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    Rosalia Messina Denaro, erede del potere e degli affari del fratello

    “Gia’ il fatto di appartenere all’associazione mafiosa Cosa nostra e’ sintomo di per se’ di una personalita’ particolarmente pericolosa e tendente al crimine”.Nel caso Rosalia Messina Denaro, scrive il gip di Palermo nell’ordinanza che ha deciso l’arresto della sorella dell’ex latitante, “l’essere stata la donna che ha gestito al piu’ alto livello i rapporti con il capo mafia rende evidente il pericolo che l’intera associazione, dopo l’arresto del fratello, possa individuare in lei la nuova mente strategica dell’organizzazione”.
    Senza considerare poi, avverte Alfredo Montanto, “che i flussi di Denaro da ella gestiti sono ancora tutti in circolazione o custoditi in luoghi sicuri”, cosi’ “se lasciata in liberta’, la donna ben potrebbe compiere altri delitti finalizzati al controllo economico del territorio o a reinvestimenti illeciti o piu’ in generale prosegua nell’attivita’ criminale in Cosa nostra o per conto di Cosa nostra”.
    Il provvedimento a carico della sorella del boss catturato il 16 gennaio scorso dopo 30 anni di latinanza a Palermo, e’ stato disposto dal gip Alfredo Montalto, che ha accolto la richiesta del procuratore De Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido.
    In azione i Ros, i carabinieri del Comando provinciale di Trapani e dello squadrone eliportato dei Cacciatori di Sicilia. Secondo i magistrati Rosalia avrebbe fornito aiuto per anni al fratello durante la sua latitanza, gestendo la “cassa”e il sistema di comunicazione (i cosiddetti “pizzini”) che hanno permesso a Matteo Messina Denaro i contatti con il suo clan e di continuare i suoi ingenti affari anche durante la trentennale latitanza.
    Rosalia Messina Denaro, 68 anni, e’ la sorella piu’ grande di Matteo Messina Denaro ( le altre sono Patrizia, che sta scontando una condanna per mafia, Giovanna e Bice) ed e’ sposata con Filippo Guttadauro, boss di Brancaccio (Palermo) che dopo avere scontato 14 anni di carcere per associazione mafiosa resta al 41 bis, per la sua pericolosita’.
    E’ stata arrestata a Castelvetrano, nella casa di famiglia. E’ la madre di Lorenza Guttadauro, avvocata e difensore scelto dallo zio Matteo Messina Denaro, sposata con Luca Bellomo, scarcerato pochi mesi fa.
    Rosalia Messina Denaro: pizzino nascosto a casa sua portò all’arresto del boss
    Un pizzino nascosto in una sedia della casa di Rosalia Messina Denaro lo scorso dicembre diede l’input per la cattura del superlatitante. Lo scoprirono i militari del Ros mentre piazzavano alcune cimici nella casa della donna. Il biglietto, scritto da Rosalia conteneva la descrizione dettagliata delle condizioni cliniche di Matteo Messina Denaro.
    Con la diagnosi precisa poi i carabinieri del Ros e i magistrati della Dda guidati dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido hanno cominciato a scandagliare il database del sistema sanitario nazionale per trovare le persone affette da quel tumore di un’età compatibile e in Sicilia.
    Una ricerca che poco alla volta ha portato al nome di Andrea Bonafede. Il riscontro finale è arrivato controllando le celle del telefono del vero Andrea Bonafede ed è emerso che al momento delle operazioni a Mazara del Vallo e a Palermo il suo telefono era a casa funzionante.
    Rosalia Messina Denaro gestiva la cassa di famiglia
    La sorella di Matteo Messina Denaro è stata fermata dai carabinieri del Ros a Castelvetrano, nell’abitazione di famiglia in via Alberto Mario. Il pool coordinato dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido le contesta l’accusa di associazione mafiosa: “Per aver gestito la cassa della famiglia” ed essere stata “punto di riferimento della riservata catena dei pizzini del latitante”.
    Rosalia, detta Rosetta, la maggiore delle quattro sorelle dell’ex latitante, è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, assiste il capomafia.
    Come tutti gli storici latitanti mafiosi, costretti a trovare il modo per comunicare nonostante la vita alla macchia, anche Matteo Messina Denaro usava i ‘pizzini’. Emerge dall’inchiesta del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido che ha portato oggi all’arresto della sorella del boss, Rosalia, vera e propria collettrice dei biglietti del fratello.
    Decine i pizzini scoperti dopo l’arresto dell’ex latitante. Messaggi arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice di “Fragolone (soprannome della sorella Rosalia ndr), Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela”.
    I pizzini venivano veicolati attraverso una catena, più o meno lunga, di fedelissimi, che lo stesso boss, nei suoi scritti, definiva ‘tramiti’. Nel sistema del latitante finora ancora più impenetrabile di quello degli altri capi, però, c’era una falla. Per anni Messina Denaro ha adottato mille cautele, prima fra tutte quella di non Iasciare traccia dei biglietti che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura.
    Stavolta però il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”.
    Un errore che ha commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”.
    Errori che hanno consentito ai carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”. LEGGI TUTTO

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    Arrestata la sorella del boss Matteo Messina Denaro

    Arrestata la sorella del boss Messina Denaro, Rosalia Messina Denaro indagata per associazione di tipo mafioso.
    Il Ros, con il supporto del comando provinciale carabinieri di Trapani e dello squadrone eliportato cacciatori di Sicilia, ha eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Palermo, su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo.
    Rosalia Messina Denaro, 68enne, è la madre di Lorenza Guttadauro, avvocata scelta dal capomafia di Castelvetrano dal giorno successivo al suo arresto. Il marito di Rosalia Messina Denaro è Filippo Guttadauro, boss del quartiere palermitano di Brancaccio. In carcere anche il secondo figlio della coppia, Francesco. LEGGI TUTTO

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    Il boss Marco Raduano evaso dal carcere di Nuoro: è caccia all’uomo

    Attivate anche nel Gargano e nel Foggiano le ricerche di Marco Raduano il quarantenne boss della mafia di Vieste evaso ieri sera dal carcere di massima sicurezza di Badu’ e Carros di Nuoro.
    Raduano è riuscito a scappare calandosi dal muro di cinta dell’istituto penitenziario con lenzuola. Subito dopo la fuga in Sardegna è scattata la caccia all’uomo con controlli e posti di blocco anche ai porti e agli aeroporti.
    Caccia all’uomo scattata anche sul Foggiano e, in particolare, sul Gargano dove il latitante potrebbe trovare aiuto e protezione. Raduano il 3 febbraio scorso era stato condannato, in via definitiva, alla pena di 19 anni di reclusione per associazione a delinquere per il traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso.
    Raduano è coinvolto anche nell’omicidio di Giuseppe Silvestri, membro del clan della mafia garganica Li Bergolis-Miucci-Lombardone, assassinato il 21 marzo 2017. Del delitto è accusato Matteo Lombardi. Secondo le rivelazioni di un pentito con Lombardi vi era anche Raduano. LEGGI TUTTO

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    Bonafede resta in carcere: “Ho aiutato Messina Denaro per paura”

    Andrea Bonafede, l’uomo che ha ceduto la propria identita’ al boss mafioso Matteo Messina Denaro, resta in carcere.Lo ha stabilito oggi il Tribunale del Riesame, dopo aver sciolto la riserva al termine dell’udienza, respingendo l’istanza contro la misura cautelare in carcere, presentata dall’avvocato Andrea Pasanante, legale del 59enne accusato di associazione mafiosa.
    Ha agito dietro grave minaccia, dunque, in stato di necessità: questa la linea difensiva di Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara in carcere con l’accusa di associazione mafiosa, per aver prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro.
    Il suo legale ha sostenuto davanti al tribunale del Riesame, al quale ha chiesto la revoca della misura cautelare, che Bonafede abbia assecondato le richieste del capomafia per paura, ma ha negato che il boss abbia esplicitamente minacciato il suo assistito. Una sorte di timore reverenziale, dunque, che derivava dal rilievo criminale del boss.
    Bonafede e Messina Denaro si conoscevano da bambini
    L’avvocato ha raccontato inoltre che il geometra e il padrino si conoscevano da ragazzi e si sarebbero rivisti due anni fa. Casualmente, allora, Messina Denaro avrebbe chiesto aiuto a Bonafede che, dunque, non nega di avere sempre saputo chi era il suo interlocutore.
    Il legale ha inoltre detto che il capomafia, ormai certo di avere i giorni contati, si muoveva con una certa libertà in paese e che, sapendo di essere gravemente malato, aveva ridotto il livello di cautela sempre avuto. Argomentazioni che, secondo il pm Piero Padova sarebbero illogiche.
    Da cosa sarebbe derivato il timore visto che non c’erano state minacce esplicite? – ha replicato – e soprattutto visto che il latitante ormai certo di morire non era più, a dire dello stesso legale, il padrino di un tempo. Inoltre lo stato di necessità, per l’accusa, mal si concilia con una condizione che si è protratta per due anni. I giudici si sono riservati la decisione. LEGGI TUTTO

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     Messina Denaro: ‘Su di me vengono raccontate balle’ . Per lui seconda chemio

    “Sono incazzato, per le notizie che apprendo nei telegiornali”.E’ quanto avrebbe riferito il boss Matteo Messina Denaro a fonti sanitarie e penitenziarie all’interno del carcere di massima sicurezza dell’Aquila dove è detenuto in 41bis. Il boss sottolinea che sul suo conto “vengono raccontate balle, ed è tutto frutto di fraintendimenti”.
    Messina Denaro contrariamente ai primi giorni di reclusione ora guarda con attenzione la televisione.
    Seconda seduta di chemioterapia per Matteo Messina Denaro dentro il supercarcere dell’Aquila. Questa mattina l’equipe di oncologi dell’ospedale guidata dal primario Luciano Mutti sta assistendo nell’ambulatorio ad hoc vicino alla cella del boss al 41bis, alla somministrazione della terapia per il tumore al colon.
    Messina Denaro secondo fonti carcerarie e sanitarie è apparso in buona forma e sempre più in fiducia coi medici. In riferimento alla malattia si dichiara “fatalista”, con un atteggiamento positivo verso le cure. “Il paziente è in buone condizioni, ha appetito, è riposato, sono buoni indicatori”, emerge dalle fonti.
    Ha rinunciato al ricorso contro la custodia cautelare in carcere davanti al tribunale del Riesame Giovanni Luppino, arrestato insieme al boss Messina Denaro il 16 gennaio e accusato di essere l’autista del capomafia.
    I pm gli contestano i reati di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dall’avere agevolato la mafia. In vista dell’udienza al Riesame, la Procura aveva depositato agli atti, tra l’altro, una foto trovata nel cellulare dell’indagato che ritrae la Giulietta del capomafia parcheggiata davanti casa Luppino il 25 dicembre scorso.
    Una circostanza che smentisce la tesi difensiva dell’indagato che ha raccontato, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, di aver conosciuto il boss sei mesi prima col nome di Andrea Bonafede e di averlo rivisto solo la mattina dell’arresto, quando Messina Denaro, sempre sotto falso nome, si sarebbe presentato a casa sua per chiedergli un passaggio per la clinica Maddalena. LEGGI TUTTO

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    Indagata l’ex amante di Matteo Messina Denaro

    Maria Mesi, ex amante del boss Matteo Messina Denaro, e Francesco Mesi, i fratelli già condannati nei primi anni 2000 per il favoreggiamento del boss Matteo Messina Denaro, sarebbero nuovamente iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di aver favorito la latitanza del capomafia arrestato il 16 gennaio scorso.Oggi, i carabinieri del Ros hanno perquisito le loro abitazioni e di Aspra, nel Palermitano, una casa di campagna e la torrefazione gestita dalla famiglia Mesi. Gli inquirenti avrebbero sequestrato i cellulari e i pc dei due fratelli.
    – “Sto andando a denunciare ai Ros dei carabinieri una storia che quando me l’hanno raccontata, onestamente, non ci potevo credere.”. Comincia così il racconto che Ismaele La Vardera, ex Iena, oggi vicepresidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, decide di fare ai microfoni de Le Iene.
    Filippo Roma ricostruisce la testimonianza raccolta dal deputato regionale e subito denunciata agli inquirenti, di un presunto testimone che parla di alcuni festini in una villa del palermitano, a cui avrebbe partecipato Matteo Messina Denaro e in cui avrebbe visto anche un uomo appartenente alle forze dell’ordine, un medico e un noto politico italiano. Questa testimonianza è al centro del servizio de Le Iene, in onda domani sera, martedì 31 gennaio, in prima serata, su Italia 1.
    “Si parla di un Matteo Messina Denaro che frequentava salotti importanti della borghesia e che partecipava come se nulla fosse a dei festini”, dice La Vardera all’inviato. “Ho denunciato la testimonianza che mi hanno reso al Ros”, il reparto che ha da poco arrestato il superboss.
    “Il testimone è una persona per bene, che fa una vita normale, che aveva paura di parlare – continua La Vardera – perché le cose che poteva raccontare erano molto delicate e parlavano proprio di quella zona d’ombra che avrebbe potuto proteggere il boss latitante”.
    La Iena e il politico ripercorrono insieme, riascoltandola, i passi salienti della testimonianza, in modo da chiarire, per quanto possibile, i passaggi più controversi. Il vicepresidente dell’antimafia siciliana riferisce a Filippo Roma ciò che il testimone gli ha raccontato, eliminando però numerosi dettagli che ne avrebbero potuto rivelare l’identità.
    Il deputato regionale racconta di averlo incontrato, tramite una conoscenza in comune, e di avergli chiesto come mai abbia scelto di raccontare tutto a lui e non a magistrati e forze dell’ordine. “Purtroppo, ho molta paura, non mi fido di nessuno. Tu ti fideresti se allo stesso tavolo vedi persone che potrebbero rappresentare la legge insieme a Matteo Messina Denaro?” è la risposta del testimone.
    “Ma che vuol dire che ha visto uomini che rappresenterebbero la legge insieme al boss Messina Denaro?” domanda Filippo Roma a La Vardera. “Questa persona mi riferisce che ha partecipato più volte a delle feste private; quindi, non si poteva entrare facilmente. Il dove non posso dirtelo perché, inevitabilmente può fare risalire a questa persona.
    L’obiettivo – chiarisce il vicepresidente dell’antimafia – è restituire ai magistrati tutto quello che so, senza filtri e a voi, semplicemente, frammenti di racconto, per il semplice fatto che questa storia più persone la sappiamo meglio è, a tutela di tutti”.
    La Vardera, a maggiore tutela sua e del testimone, ritiene importante condividere subito parte di queste informazioni con l’opinione pubblica. L’inviato chiede al deputato regionale se ha fatto un riscontro su questo luogo di cui parla il presunto testimone: “Ho trovato riscontri oggettivi attraverso visure catastali” risponde La Vardera e la Iena chiede anche per quale motivo questa persona venisse invitata a queste feste: “Anche a questa domanda non posso rispondere, inevitabilmente si risalirebbe alla persona.”, risponde lui. LEGGI TUTTO

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    Messina Denaro, perquisita la casa dell’ex amante

    I carabinieri del Ros stanno perquisendo, a Bagheria, le abitazioni di Maria Mesi, ex amante del boss Matteo Messina Denaro, e del fratello Francesco. Entrambi sono stati indagati, in passato, per aver favorito la latitanza del capomafia. Francesco Mesi patteggiò la pena.
    La donna venne arrestata il 14 giugno del 2000. Insieme a lei finirono in carcere altre due persone accusate di essere intestatarie del contratto di affitto di un appartamento in cui Messina Denaro si nascondeva ad Aspra, nel palermitano. Maria Mesi fu condannata in primo e in secondo grado per favoreggiamento aggravato alla mafia.
    La Cassazione annullò l’aggravante sostenendo che il rapporto sentimentale con il boss escludesse l’agevolazione di Cosa nostra. Gli investigatori trovarono diverse lettere d’amore che il capomafia e la donna si erano scambiati.
    Due le donne che hanno frequentato il boss Matteo Messina Denaro
    Sarebbero due le donne che avrebbero frequentato il boss Matteo Messina Denaro negli ultimi mesi. Una di loro si e’ presentata spontaneamente alla stazione dei carabinieri di Campobello di Mazara, riferendo di non avere mai saputa la reale identita’ del uomo.
    Ma ce ne sarebbe almeno un’altra che ha intrattenuto una relazione clandestina con l’ex latitante. La prima sarebbe di Campobello di Mazara, il paese in provincia di Trapani in cui Messina Denaro ha vissuto negli ultimi mesi prima di essere arrestato dal Ros a Palermo, il 16 gennaio scorso.
    I pm che coordinano le indagini – il procuratore capo Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido – con i Ros tuttavia stanno verificando la versione fornita. Elementi utili potrebbero provenire dai telefoni sequestrati al boss su cui verranno compiuti gli accertamenti irripetibili per estrarne i dati contenuti.
    Mentre stamattina a Bagheria i carabinieri hanno eseguito una perquisizione in una abitazione che, in passato, avrebbe ospitato il boss latitante per incontrarsi con una donna con cui si frequentava. Ci sono l’abitazione di via Milwaukee ad Aspra, una casa di campagna e la torrefazione auguro gestita dai due mesi. LEGGI TUTTO

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     Messina Denaro, De Lucia: “In atto tentativi di rifondare la Cupola”

    “Le indagini dimostrano che vi e’ tensione interna all’organizzazione, che e’ sempre alta, e che sono in sempre in atto i tentativi di ricostituzione della cupola e di chi occupera’ i ruoli di vertice, occupati dai latitanti”.
    Lo ha detto il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario di Palermo, con un pressante invito ad “aumentare gli sforzi” anche dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
    “Cosa nostra – ha aggiunto – e’ in oggettiva profonda difficolta’ che deriva anche alle indagini svolte e che hanno portato il 16 gennaio scorso alla cattura di Matteo Messina Denaro, ma e’ tutt’altro che sconfitta”.
    E scaccia le “ombre”: “E’ stata una indagine impeccabile su cui ho sentito, da subito, gettare ombre. Ciascuno e’ libero di esprimere le proprie opinioni, ma speculazioni e dietrologie si devono fermare do fronte all’evidenza dei fatti. Alcuni sono gia’ noti altri lo saranno.
    Tutto lo Stato, dal Ros alla Guardia di finanza alla polizia, ha ottenuto questo successo storico che io in qualita’ di capo distrettuale antimafia, ho il dovere di affermare, senza speculazioni e dietrologie di nessun tipo”.
    “Cosa nostra è in un’oggettiva e profonda difficoltà che deriva anche dalle indagini che hanno potato all arresto del boss Messina Denaro. Ma la mafia è tutt’altro che sconfitta. Le evidenze investigative ci raccontano dell’esistenza di una grossa tensione tra le cosche che vorrebbero tentare l’ennesima ricostituzione della sua struttura centrale, la Cupola per usare un termine entrato nel linguaggio comune”
    “I processi e le indagini – ha aggiunto – dimostrano l’impegno delle forze e dell’ordine e dei magistrati che hanno tamponato finora questi tentativi. Ma oggi la mafia cerca di colmare i vuoti lasciati dal latitante e dai suoi. Stiamo attenti a non far passare un messaggio sbagliato”. LEGGI TUTTO

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    I pizzini tra Messina Denaro e Provenzano: la devozione verso “Zio Bernardo” e le regole della mafia

    Dai supermercati alla benzina, erano questi solo alcuni degli ‘affari’ a cui mirava il boss Matteo Messina Denaro. Un business molto redditizio che interessava il boss, come emerge dai pizzini scritti tra il 2003 e il 2006 ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano. Una decina di messaggi che oltre ad aver contribuito alle indagini di questi anni, delineano la figura dello stragista di Castelvetrano. La prima questione riguardava un paesano di Messina Denaro che ottenne la gestione di alcuni supermercati, il quale però aveva alcuni debiti con altri mafiosi e che ricevette richieste di pizzo.
    ”Passo ora a dirle il mio problema che ho nella zona di Ag c’è una persona di Castelvetrano che ha la concessione dei supermercati” spiega Messina Denaro a ‘zio Bernardo’. Consapevole della situazione ‘complicata’, Messina Denaro fa una sua proposta per risolvere la questione.
    ”Dunque il mio paesano ha diversi punti vendita in diversi paesi, ora lei deve stabilire un tot l’anno che il mio paesano deve dare per ogni punto vendita, poi si fa la somma del tot che ha deciso lei, così si vede quanto ogni anno il mio paesano deve uscire, solo che i soldi li defalchiamo ogni anno dai soldi che ci deve dare Cpz, fino a togliere tutto il debito che ha con noi.
    Tutto si ammortizza con il pizzo che deve uscire il mio paesano fino all’esaurimento del debito. Questa mia proposta ha delle clausole però – avverte Messina Denaro – che voglio rispettate, nel senso che non c’è margine di trattativa: o accettano o non accettano la mia proposta per come è, se pensano di porre dei cambiamenti già la mia proposta decade e non è più valida”.
    Le regole: chi paga il pizzo non deve dare anche posti di lavoro
    Dal messaggio scritto a Provenzano, si scoprono anche alcune ‘regole’ che vigono nella mafia e che fanno luce sul sistema del ‘pizzo’. ”Dato che il mio paesano ora pagherà il pizzo per ogni punto vendita, è sciolto da ogni obbligo di favoritismi, cioè i punti vendita sono del mio paesano e oltre a gestirli lui fa lavorare a chi vuole lui – sottolinea Messina Denaro – D’altronde – spiega – è sempre regola che chi paga il pizzo non ha più niente da dare, quindi niente più posti di lavoro, si pagherà solo il pizzo”.
    Supermercati ma non solo.
    Il boss di Castelvetrano catturato la scorsa settimana, voleva mettere le mani anche sulla benzina, con un progetto già in fase avanzata, a quanto scrive nel pizzino, consapevole però che si trattava di un business che faceva gola a molti, e per questo serviva la mediazione di Provenzano.
    ”Riguardo alla benzina con tutti i suoi annessi, è una cosa abbastanza grossa ed è tanto che se ne parla, di certo c’è che deve ricadere in territorio di Alcamo e già si sa il punto preciso – scriveva Messina Denaro – Attorno a questa cosa orbitano un sacco di persone perché chiunque vuole accaparrarsi l’affare ed ognuno ha una sua fazione politica, io fino ad ora sono stato a guardare lasciandoli scannare tra di loro” ma a decisione presa, avverte il boss, ”farò in modo che tutti gli avvoltoi che girano attorno a questo affare si ritirano”.
    Nei pizzini a Provenzano la devozione verso il boss: “Lei garante di tutto”
    ”Io mi rivolgo a lei come garante di tutti e di tutto”: è una completa devozione per ‘zio Bernardo’ quella che emerge dalla decina di pizzini scritti da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Provenzano nel giorno della sua cattura, l’11 aprile 2006, in una masseria a Corleone, in provincia di Palermo.
    ”I suoi contatti sono gli unici che a me stanno bene, cioè di altri non riconosco a nessuno, chi è amico suo è e sarà amico mio, chi non è amico suo – sottolinea il capomafia – non solo non è amico mio ma sarà un nemico mio, su questo non c’è alcun dubbio”.
    E poi l’ossequio e la riverenza per il boss, che viene sempre evidenziata: ”Io la ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema e la ringrazio per adoperarsi per l’armonia e la pace per tutti noi”. In un pizzino, Matteo Messina Denaro esprime poi tutto il suo modo di pensare, parlando del suo passato per sottolineare i lunghi trascorsi in ‘Cosa Nostra’.
    ”Le regole le conosco e le rispetto, la prova che io conosco le regole e che le sto rispettando sta proprio nel fatto che io mi sto rivolgendo a lei per sistemare questa spiacevole vicenda, questo per me è rispettare le regole.
    Ci fu un tempo in cui io ad Ag ho pulito tanti angoli, lo feci perché mi fu ordinato da chi era più in alto di me, e lei sa di chi parlo e lo feci anche perché era giusto e doveroso aiutarli, parlo dell’83 in poi, mi fu detto di sistemargli ciò di cui avevano bisogno e io nell’arco di anni mi resi sempre disponibile per tutto ciò di cui avevano bisogno, capirà che vivendo ripetutamente certe esperienze si instaura oltre un rapporto di amicizia anche un sentimento di fratellanza, bene, io anche in quegli anni di fratellanza non mi permisi mai di dire una parola in più ad Ag, cioè sono rimasto sempre nei limiti di amico e fratello.
    Ora di tutti quelli con cui avevo rapporti di fratellanza ad Ag, non ce n’è più nemmeno uno in giro, sono tutti dentro, chi c’è ora io non li conosco e mi rendo conto che non sanno nulla del passato, si figuri se io vado a dire parole in più agli amici di Ag di ora”.
    “Lei è il nostro maestro, le voglio tanto bene”
    Chiudendo il pizzino, Messina Denaro esprime tutto il suo ‘amore’ per il boss: ”So che lei non ha bisogno di alcuna raccomandazione perché è il nostro maestro ma è il mio cuore che parla e la prego di stare sempre molto attento, le voglio tanto bene”.
    E ancora, in un pizzino del 1 febbraio 2004 afferma: ”Da parte mia mi sono trovato sempre più che bene con lei perché ho sempre trovato onestà, serietà e comprensione”. Con l’avvicinarsi del Natale, nel 2005, Messina Denaro rivolge gli auguri a ‘zio Bernardo’, con parole che sono quelle di un capomafia latitante già da oltre dieci anni.
    ”A breve sarà il Santo Natale e spero che lei e i suoi cari lo possiate trascorrere almeno con serenità, non dico in modo felice perché per noi la felicità non c’è. Ma in modo sereno e ve lo auguro dal profondo del mio cuore, così come spero che per lei e i suoi affetti sia un anno nuovo migliore.
    Sappia che lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me, me ne parli senza alcun problema perché è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene” conclude firmando il pizzino ”suo nipote Alessio”.
    La riverenza per il capo, il ‘rispetto delle regole’ di ‘Cosa Nostra’ e la consapevolezza che davanti a tanti arresti compiuti nella ‘guerra’ condotta da magistratura e forze dell’ordine contro la criminalità organizzata ”sono nato in questo modo e morirò in questo modo”.
    ”Sono nato in questo modo e morirò in questo modo”
    E’ una delle frasi contenute nei pizzini scritti da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano quando venne catturato l’11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, in provincia di Palermo. Dai messaggi scambiati tra i due mafiosi stragisti, emerge lo spaccato di quel mondo.
    ”Lei mi dice che i soldi nella vita non sono tutto e che ci sono cose buone che con i soldi non si possono comprare – scriveva Messina Denaro a ‘zio Bernardo’ in uno dei messaggi firmati ”suo nipote Alessio” – sono d’accordissimo con lei, perché io ho sempre pensato che si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango”.
    ”Le dico che io ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita – aggiunge – ed il fatto che io mi sia rivolto a lei dimostra proprio ciò, ora mi affido completamente nelle sue mani e nelle sue decisioni, tutto ciò che lei deciderà io l’accetterò senza problemi e senza creare problemi, questa per me è onestà”.
    Messaggi in cui viene sempre sottolineata la riverenza per il boss, come si legge in un altro passaggio del pizzino: ”Qualsiasi sua decisione andrà benissimo perché lei può disporre di me come un figlio”. E ancora: ”Mio caro zio, nella sua lettera ho trovato delle belle parole, lei mi dice che siamo tutti e due sulla stessa barca dobbiamo fare di tutto per non farla affondare, mi dice pure di studiare come superare per non essere criticati ma apprezzati, io la ringrazio immensamente di questa fiducia che mi dà, posso dirle che io mi affido nelle sue mani, quello che fa lei per me è ben fatto e se fa lei possiamo solo essere apprezzati”.

    Nello stesso pizzino, rispondendo a una richiesta di Provenzano, Messina Denaro spiegava: ”Purtroppo non posso aiutarla perché a Marsala al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, non c’è più a chi metterci, c’è solo di aspettare nella speranza che esca qualcuno che ha cose più leggere per potere riprendere tutti i discorsi.
    Si figuri che anche T mi ha chiesto un favore di Marsala e non lo posso aiutare, infatti ho dato a lui la stessa risposta che ho dato a lei, nella speranza che lui comprenda la situazione che si è venuta a creare su Marsala e anche su altri paesi, purtroppo qua le batoste sono state a ruota continua e tra l’altro non accennano a finire – sottolinea il capomafia – credo che alla fine arresteranno pure le sedie quando avranno finito con le persone.
    ”Noi sappiamo come sono i politici che non fanno niente per niente”
    Dunque sarà compito mio appena ci sarà qualcuno a Marsala di informarla e quindi di risolvere ciò di cui lei e T avete bisogno, credo che lei mi comprenderà perché avendo a che fare un po’ con tutti di sicuro sa che ci sono altre zone al momento combinate come Marsala”. In una situazione di grande difficoltà per ‘Cosa Nostra’, colpita sempre più duramente da magistratura e forze dell’ordine, Messina Denaro manifesta scarsa ‘fiducia’ verso la ‘politica’.
    In un pizzino inviato tra il 2004 e il 2005, scrive a Provenzano: ”Noi sappiamo come sono i politici che non fanno niente per niente e noi non abbiamo più alcuna forza di contrattualità, ecco perché non credo che ci sia qualche politico che si vada a sporcare la bocca per noi, comunque come si suole dire staremo a vedere. Per il nome del politico lo scriva a parte e lo fa avere a 121, poi sarà 121 a dirlo a me e io capirò”.
    “Io appartengo a lei”
    E dopo aver ricevuto la risposta da Provenzano, Messina Denaro in un altro pizzino risponde: ”Si ho gia’ ricevuto il nome del politico”. In un messaggio al boss, infine, c’è una vera e propria ‘professione di fede’, quasi un testamento: ”Vorrei umilmente dirle che io non sono meglio di lei, preferisco dire che io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò”. LEGGI TUTTO

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    Mafia, ecco lo statuto scritto dei padrini costituenti

    Esiste uno statuto di Cosa nostra scritto dai “padri costituenti”, i vecchi padrini mafiosi, dove per “democrazia” gli affiliati “sono la stessa cosa”.E queste norme sarebbero ancora rispettate e ne viene imposta l’osservanza agli affiliati. Questi principi mafiosi più arcaici sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa della Mafia.
    Alzano il velo sui segreti più nascosti delle cosche palermitane i carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale di Palermo che con un blitz, dopo un’inchiesta che si è avvalsa “delle più sofisticate tecnologie di captazione”, hanno sgominato la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, retta dal clan Badagliacca, inquadrata nel mandamento palermitano di Pagliarelli, arrestando sette mafiosi (due ai domiciliari) tra cui uomini d’onore riservati e sventando pure l’omicidio di un architetto che avrebbe sbagliato pratiche di sanatorie edilizia mancando di rispetto al boss
    . In cella sono finiti Pietro Badagliacca, già condannato a 14 anni per Mafia e poi scarcerato, il figlio Angelo e suo nipote Gioacchino (anche loro già condannati per Mafia), Marco Zappulla e Pasquale Saitta. Ai domiciliari sono andati gli ultrasettantenni Michele Saitta e Antonino Anello.
    La cosca, dicono i carabinieri, in passato è stata protagonista di “episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta a Marsiglia del capomafia corleonese deceduto Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la gestione dei contatti con il boss trapanese Matteo Messina Denaro”.
    Gli investigatori, coordinati dai sostituti Federica La Chioma e Dario Scaletta, sono riusciti ad ascoltare ciò che i mafiosi dicevano e decidevano durante una riunione super segreta, nel settembre 2022, in una casa nelle campagne di Butera (Caltanissetta) scoprendo il dissidio tra Pietro Badagliacca e il nipote Gioacchino che è culminato in “un vero e proprio processo nella riunione nissena con i fratelli Saitta come arbitri”.
    Pace tra i due suggellata dalla promessa di Pietro di uccidere l’architetto che aveva “mancato di rispetto” al nipote Gioacchino. In quelle conversazioni registrate definite dal gip Lirio Conti “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”, è stato fatto più volte il richiamo all’esistenza di un “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana.
    E anche gli usi e costumi della Mafia rimangono quelli antichi anche se le reazioni delle vittime oggi spesso sono mutate come nel caso dell’imprenditore edile che ha denunciato dopo aver ricevuto una bambola con un proiettile conficcato nella testa e “impiccata” alla porta d’ingresso della villetta.
    L’obiettivo era quello di costringere la vittima a rivolgersi alla famiglia della zona per la “messa a posto”, garantendo una percentuale dell’appalto. Gioacchino Badagliacca ha appeso la bambola al cancello e si è lamentato di averlo fatto da solo.
    Al telefono parlando con Antonino Anello dice: “Zio Ninì, io, sono uscito la notte io! Anche questa cosa, cioè, si doveva andare a fare la bambola. A metterci un segnale per farli venire perché avevano preso impegni in questi due anni che io sono stato lì dentro”. LEGGI TUTTO