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    Camorra, colpo ai clan federati con i Mazzarella: 22 arresti

    Napoli. Ennesima alba di manette per la camorra napoletana e questa volta è toccata alla potente famiglia criminale dei Mazzarella o meglio ad alcuni dei clan federati.PUBBLICITA

    Sono 22 gli aarresti eseguiti stamane, su disposzione della Dda di napoli da parte di pèolizia , carabinieri e guardia di finanza nei quartieri di Forcella, Case Nuove e rione San Gaetano.

    Punti Chiave ArticoloSono tutti accusati di associazione mafiosa, estorsioni, droga e armi. E così dopo aver inferto ben tre spallate al clan Contini e all’Alleanza di Secondigliano questa volta tocca ai Mazzarella. 22 persone sono state arrestate, su disposizione del Tribunale di Napoli, con l’accusa di associazione mafiosa, tentato omicidio, lesioni, rapina, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, traffico di stupefacenti, tutti aggravati dal metodo mafioso.
    Gli indagati sono ritenuti gravemente indiziati di appartenere al clan Mazzarella, uno dei sodalizi criminali più potenti della Camorra.
    L’operazione scaturisce da due distinte indagini: Prima indagine: condotta dalla Squadra Mobile di Napoli, ha permesso di ricostruire l’ascesa del clan “Giuliano”, articolazione del clan Mazzarella, operante nei quartieri Forcella e Maddalena. Le indagini, sviluppate tra gennaio 2020 e dicembre 2021, hanno documentato la nascita del gruppo, il suo radicamento sul territorio e la stipula di un’alleanza con il clan Mazzarella.
    Sono stati inoltre accertati numerosi reati commessi dal clan, tra cui tentati omicidi, lesioni, estorsioni, rapine e traffico di droga. Seconda indagine: svolta tra la fine del 2018 e il gennaio 2022, ha fatto luce sul gruppo criminale denominato “paranza di San Gaetano”, articolazione del clan Mazzarella attiva nel centro storico di Napoli. Le indagini hanno ricostruito la struttura, l’operatività e il controllo del territorio da parte del gruppo, in particolare nel traffico e nello spaccio di stupefacenti. Dettagli sulle persone arrestate: Clan Giuliano: 10 persone, tra cui G.S., ritenuto il capo del gruppo.Paranza di San Gaetano: 7 persone, tra cui B.S., elemento di spicco del clan Mazzarella.Gruppo Caldarelli: 5 persone. Le indagini sono state condotte dalla Squadra Mobile di Napoli, dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli e dal Commissariato Vicaria-Mercato. Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Avellino: nuovo arresto per l’ex sindaco Festa nell’inchiesta “Dolce Vita”

    Avellino. Nuova stretta per l’ex Sindaco di Avellino, Gianluca Festa, già ai domiciliari da aprile scorso per presunte combine su appalti e concorsi.PUBBLICITA

    Stamattina un nuovo blitz nell’ambito dell’inchiesta “Dolce Vita”: Carabinieri e Guardia di Finanza hanno eseguito un’ordinanza cautelare emessa dalla Procura, disponendo gli arresti domiciliari per Festa e l’architetto Fabio Guerriero.

    Entrambi già indagati, le nuove accuse riguardano “plurime ipotesi di accordi corruttivi” con tre imprenditori, già colpiti da interdittiva antimafia.
    Le indagini, coordinate dal Procuratore Domenico Airoma, ipotizzano un “sistematico asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi privati” degli indagati.

    Sarebbero stati oggetto di accordi corrotti diversi appalti affidati dal Comune tra fine 2023 e inizio 2024.

    “Un sistema di gestione degli appalti pubblici basato sulla vendita sistematica della pubblica funzione e sullo spregio delle regole”, secondo il Gip.
    Sequestate 40.000 euro a testa agli indagati, per presunto profitto del reato.

    L’operazione rientra in un più ampio filone d’indagine volto a contrastare l’inquinamento dell’attività amministrativa del Comune di Avellino.
    Obiettivo: tutelare le risorse pubbliche e la par condicio tra le imprese negli appalti.
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    Gragnano, condannato a 8 anni e mezzo di carcere il ristoratore tiktoker Zi’ Ferdinandone

    Gragnano, ristoratore tiktoker condannato a 8 anni e mezzo per “cavallo di ritorno” e estorsionePUBBLICITA

    Gragnano. Una condanna pesantissima per il 43enne Giuseppe De Martino, noto ristoratore e tiktoker con il nome di Zi’ Ferdinandone.

    E’ stato condannato in primo grado a 8 anni e mezzo di reclusione per riciclaggio ed estorsione. De Martino fu arrestato nel luglio scorso e ha affrontato il processo dagli arresti domiciliari, misura ottenuta il 18 dicembre scorso.
    Il ristorante “Zi Ferdinandone“, gestito ora dai suoi familiari. Secondo le accuse avrebbe agito da intermediario tra una donna e i ladri della sua auto, orchestrando un “cavallo di ritorno” per il recupero del veicolo.

    L’uomo sarebbe fu incastrato dai filmati delle telecamere di sorveglianza della sua stessa struttura che lo avevano immortalato mentre scortava alcune auto rubate nel parcheggio del suo bed and breakfast.

    Ora i suoi legali hanno già annunciato il ricorso in Appello dove sperano in una assoluzione o in subordine in una condanna meno pesante.
    Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Pannarano, decapitato dal fratello: oggi autopsia e richiesta di analisi dell’arma

    Benevento. La Procura di Benevento ha conferito l’incarico al medico legale Emilio D’Oro per eseguire l’autopsia sul corpo di Annibale Miarelli, l’uomo di 68 anni ucciso a Pannarano dal fratello Benito. Lo ha reso noto la pm Amalia Capitanio.PUBBLICITA

    L’avvocato Teodoro Reppucci, difensore di Benito Miarelli, ha nominato un proprio consulente di parte che seguirà l’esame autoptico.

    Punti Chiave ArticoloL’autopsia è stata eseguita questa mattina. Nel corso dell’esame, il consulente della Procura ha richiesto di poter visionare l’arma del delitto per confrontarla con le ferite trovate sul corpo della vittima. Richiesta di analisi dell’arma Il consulente nominato dalla Procura ha inoltre chiesto di poter analizzare l’arma del delitto per stabilire se vi siano tracce del DNA di Annibale Miarelli. L’arma, un’ascia, si trova attualmente a disposizione dei carabinieri.
    Le indagini sul caso sono ancora in corso. L’obiettivo degli inquirenti è ricostruire i fatti con la massima precisione e accertare le eventuali responsabilità di Benito Miarelli.
    Benito Miarelli si trova in carcere con l’accusa di omicidio aggravato. L’uomo ha confessato il delitto e ha fornito agli inquirenti alcuni dettagli su quanto accaduto. Il movente Il movente dell’omicidio è ancora da chiarire. Alcune indiscrezioni parlano di un litigio tra i due fratelli, ma gli inquirenti non escludono altre piste.
    Leggi AncheSiamo la redazione di Cronache della Campania. Sembra un account astratto ma possiamo assicurarvi che è sempre un umano a scrivere questi articoli, anzi più di uno ed è per questo usiamo questo account. Per conoscere la nostra Redazione visita la pagina “Redazione” sopra nel menù, o in fondo..Buona lettura! LEGGI TUTTO

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    Fondi, marito violento allontanato da casa

    Nella giornata di venerdì, gli agenti del Commissariato di Fondi hanno proceduto a dare esecuzione a un’ordinanza di allontanamento dalla casa familiare e di applicazione della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa. Il provvedimento è stato emesso dal gip di Latina nei confronti di un 42enne fondano, già indagato per maltrattamenti in famiglia […] LEGGI TUTTO

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    Evasione fiscale da due milioni di euro, assolto imprenditore di Itri

    Si è chiusa davanti al giudice monocratico del Tribunale di Cassino Maria Cristina Sangiovanni, quella che è stata una vera e propria battaglia giudiziaria e contabile per un importante imprenditore di Itri, specializzato nella realizzazione di porte e materiali da interno. Gli uomini della guardia di finanza di Formia, infatti, successivamente a una mirata attività […] LEGGI TUTTO

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    Camorra, maxi processo la clan Contini: si torna in aula il 15 luglio

    Napoli. Il clan di camorra più imprenditoriale di Napoli torna in aula il prossimo 15 luglio dinanzi al gup Nicola Marrone per l’udienza preliminare del primo troncone del maxi processo.PUBBLICITA

    Si dovrà decidere sulle nuove imputazioni formulate dalla DDA di Napoli e sulle eccezioni dei loro difensori, ed eventualmente procedere con le prime arringhe difensive, dopo che le i pm hanno proceduto alla loro requisitoria fiume chiedendo il rinvio a giudizio per tutti gli imputati nell’udienza preliminare celebratasi nell’ aula nunker di Poggioreale.

    Come si ricorderà, si tratta di uno dei filoni di altri dieci. 140 gli indagati, 1000 pagine di ordinanza cautelare, 130 capi di imputazione e 40 ordinanze di misura cautelare.
    Secondo gli inquirenti il clan Contini avrebbe riciclato in imprese del tessuto economico campano e non solo.

    Nella lista esponenti del clan Contini, imprenditori compiacenti, prestanome, intermediari d’affari, per un giro vertiginoso di soldi che ha portato carabinieri e finanza ad operare anche una serie di sequestri per un totale di 8,4 milioni di euro.

    Otto anni di indagini, per questo filone (ve ne sono altri 10 di filoni, un vero impero) avvenute attraverso analisi di documenti fiscali, accertamenti fiscali, appostamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, testimonianze di parti offese e di collaboratori di giustizia.
    I reati contestati dagli inquirenti sono a vario titolo: falsificazione e commercializzazione di orologi a marchio contraffatto, fittizia intestazione di beni, indebite compensazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali, emissione ed utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, dichiarazione infedele, indebita compensazione, detenzione e traffico di armi da fuoco, estorsione aggravata, aggressione e tentato omicidio, tutte aggravate dal metodo mafioso per favorire la potente cosca del Clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano (Mallardo e Licciardi).

    Secondo gli investigatori, si era costituito “un vero e proprio gruppo imprenditoriale/criminale costituito da diverse società operanti sul territorio italiano ed estero create e/o acquistate” da Antonio Festa, suo figlio Gennaro Festa e Salvatore D’Amelio, il tutto grazie alla collaborazione di vari professionisti tra cui Michele Tecchia il tutto attraverso “l’imposizione fittizia e fiduciaria di numerosi prestanome”.
    Tenore di vita altissimo, investimenti in molteplici settori economici, eppure i componenti del Gruppo Festa risultavano secondo gli inquirenti “essere privi di una solida base economica”.
    L’ipotesi è che i componenti del gruppo fossero riusciti a “creare una fitta rete di società intestate a prestanome, nelle quali confluivano i proventi delle varie condotte illecite, dalla contraffazione alle frodi fiscali, e conseguenti attività di riciclaggio”.
    Nel pool difensivo: Avv. Arturo Cola, Avv. Gaetano Manzi, Avv. Giovanni Cerino, Avv. Vincenzo Romano, Avv. Claudio Davino, Avv. Massimo Viscusi, Avv. Domenico Vincenzo Ferraro, Avv. Gianluca Gambogi, Avv. Leopoldo Perone, Avv. ed altri.
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    Caivano, cuginette stuprate: prime 2 condanne

    A quasi un anno di distanza dai fatti, il Tribunale di Napoli Nord ha emesso le prime condanne per gli stupri di gruppo che la scorsa estate sconvolsero Caivano, in provincia di Napoli.PUBBLICITA

    Le vittime, due cuginette di 12 e 10 anni, erano state ricattate e abusate da un branco di giovani composto da due maggiorenni e sette minorenni.

    I maggiorenni, Giuseppe Varriale e Pasquale Mosca, sono stati condannati rispettivamente a 12 anni e 5 mesi e 13 anni e 4 mesi di reclusione. Pene più alte rispetto a quelle richieste dalla Procura (11 anni e 4 mesi e 12 anni di reclusione).
    Dovranno inoltre risarcire le vittime con una provvisionale di 50mila euro ciascuno e 20mila euro ai genitori della bambina più piccola.

    L’avvocato Clara Niola, legale della madre di una delle vittime, ha commentato: “Per la prima volta i genitori possono emettere un sospiro di sollievo. Con questa prima sentenza abbiamo messo un primo punto fermo su un’efferata vicenda di violenza carnale”.

    Nella mattinata di oggi, invece, era stato celebrato il processo per i tre minorenni, con la sentenza slittata alla prossima settimana. Parti civili a processo sono costituiti la madre della bimba più piccola è difesa dall’avvocato Clara Niola, nonché i tutori delle piccole vittime con l’avvocato Manuela Palombi.
    Il Pubblico Ministero ha chiesto condanne tra i 9 e i 10 anni di reclusione per tre dei sette ragazzi coinvolti. Per gli altri quattro, la decisione è stata posticipata all’autunno in attesa di un pronunciamento della Corte Costituzionale sul “decreto Caivano”.

    Le due vittime, intanto, si trovano ancora separate dalle famiglie e vivono in comunità. I genitori della più grande hanno visto anche gli altri figli minori allontanati e collocati in strutture di accoglienza.

    Leggi AncheCollaboratore di lunga data di Cronache della CampaniaDa sempre attento osservatore della società e degli eventi.Segue la cronaca nera. Ha collaborato con diverse redazioni. LEGGI TUTTO

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    Processo Galleria Umberto, la polemica dell’avvocato di uno degli imputati

    Lo scandalo del Processo galleria Umberto, la sentenza di primo grado tenta di scagionare il Comune: parla l’avvocato di uno degli imputatiPUBBLICITA

    E’ in corso l’Appello del processo sulla morte del giovane Giordano. “Si discute ancora sulla proprietà di un monumento storico quando, ai sensi dell’art.9 della Costituzione, senza alcun dubbio, la pubblica amministrazione, è l’unico soggetto deputato, alla tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione”. Le parole di uno degli avvocati.

    Si avvicina un’altra udienza per il processo del crollo in galleria Umberto a Napoli, che causò la morte del giovane Salvatore Giordano, che riportò gravi ferite dopo essere stato colpito alla testa dal pesante frammento di un fregio staccatosi dall’opera architettonica.
    La Galleria Umberto di Napoli è un monumento storico e pertanto di proprietà del Comune, in particolare il fregio dell’arco che sostiene la volta ha una funzione importante per mantenere la cupola che è inconfutabilmente dell’amministrazione partenopea, come evidenziato anche dal procuratore generale nel corso dell’ultima udienza, che si è tenuta il 27 maggio davanti alla Corte d’Appello di Napoli.

    Inoltre ci sono leggi e documenti che lo attestano, e che sono stati acquisiti per il processo di appello che è ancora in corso.
    “Si discute ancora sulla proprietà di un monumento storico quando, ai sensi dell’art.9 della Costituzione, senza alcun dubbio, la pubblica amministrazione è l’unico soggetto deputato alla tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione”.
    Queste sono le parole dell’Avv. Carlo Spina, difensore di uno degli imputati che, come altri tre appellanti, ha rinunciato alla prescrizione in modo da poter difendere fino all’ultimo la propria innocenza dal pregiudizio di una sentenza di primo grado, che lo vede condannato per la mancata tutela di un bene che “per comune sentire” non è di proprietà privata.

    Del resto, tale “comune sentire” nel corso del processo ha trovato piena condivisione nella testimonianza dell’accreditato accademico Prof. Nicola Augenti, più volte chiamato a svolgere il ruolo di consulente in importanti processi, come quello del crollo del ponte Morandi di Genova.
    Infatti, l’accademico nominato consulente della procura,sentito davanti al giudice di primo grado, ha affermato che, senza alcun’ombra di dubbio, il frontone, da dove si è staccato l’intonaco assassino, è di proprietà pubblica.
    Del resto, il regolamento del condominio di piazzetta Matilde Serao n.7, documento acquisito agli atti del processo, nulla dice riguardo ad uno specifico intervento sul frontone assassino.
    Un altro elemento portato all’attenzione del giudice dallo stesso difensore dell’imputato che ha rinunciato alla prescrizione, è rappresentato da un atto, a firma del Prof. Nicola Spinosa, con il quale nell’anno 1996, a seguito della caduta di intonaci dall’arco di ingresso della galleria, lato via Santa Brigida, causate da infiltrazioni d’acqua sulla copertura dell’arcone, la soprintendenza dei beni artistici di Napoli invitava l’amministrazione comunale adintervenire provvedendo anche al restauro delle parti danneggiate;
    di fronte a questo atto di un organo amministrativo, deputato alla tutela del patrimonio artistico, il comune di Napoli riteneva di doversene fare carico affidandone i lavori di restauro a ditta specializzata.
    Del resto, lo stesso teste Carughi, sempre in occasione della sua deposizione davanti al giudice di primo grado affermava: che così si era proceduto perché si riteneva che l’arcone fosse di proprietà pubblica, in quanto sottoposto ipso iure a vincolo e la stessa valutazione poteva, a suo avviso, estendersi anche agli altri ingressi della Galleria.
    La situazione è talmente chiara che mi sembra scandalosa la sentenza di primo grado, in una vicenda che ha causato la morte di un giovane ragazzo, 10 anni fa – ha continuato l’avvocato, che ha poi spiegato -, prima di tutto perché c’è una legge dello stato, la legge di Napoli, del 1885, che vieta la vendita a privati (e quindi alle banche) delle facciate che sono sulle strade sulle fasce orizzontali del monumento storico, sui quali si può intervenire solo attraverso un fondo pubblico che prevede un 50% a carico del Comune e un 50% a carico dello Stato.
    C’è chi ha parlato di un atto di compravendita dell’appartamento al quarto piano del 1917 – ha continuato Spina – che in realtà conferma solo quanto abbiamo detto, cioè che le banche non potevano vendere il terrazzo (sotto il quale vi è il frontone al di sopra dell’arco d’ingresso della galleria).
    Nello specifico in questo atto di vendita del 1917 si fa riferimento alla vendita dell’appartamento annesso al terrazzo (quello che è sul frontone incriminato) e si specificano anche i confini del bene venduto, come previsto dal codice civile Pisanelli, precedente a quello attuale, che impone che si trasferiscano le cose che sono esplicitamente scritte.
    Proprio in questo documento i beni da trasferire al proprietario D.R sono elencati e difatti non vi è la torre incriminata proprio perché non poteva esserci, poiché di proprietà comunale e dunque non vendibile: la non vendibilità, per intenderci, deriva proprio dalla natura giuridica del terrazzo, diversa da quella dell’appartamento”.
    Il procuratore generale nella sua ultima requisitoria in aula, ha parlato “di una lacunosa manutenzione decennale”, che pero è stata segnalata più volte dai condomìni adiacenti all’arco in questione che comunicarono al Comune diverse volte (nel 2009 e poi nel maggio 2014) la necessità di intervenire per mettere in sicurezza la parte, sulla quale però, da semplici cittadini, non poterono mettere mano in quanto parte monumentale della galleria.
    Seppur i rilievi siano stati evidenziati in aula, la sostituto procuratore generale, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado alla Corte di Appello. Confondendo anch’essa che quello che chiamiamo Galleria è divisa in una parte privata (fabbricati condominiali e relative facciate) e una parte pubblica (strade coperte dalle volte a vetro e relative pertinenze che comprendono i fregi.
    Un’ultima considerazione, che secondo lo stesso difensore potrebbe fare anche un comune cittadino alla lettura delle motivazione della sentenza che attribuiscono al frontone una funzione di decoro delle facciate dei confinanti condomini, attribuendone, perciò, anche l’obbligo della sua manutenzione, che se venisse applicato lo stesso metro di giudizio alla fontana di Trevi che forma un tutt’uno con la facciata di palazzo Poli, in mancanza di idonea documentazione, l’obbligo manutentivo andrebbe a ricadere, per quel principio di Trevi “presunzione” richiamato nella sentenza del Tribunale di Napoli, esclusivamente sui proprietari del palazzo del duca Poli, che potrebbero, come fece Totò, nel noto film “Totò Truffa 62“, venderlo a terzi.
    Leggi AncheSiamo la redazione di Cronache della Campania. Sembra un account astratto ma possiamo assicurarvi che è sempre un umano a scrivere questi articoli, anzi più di uno ed è per questo usiamo questo account. Per conoscere la nostra Redazione visita la pagina “Redazione” sopra nel menù, o in fondo..Buona lettura! LEGGI TUTTO

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    Violenza sessuale in un cantiere di Latina, 41enne agli arresti domiciliari

    Nel corso del pomeriggio di mercoledì, a Latina, all’esito di attività di indagine, i carabinieri della Stazione locale hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. Il provvedimento, emesso dall’ufficio gip del Tribunale di Latina, è nei confronti di un 41enne residente a Brusciano, in provincia di Napoli, in atto […] LEGGI TUTTO