni sulla vita e sulla morte, riportava cifre con molti zeri. Uscite fino a 10 mila euro al mese e scontrini per cene da 700.
    La scoperta degli scontrini ha già suscitato qualche interrogativo. Perché pare curioso che un boss latitante da quasi trenta anni decida di portare con sé tante tracce dei suoi spostamenti (e degli eventuali fiancheggiatori). Nell’agendina c’è anche traccia di investimenti a partire dall’anno 2016.
    In alcune pagine ci sono indizi sulla rete di amicizie. I primi nomi sono collegati alla politica locale. E poi ci sono i post-it. Un elenco di località, quasi tutte lontane dalla Sicilia. Secondo i carabinieri potrebbe essere utile per ricostruire gli spostamenti di ‘U Siccu in questi ultimi anni. E fare luce su alcuni misteri.
    Il boss ha rifiutato la prima chemioterapia in carcere
    Invece La Stampa racconta i dettagli di quello che è accaduto ieri tra L’Aquila e Caltanissetta. Il boss aveva l’opportunità di collegarsi dal carcere di Preturo in aula nell’udienza d’appello di un processo in cui è stato già condannato in primo grado come responsabile delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
    Alla fine la sedia del Padrino è rimasta vuota. Messina Denaro ha nominato come suo difensore la nipote Lorenza Guttadauro. Ma alla fine l’udienza è stata rinviata. Con la motivazione che il boss avrebbe dovuto sottoporsi alla prima seduta di chemioterapia a Le Costarelle. Ma alla fine la somministrazione di farmaci chemioterapici l’ha saltata. Le cure erano state organizzate davanti alla sua cella.
    All’ultimo momento Messina Denaro ha fatto saltare tutto. Perché pare che non fosse convinto della quantità di dosi da ricevere. “Preferirei che mi visitasse il mio medico che mi curava a Palermo”, avrebbe detto riferendosi al professionista de La Maddalena. La seduta è stata sospesa. I magistrati decideranno se autorizzare la trasferta del dottore siciliano. LEGGI TUTTO

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    Matteo Messina Denaro: individuato il secondo covo del boss

    Sarebbe stato individuato il secondo covo utilizzato dal boss Matteo Messina Denaro.
    Si tratterebbe di una sorta di bunker realizzato all’interno di un’altra abitazione che si trova nella stessa area di Campobello di Mazara dove ieri era stato trovato il primo covo del boss arrestato lunedì
    Non è ancora chiaro se si tratti del luogo in cui il capomafia nasconde il suo tesoro: documenti riservati, pizzini, soldi che i magistrati cercano.
    Lo scopriranno i carabinieri dopo la perquisizione del bunker appena scoperto, che si trova a circa 300 metri dall’abitazione in vicolo San Vito. Gli investigatori stanno attendendo l’arrivo del magistrato.
    E’ fissata per domani l’udienza di convalida di Giovanni Luppino, il commerciante di olive incensurato, alla guida dell’auto che due giorni fa ha condotto Matteo Messina Denaro presso la clinica La Maddalena di Palermo, dove era in cura per una forma aggressiva e avanzata di cancro al colon.
    L’uomo, arrestato insieme all’ex latitante, dovra’ rispondere, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, di favoreggiamento aggravato. LEGGI TUTTO

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    Matteo Messina Denaro, nel covo di proprietà di Bonafede anche Viagra

    Viagra e preservativi, scarpe e orologi di lusso, un televisore di ultima generazione e vestiti griffati.Questi gli oggetti ritrovati secondo quanto si apprende nell’appartamento di via CB31, a Campobello di Mazara, dove viveva “da almeno sei mesi” il boss arrestato ieri Matteo Messina Denaro.
    L’appartamento di Campobello di Mazara che era utilizzato da Matteo Messina Denaro secondo i primi accertamenti risulterebbe di proprieta’ di Andrea Bonafede, l’alias utilizzato dal boss anche per curarsi alla clinica privata “La Maddalena” dove ieri e’ stato arrestato. Andrea Bonafede, secondo fonti giudiziarie, e’ iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento aggravato.
    “Matteo Messina Denaro abitava qui da almeno sei mesi”. Così il comandante provinciale dei carabinieri di Trapani Fabio Bottino parlando dell’appartamento – “ben ristrutturato” – in cui viveva il boss in queste ore oggetto di perquisizioni e accertamenti. I carabinieri sono al lavoro per rilevare eventuali nascondigli. “Un lavoro per il quale occorreranno giorni”
    “Non faceva una vita monastica, in stile Provenzano cosi’ per fare un esempio”, conferma il procuratore aggiunto Paolo Guido. Avrebbe anche avuto diverse frequentazioni con donne, il boss Matteo Messina Denaro, oltre a girare “indisturbato” per locali e ristoranti. Il boss usciva indisturbato e nessuno, neanche tra i vicini, sembrava conoscerlo.
    L’appartamento di Campobello – secondo i primi accertamenti – risulterebbe di proprieta’ di Andrea Bonafede. Nell’appartamento – tra le altre cose – sarebbero state rinvenute “pillole” da utilizzare in occasioni “amorose”. Le indagini intanto proseguono per verificare e individuare la rete dei favoreggiatori: dal medico Alfonso Tumbarello, 70enne medico di Campobello di Mazara, che ha effettuato le prescrizioni mediche per le cure anticancro; ad Andrea Bonafede, iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento aggravato.
    Il medico indagato fu candidato alle regionali con Cuffaro
    Il medico Alfonso Tumbarello, 70 anni, indagato nell’ambito dell’arresto di Matteo Messina Denaro per aver fatto ad Andrea Bonafede, l’alias del boss, prescrizioni e l’accesso alle visite oncologiche, si era candidato nelle elezioni amministrative del 2011 a sindaco di Campobello Di Mazara (Trapani).
    Tumbarello era appoggiato dalla lista del Popolo delle Libertà e ottenne il 7,55% dei voti superando la stessa lista che prese il 3,92%. Precedentemente, nel 2006, il medico si candidò alle elezioni regionali nella lista (Casini-Udc) collegata a quella regionale “Per la Sicilia Cuffaro Presidente” senza essere eletto.
    Totò Cuffaro, attuale commissario regionale della Dc, condannato a 7 anni di carcere (scontati) per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, venne eletto presidente col 53% dei voti battendo Rita Borsellino col 41% e Nello Musumeci col 5,2%. Nel 2003 Tumbarello venne eletto nella lista Udc al consiglio provinciale di Trapani. Molte persone lo ricordano come un bravo pneumologo.
    Rinchiuso nel carcere del l’Aquila al carcere duro
    La Dda di Palermo ha chiesto l’applicazione formale del carcere duro, il 41 bis, per Matteo Messina Denaro, che da ieri sera si trova nel carcere dell’Aquila. L’istanza è firmata direttamente dal Procuratore Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido, che hanno coordinato l’inchiesta per la cattura. Toccherà adesso al ministro della Giustizia Nordio firmare il 41 bis. LEGGI TUTTO

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    Matteo Messina Denaro e quei festini hard con le signore palermitane

    Matteo Messina Denaro, playboy impenitente e amante delle belle donne, sarebbe stato anche coinvolto in festini hard organizzati a Palermo da signore di una certa età dell’alta borghesia con studenti universitari.Una retroscena pruriginoso, emerso quasi vent’anni fa durante il dibattimento davanti ai giudici della Corte d’Assise di Palermo per l’omicidio di Calogero Santangelo, un giovane di 25 anni iscritto a Medicina e originario di Castelvetrano.
    L’uccisione dello studente sarebbe stata chiesta a Totò Riina dal padre di Messina Denaro, il vecchio boss Don Ciccio, che era stato padrino di battesimo della vittima. Per anni la morte di Santangelo è rimasta un mistero.
    L’inchiesta è stata più volte archiviata, fino a quando il pentito Giovanni Brusca ha raccontato che ad indurre Messina Denaro a chiedere l’eliminazione del ragazzo, che col figlio del capomafia condivideva donne e bella vita, sarebbe stata una partita di droga sottratta a Cosa Nostra.
    Ma c’è di più: durante la deposizione in aula del migliore amico della vittima, Salvatore Errante Parrino, è emerso anche che Santangelo avrebbe invitato spesso l’amico Matteo “per svezzarlo” ad alcuni festini a luci rosse.
    “Allora era ancora uno sbarbatello – ha detto ai giudici Errante Parrino – e Lillo Santangelo volle introdurlo nel nostro ambiente goliardico di studenti universitari che c’era negli anni Ottanta a Palermo.
    Il suo amico: “Alle feste con le signore si divertì come un pazzo”
    Ricordo che allora avevamo conosciuto delle signore di Palermo dell’alta borghesia che non lesinavano a fare feste invitando anche ragazzotti e studentelli. Ci mancava una persona per compensare con le donne presenti, e Lillo invitò Matteo. Ricordo che lo portammo alla festa e si divertì come un pazzo”.
    “Questo genere di inviti proseguì anche altre volte – ha aggiunto il teste – c’era un nostro collega iscritto a medicina che conosceva molte signore che allora si definivano tardone piacenti.
    Organizzò una festa e di queste donne ne erano presenti sei o sette, ma ci voleva un numero superiore di picciutteddi perchè un ragazzino per ogni donna non ce la faceva. Cercammo aiuto, e ognuno di noi si diede da fare per rintracciare qualcuno che ci potesse dare una mano a superare la nottata che si presumeva abbastanza lunga e intensa.
    Chiamammo Matteo, perchè prendeva la macchina e veniva di corsa da Castelvetrano. E così fece”. 

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