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    Crollo in galleria a Napoli: processo d’appello ad aprile

    Il processo d’appello per la tragedia della Galleria Umberto I di Napoli, in cui perse la vita lo studente 14enne Salvatore Giordano, è stato fissato per il prossimo 15 aprile.
    Il giovane di Marano di Napoli morì il 5 luglio del 2014 dopo essere stato colpito alla testa da un frammento di un fregio staccatosi dal monumento.
    Al termine del processo di primo grado, il 19 settembre 2022, cinque imputati (tra cui alcuni dipendenti comunali) sono stati condannati, mentre uno è stato assolto.
    In vista del decennale della tragedia, che cadrà il prossimo luglio, la famiglia di Salvatore Giordano, assistita dall’avvocato Sergio Pisani, ha inviato una lettera al sindaco di Napoli Gaetano Manfredi.
    Nella lettera si chiede di valutare l’opportunità di installare sul luogo dell’accaduto una targa o un altro simbolo in memoria della giovane vittima.
    L’obiettivo è di ricordare Salvatore Giordano e di fare in modo che eventi del genere non si ripetano mai più.
    L’iniziativa si ispira alle analoghe iniziative intraprese in questi giorni per il giovane Giovanbattista Cutolo. LEGGI TUTTO

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    Il pentito: “Ecco chi controlla le 15 piazze di spaccio del sistema Caivano”

    Cinque piazze di spaccio in strada e 10 in altrettanti appartamenti per un incasso mensile di 150mila euro. E’ questo il sistema di spaccio del parco Verde di Caivano. Tutto gestito dalla famiglia Ciccarelli.Lo ha raccontato agli investigatori il pentito di camorra Mariano Alberto Vasapollo, ex killer del clan di Caivano e quindi profondo conoscitore del “sistema”.
    “… voglio specificare che attualmente nel Parco Verde vi sono attive 5 (cinque) piazze su strada, che curano la vendita di crack, kobret, cocaina, fumo ed erba nel Parco Verde, e sono gestite dal clan Ciccarelli, tramite singoli capi piazza…
    Preciso che queste piazze sono direttamente gestite da Ciro e Giovanni Ciccarelli, nel senso che i singoli capi piazza devono chiudere i conti con loro e dare a loro i profitti: ovviamente la droga viene fornita ai capi piazza da Ciro e Giovanni Ciccarelli.
    Inoltre, vi sono circa altre 10(dieci) piazze che vendono solo cocaina al Parco Verde inappartamenti. I clienti si recano direttamente presso tali abitazioni. In questo caso i gestori sono autonomi, ma hanno l’obbligo di acquistare la cocaina dal clan Ciccarelli, ossia in questo momento da Giovanni Ciccarelli e Ciro Ciccarelli, figlio di Salvatore. Non so però quali siano i loro canali di approvvigionamento dello stupefacente.
    I proventi ricavati vengono incassati dai Ciccarelli e una parte viene suddivisa tra i singoli capi piazza, altra parte viene erogata per il mantenimento dei carcerati e delle loro famiglie affiliate alla famiglia Ciccarelli…Omissis…
    Quando ero libero gli affari relativi alla gestione delle piazze di spaccio ammontavano a circa 150.000 euro al mese…Omissis…
     Le piazze di spaccio incassano 150mila euro al mese
    La persona incaricata per canto di Cciccarelli Giovanni e Ciro di trasportare la droga alle singole piazze di spaccio operative sugli appartamenti, è …omissis… Lo conosco personalmente e prima di essere trasferito al carcere di Viterbo con lui ho intrattenuto anche contatti via WhatsApp…Omissis…
    Sono a conoscenza del ruolo svolto da…omissis…perché, fino alla scelta di collaborare, io continuavo a gestire una piazza di cocaina di fronte al mio palazzo al Parco Verde insieme a…omissis…
    Preciso che Ciccarelli Giovanni e Ciro mi rifornivano di droga tramite … omissis … che portava ai fratelli …omissis… circa 200-300 grammi a settimana e noi come prezzo pagavamo una somma inferiore rispetto agi altri gestori in quanto io affiliato al clan Sautto-Ciccarelli.
    In particolare, pagavo la cocaina, prima di essere trasferito al carcere di Viterbo, circa 42.000 euro al chilogrammo, somma inferiore rispetto a quella pagata dagli altri gestori. Preciso che i soldi venivano consegnati a … omissis… che oltre a trasportare la droga riscuoteva le somme che poi portava a Ciccarelli Giovanni e Ciro”.
    Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutti  sono assolutamente concordi nell’attribuire a Giovanni Ciccarelli, detto Giannino, fratello dei capi storici del clan Sautto-Cciccarelli, Domenico e Antonio Ciccarelli, la gestione di tutto il mercato della droga del Parco Verde.
    Si tratta di una sorta di monopolio dello spaccio, attuato o direttamente dal boss attraverso suoi “ragazzi” ovvero da soggetti che da lui si riforniscono di cocaina. Con lui lavora il nipote Ciro, figlio di Salvatore “Sasiccia”.
    La fedeltà del giovane Ciccarelli nei confronti dello zio è dimostrata da una intercettazione con tale Andrea contenuto nell’ordinanza cautelare firmata dal gip Antonino Santoro. “O frat a me quello che mi dice lui io quello faccio… voi lo sapete a me Andrea la famiglia mia è lui…e siete voi…” – “Lui è il sangue… e se mio zio mi dice… prendi questo cuscino e portalo io faccio questo…”.
    @rirpoduzione riservata
    (nella foto il parco Verde di Caivano e nella foto da sinistra il boss Giovanni Ciccarelli e il pentito Mariano Alberto Vasapollo) LEGGI TUTTO

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    Sant’Antonio Abate, sequestro beni per 9 milioni di euro alla Galtrading srl

    La Guardia di Finanza, su mandato del giudice per le indagini preliminari di Torre Annunziata, ha eseguito un decreto di sequestro preventivo per equivalente per un valore di 9.140.288,96 euro nei confronti della società Galtrading S.r.l., con sede ad Sant’Antonio Abate, del suo legale rappresentante e dei due amministratori di fatto della società.L’indagine è scaturita da una verifica fiscale, durante la quale è emerso che la società, operante nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, avrebbe omesso di presentare la dichiarazione fiscale relativa all’IVA per l’anno 2021, con un’evasione fiscale stimata in 2.731.431,54 euro, e avrebbe presentato una falsa dichiarazione per le imposte dirette dello stesso anno, con un’evasione dell’IRES pari a 6.408.857,42 euro.
    Uno dei due amministratori di fatto della S.r.l. avrebbe inizialmente costituito la società, nominando come rappresentante legale, amministratore e socio unico un omonimo cugino, ignaro di quanto stava accadendo, utilizzando una carta d’identità contraffatta.
    Successivamente, avrebbe trasferito le cariche societarie a un prestanome, allo scopo di attribuire a quest’ultimo le responsabilità penali derivanti dalla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali per l’anno d’imposta 2021.
     Avevano trasferito tutte le cariche societarie a un prestanome
    Anche il figlio di questo amministratore è coinvolto nell’inchiesta, poiché ha collaborato con il prestanome fin dall’inizio delle attività ispettive e investigative della Guardia di Finanza ed è stato identificato come co-responsabile della gestione societaria insieme al padre.
    Durante l’esecuzione del provvedimento cautelare, ancora in corso, verranno imposti vincoli giudiziari su immobili, quote societarie, disponibilità finanziarie e veicoli riconducibili alla società degli indagati, il cui valore complessivo è attualmente in fase di quantificazione. LEGGI TUTTO

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    Lavori di demolizione al Ponte Morandi: la camorra non c’era

    Nell’estate del 2019, tutti gli organi di stampa diffusero una notizia preoccupante riguardante l’arresto di due imprenditori coinvolti nei lavori di demolizione del Ponte Morandi, accusati del reato di intestazione fittizia, aggravato dal presunto coinvolgimento mafioso.
    Ferdinando Varlese, imprenditore con precedenti penali, era considerato il vero gestore della società Tecnodem, che aveva ottenuto in subappalto i delicati lavori di demolizione. Si ipotizzava che la società, dalle presunte connessioni mafiose, fosse formalmente intestata alla consuocera Marigliano Consiglia.
    L’accusa formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova, basata su intercettazioni telefoniche e rafforzata dalle ammissioni di Varlese durante l’interrogatorio, fu devastante. La società non solo fu esclusa dai lavori, ma subì anche il sequestro totale di beni immobili e conti correnti contenenti ingenti somme di denaro.
    La condanna fu confermata sia in primo grado che in appello, ma fu poi temporaneamente annullata in seguito al ricorso presentato dall’avvocato Dario Vannetiello alla Corte di Cassazione. La seconda sezione della Suprema Corte decise di annullare la sentenza di condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione, ordinando un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello.
    La svolta nell’accusa si è verificata nel nuovo processo presso la Corte d’Appello territoriale, terza sezione penale. Quest’ultima, condividendo le argomentazioni legali avanzate dall’avvocato Vannetiello, ha assolto gli imprenditori revocando anche il precedente sequestro dei beni. Di conseguenza, ha ordinato la restituzione dei beni immobili e del denaro sui conti correnti ai legittimi proprietari. LEGGI TUTTO