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    Napoli, travolta sul kayak: la difesa dell’avvocato Guido Furgiuele

    Napoli. Ha affermato di non essersi accorto di nulla e che nessuno a bordo della barca ha sentito o visto qualcosa.PUBBLICITA

    Per questo motivo, dopo l’impatto con il kayak nelle acque antistanti Posillipo, ha continuato a navigare dritto con il suo scafo. Tuttavia, e questo è il punto centrale dell’inchiesta, sarebbe poi tornato indietro per soccorrere il superstite.

    Perché? Chi lo ha avvisato? Ha forse visto qualcosa? Questi sono i punti ancora da chiarire nell’inchiesta che ha coinvolto ieri un avvocato napoletano, Guido Furgiuele, figlio di Alfonso, noto penalista, e proprietario dell’imbarcazione, un Vega di 18 metri.
    Guido Furgiuele è indagato per omicidio e omissione di soccorso. Ieri è stato interrogato dai pm che si occupano della morte di Cristina Frazzica, la ragazza originaria di Taurianova in Calabria ma da anni residente a Voghera che si trovava a Napoli per un tirocinio.

    L’imbarcazione di Furgiuele è sotto sequestro e gli investigatori, insieme a un perito, stanno ricostruendo attraverso i segni lasciati dall’impatto la dinamica precisa dell’accaduto.
    Il giovane avvocato ieri pomeriggio nel giro di poche ore è passato dal ruolo di soccorritore a principale sospettato, da aiuto provvidenziale a indagato.
    Guido Furgiuele ha spiegato che nessuno di quelli che erano sulla barca (erano in sei) si è accorto dell’incidente. Saranno interrogati tutti. Mentre gli uomini della Capitaneria di Porto stanno continuano le verifiche sugli altri due natanti simili e che sono stati sequestrati nella giornata di ieri.
    Ci sono molto punti da chiarire come la distanza dalla costa da parte del kayak con a bordo Cristina Frazzica e il giovane avvocato Vincenzo Leone. Ma questo non può essere una colpa per chi esce in mare per una passeggiata e godersi il golfo ed essere travolto da chi guida imbarcazioni in modo disattento.

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    Camorra, la Cassazione annulla l’ergastolo per due boss del clan Mallardo

    La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi presentati dagli avvocati di Francesco Napolitano e Michele Olimpio, annullando la condanna all’ergastolo inflitta loro in secondo grado per l’omicidio di Mario Di Lorenzo, avvenuto a Giugliano in Campania nel 1996.PUBBLICITA

    Napolitano e Olimpio, ritenuti reggenti del clan Mallardo e figure di spicco dell’ “Alleanza di Secondigliano”, erano stati condannati in primo grado all’ergastolo nel marzo 2021 e la condanna era stata confermata in appello nell’ottobre 2023.

    Le accuse a loro carico si basavano principalmente sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Filippo Caracallo e Giuliano Pirozzi.
    La Cassazione ha però ritenuto che le motivazioni alla base delle condanne non fossero sufficienti e ha annullato le sentenze precedenti. Le accuse mosse dai pentiti, secondo la Suprema Corte, non sono state ritenute attendibili.

    Il caso dei due esponenti del clan Mallardo sarà dunque nuovamente discusso in sede di rinvio.
    (nella foto la corte di Cassazione di Roma e e nei riquadri Francesco Napolitano e Michele Olimpio
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    Sorveglianza speciale per un anziano di Aprilia: “Reati da quando era poco più che maggiorenne”

    Martedì, i carabinieri del Reparto Operativo-Nucleo Investigativo di Latina hanno notificato un decreto di applicazione della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza emesso dalla Sezione III Penale, Sezione specializzata – misure di prevenzione del Tribunale Civile e Penale di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica di Latina, ad un 74enne di Aprilia. L’uomo […] LEGGI TUTTO

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    Comunità Montana, la Corte di Appello accoglie l’opposizione del Comune di Terracina

    “Il Comune di Terracina aveva pieno diritto ad essere escluso dalla Comunità Montana, ed è evidente che il pagamento delle quote associative non sia dovuto perché privo di un’effettiva causa legittimante”. Così recita la sentenza della Corte di Appello di Roma, Sezione Civile, accogliendo l’opposizione da parte del Comune di Terracina al decreto ingiuntivo del […] LEGGI TUTTO

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    Napoli, riciclaggio per il clan Contini chiesto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati

    Napoli, è iniziato e subito rinviato il primo filone del maxi processo a carico dei 140 imputati legati al clan Contini accusati in primo luogo di associazione camorristica e riciclaggio.PUBBLICITA

    L’udienza preliminare si è svolta davanti al gup Nicola Marrone. La Procura di napoli ha chiesto l’acquisizione di ulteriori attività svolte a carico di Michele Tecchia, con ulteriori sequestri effettuati a suggello dell’attività investigativa svolta. L’imputato, tra l’altro, attraverso il suo legale aveva chiesto il patteggiamento.

    I difensori di tutti gli imputati si sono opposti all’unanimità alla acquisizione di questi nuovi elementi probatori. La pm Alessandra Converso della Dda di Napoli, nella sua requisitoria, durata due ore, oltre ad illustrare il nuovo materiale probatorio raccolto a carico degli imputati, ha concluso chiedendo il rinvio a giudizio per tutti gli imputati.
    Le difese hanno chiesto un nuovo termine a difesa per poter valutare le motivazioni della Cassazione sui ricorsi presentati da Difese e Procura concernenti le esigenze cautelari.Il Gup ha rinviato all’udienza del 15 luglio prossimo per potersi esprimere sulle nuove contestazioni e sulle eventuali discussioni delle difese, arringhe di parte.

    Il maxi processo nasce da una inchiesta che nel gennaio scorso aveva portato a 82 misure cautelari e ruota attorno alle figure del noto imprenditore napoletano Salvatore D’Amelio (titolare del marchio Minimal) e della famiglia Festa ovvero i familiari di sua moglie Maria, per un presunto giro di denaro sporco, secondo gli Inquirenti – proveniente dal clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano – riciclato in imprese del tessuto economico campano e non solo.
    Nella lista, appunto, esponenti del clan Contini, imprenditori compiacenti, prestanome, intermediari d’affari, per un giro vertiginoso di soldi che ha portato carabinieri e finanza ad operare anche una serie di sequestri per un totale di 8,4 milioni di euro.
    I reati contestati dagli inquirenti sono a vario titolo: falsificazione e commercializzazione di orologi a marchio contraffatto, fittizia intestazione di beni, indebite compensazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali, emissione ed utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, dichiarazione infedele, indebita compensazione, detenzione e traffico di armi da fuoco, estorsione aggravata, aggressione e tentato omicidio, tutte aggravate dal metodo mafioso per favorire la potente cosca del Clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano (Mallardo e Licciardi).
    Nel pool difensivo gli avvocati Arturo Cola,  Gaetano Manzi, Giovanni Cerino,  Vincenzo Romano, Claudio Davino, Massimo Viscusi, Domenico Vincenzo Ferraro, Gianluca Gambogi,  Leopoldo Perone.
    Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Traffico migranti in Campania: la Procura di Napoli indaga su 80 casi sospetti

    Napoli.Circa 80 casi di ingressi illegali di migranti in Campania sono al centro di un’indagine della Procura di Napoli, che ha già individuato una ventina di indagati.
    Le prime indiscrezioni, trapelate da fonti investigative e riprese da Il Mattino e Repubblica Napoli, rivelano la complessità del sistema di sfruttamento che coinvolge imprenditori compiacenti, intermediari, legali e consulenti dei CAF.

    L’area vesuviana e il Bangladesh
    L’attenzione degli inquirenti si concentra per ora sull’area vesuviana e sugli ingressi di migranti provenienti dal Bangladesh. La catena dell’illegalità prevedeva la falsificazione di contratti di lavoro per far risultare che i migranti avessero un posto di lavoro in Italia al loro arrivo. Ogni ingresso illegale sarebbe stato pagato diverse migliaia di euro, con profitti consistenti per l’organizzazione criminale.
    Possibile coinvolgimento della criminalità organizzata
    Non si esclude che la criminalità organizzata locale abbia avuto un ruolo nella vicenda, sfruttando il traffico di migranti per trarne profitto. Le indagini puntano inoltre a verificare se la rete per gli ingressi dal Bangladesh sia stata replicata in altre zone della Campania, a beneficio di migranti provenienti da altri Paesi.

    La risposta del procuratore Gratteri
    Il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ha commentato l’allarme lanciato dalla premier Meloni sul “caso Campania”: “Stiamo sul pezzo e non siamo preoccupati: abbiamo migliaia di uomini delle forze dell’ordine, abbiamo magistrati di altissimo livello e monitoriamo qualsiasi tipo di fenomeno”.
    Un’inchiesta complessa e in evoluzione
    L’inchiesta è ancora in pieno svolgimento e i dettagli emersi finora rappresentano solo un primo passo per smantellare un sistema illegale che sfrutta la vulnerabilità dei migranti per trarne profitto. Le indagini proseguiranno per accertare le responsabilità di tutti gli attori coinvolti e per individuare eventuali altri filoni investigativi.
    L’episodio, riportate dalle cronache di Napoli dopo la denuncia della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rappresenta un monito contro lo sfruttamento dei migranti e la necessità di rafforzare i controlli per contrastare il traffico illegale di esseri umani. Le istituzioni e le forze dell’ordine sono impegnate a garantire la legalità e a tutelare i diritti di tutti i cittadini.
    Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Napoli, maxi processo al clan Contini: 140 indagati

    Napoli. 140 gli indagati, 1000 pagine di ordinanza cautelare, 130 capi di imputazione e 40 ordinanze di misura cautelare: è questa la sintesi del maxi processo al clan Contini che inizia dopodomani  nell’aula Bunker di Poggioreale. L’udienza preliminare che si apre il 7 giugno parte dall’inchiesta della Procura di Napoli, Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e con i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia ed emesse dal G.I.P.
    Punti Chiave Articolodel Tribunale di Napoli, per un presunto giro di denaro sporco, secondo gli Inquirenti – proveniente dal clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano – riciclato in imprese del tessuto economico campano e non solo.
    Nella lista esponenti del clan Contini, imprenditori compiacenti, prestanome, intermediari d’affari, per un giro vertiginoso di soldi che ha portato carabinieri e finanza ad operare anche una serie di sequestri per un totale di 8,4 milioni di euro. Otto anni di indagini, per questo filone di indagine (ve ne sono altri 10) avvenute attraverso analisi di documenti fiscali, accertamenti fiscali, appostamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, testimonianze di parti offese e di Collaboratori di Giustizia, il cui castello accusatorio si completava via via con nuovi accertamenti, interrogatori e nuovi iscritti nel registro degli indagati.
    I reati contestati dagli inquirenti sono a vario titolo: falsificazione e commercializzazione di orologi a marchio contraffatto, fittizia intestazione di beni, indebite compensazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali, emissione ed utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, dichiarazione infedele, indebita compensazione, detenzione e traffico di armi da fuoco, estorsione aggravata, aggressione e tentato omicidio, tutte aggravate dal metodo mafioso per favorire la potente cosca del Clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano (Mallardo e Licciardi).  I Festa avevano creato un gruppo imprenditoriale/criminale Secondo gli investigatori, si era costituito “un vero e proprio gruppo imprenditoriale/criminale costituito da diverse società operanti sul territorio italiano ed estero create e/o acquistate” da Antonio Festa, suo figlio Gennaro Festa e Salvatore D’Amelio,  grazie alla collaborazione di vari professionisti tra cui Michele Tecchia il tutto attraverso “l’imposizione fittizia e fiduciaria di numerosi prestanome”. Tenore di vita altissimo, investimenti in molteplici settori economici, eppure i componenti del Gruppo Festa risultavano secondo gli inquirenti “essere privi di una solida base economica”. L’ipotesi è che i componenti del gruppo fossero riusciti a “creare una fitta rete di società intestate a prestanome, nelle quali confluivano i proventi delle varie condotte illecite, dalla contraffazione alle frodi fiscali, e conseguenti attività di riciclaggio”. Nell’inchiesta anche il traffico di armi Ultima fase di questa enorme vicenda criminale: detenzione e traffico di armi da fuoco e l’estorsione al fondamentale intermediario S.C, che secondo la Procura e’ stato destinatario di estorsioni da uomini del clan, minacciato, picchiato e accoltellato per un investimento andato male con i Festa e altri esponenti del clan, antecedentemente all’epoca covid, con intermediari Cinesi. Una vera e propria esecuzione che doveva portare al suo omicidio. Tra le varie attività, il gruppo secondo gli inquirenti avrebbe anche acquisito il 50% del capitale sociale di una clinica per autistici in provincia di Campobasso, reimpiegando nell’operazione quasi 3 milioni di euro di origine illecita. Nel pool difensivo gli avvocati Arturo Cola,  Gaetano Manzi, Giovanni Cerino,  Vincenzo Romano, Claudio Davino, Massimo Viscusi, Domenico Vincenzo Ferraro, Gianluca Gambogi,  Leopoldo Perone. Leggi AncheSiamo la redazione di Cronache della Campania. Sembra un account astratto ma possiamo assicurarvi che è sempre un umano a scrivere questi articoli, anzi più di uno ed è per questo usiamo questo account. Per conoscere la nostra Redazione visita la pagina “Redazione” sopra nel menù, o in fondo..Buona lettura! LEGGI TUTTO

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    Omicidio Roberto Bembo, in aula le immagini choc dell’aggressione

    Un puntino appare all’orizzonte: avanza lentamente, poi accelera fino a raggiungere l’auto di Iannuzzi. È Roberto Bembo, che crolla dopo aver colpito a mani nude i suoi tre aggressori. Così inizia la drammatica ricostruzione nell’aula della Corte d’Assise di Avellino, presentata dall’ispettore della Squadra Mobile, Roberto De Fazio.

    Punti Chiave ArticoloL’investigatore descrive le immagini registrate dalle telecamere il primo gennaio dell’anno precedente, nel parcheggio del bar in via Nazionale Torrette, dove il 21enne di Mercogliano fu mortalmente ferito dalle coltellate di Niko Iannuzzi durante una rissa scatenata per futili motivi. Roberto Bembo morirà dieci giorni dopo in ospedale. Nel silenzio dell’aula, De Fazio prosegue la descrizione delle immagini al presidente della Corte, Gian Piero Scarlato: “Roberto sente il colpo e porta la mano al collo, capisce che deve andarsene e si allontana barcollando. Bembo era circondato dai suoi tre aggressori. Fino a quel momento era riuscito a sostenere la lite, ma dopo aver ricevuto il colpo alla gola, le forze cominciano a venir meno e si allontana dal luogo della rissa”.
     La vittima colpita alla gola da una coltellata perse le forze La richiesta di proiettare in aula il filmato è stata avanzata dagli avvocati Gaetano Aufiero e Stefano Vozzella, difensori dei tre imputati, Niko Iannuzzi e i fratelli Luca e Daniele Sciarrillo, detenuti con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, richiesta condivisa dal pm Vincenzo Toscano. Nelle precedenti udienze, infatti, le testimonianze degli amici che erano con Roberto quella mattina non avevano chiarito l’esatta dinamica dei fatti. La prossima udienza è stata fissata per il 10 luglio e sarà dedicata alle testimonianze della parte civile. Leggi AncheEsperto in diritto Diplomatico e Internazionale. Lavora da oltre 30 anni nel mondo dell’editoria e della comunicazione. E’ stato rappresentante degli editori locali in F.I.E.G., Amministratore di Canale 10 e Direttore Generale della Società Centro Stampa s.r.l. Attento conoscitore della realtà Casertana. LEGGI TUTTO

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    Ricercato per due violenze sessuali nel Milanese, 20enne arrestato a Formia

    Nella serata di lunedì, a Formia, i carabinieri del Norm della Compagnia cittadina, in collaborazione con i colleghi della Stazione di Trezzano sul Naviglio, in provincia di Milano, hanno tratto in arresto un 20enne di nazionalità egiziana, residente in un paesino della provincia di Pesaro e Urbino. Da alcuni giorni sul giovane pendeva un ordine […] LEGGI TUTTO

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    Benevento avvelenamento al Cinema San Marco: confermata condanna per Gina Pompeo Faraonio

    La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Gina Pompeo Faraonio, amministratrice delegata della società che gestisce il Cinema San Marco di Benevento, confermando la condanna a 6 mesi di reclusione e al risarcimento dei danni alle parti civili.
    La Faraonio era stata accusata di lesioni gravi colpose nei confronti di numerosi studenti del Liceo del Sannio. Le emissioni di monossido di carbonio, causate da un malfunzionamento del sistema caldaia-canna fumaria, avevano provocato l’intossicazione di molti studenti durante il Secondo Festival Filosofico del Sannio, tenutosi al Cinema San Marco nel febbraio 2016.

    In primo grado, il Tribunale di Benevento aveva assolto la Faraonio. Ma la Corte d’Appello di Napoli, su ricorso del Pubblico Ministero e delle parti civili, dopo l’ ultima e lunga discussione degli avvocati Vittorio Fucci e Vincenzo Regardi, difensori di numerosi parti civili, e dopo la discussione degli avvocati Angelo Leone e Dario Vannitiello, difensori della Faraonio, accogliendo la tesi dei difensori degli studenti, costituitesi parti civili, ha ribaltato la sentenza, condannando la Faraonio per la sua negligenza nel garantire la sicurezza dei presenti.
    La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso della difesa, confermando la condanna a 6 mesi di reclusione e il risarcimento dei danni. La Faraonio dovrà inoltre risarcire le spese legali sostenute dalle parti civili.

    La vicenda ha avuto una grande eco mediatica e ha acceso i riflettori sulle carenze in materia di sicurezza negli edifici pubblici. Il caso ha spinto le autorità a intensificare i controlli e a sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi.
    Alle precedenti udienze avevano discusso gli altri difensori delle altre parti civili. Oltre agli Avvocati Vittorio Fucci e Vincenzo Regardi, hanno rappresentato le parti civili anche gli Avvocati: Alessandro Della Ratta, Nicola Covino, Isidoro Taddeo, Elena Cosina, Roberto Polcino, Covino, Pietro Farina, Antonio Biscardi, Francesco Saverio Iacuzzio, Maurizio Giannatasio, Daniela Martino,, Martino Lucio Giuseppe, Teresa Napolitano, Antonella Maffei, Paolo Abbate,, Fiorita Luciano, Mario Izzo, Giovanni Palma, Nunzia Meccariello, Angelo Montella, Katia Iannotti, Giuseppe Sauchella ed altri..
    Leggi AncheEsperto in diritto Diplomatico e Internazionale. Lavora da oltre 30 anni nel mondo dell’editoria e della comunicazione. E’ stato rappresentante degli editori locali in F.I.E.G., Amministratore di Canale 10 e Direttore Generale della Società Centro Stampa s.r.l. Attento conoscitore della realtà Casertana. LEGGI TUTTO

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    Soldi e scarpe al Garante dei Detenuti Caserta: nessun patto corruttivo

    Non c’era alcun patto corruttivo tra l’ex garante dei detenuti della provincia di Caserta, Emanuela Belcuore, e il recluso del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Mario Borrata.
    Nonostante le attenzioni della garante e i suoi buoni uffici presso la direzione dell’istituto, i regali ricevuti da Belcuore tramite la sorella di Borrata, Sara, proprietaria di un negozio di abbigliamento a Casal di Principe, non rappresentano il prezzo della corruzione.

    Secondo il tribunale del Riesame di Napoli, i doni erano semplici regali dovuti alla relazione personale tra la garante e Borrata.
    Il tribunale del Riesame ha annullato la contestazione di corruzione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 20 maggio scorso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Mario e Sara Borrata.

    Mario Borrata, già detenuto per un omicidio di camorra, era stato colpito da una misura carceraria, mentre la sorella Sara era stata posta agli arresti domiciliari. Tuttavia, la misura restrittiva non è stata completamente annullata, poiché rimane in piedi l’accusa di ricettazione di un telefonino che Borrata avrebbe usato in cella.
    I giudici del Riesame hanno accolto la tesi del difensore dei fratelli Borrata, Angelo Raucci, il quale ha dimostrato, tramite comunicazioni telefoniche, che i regali ricevuti dalla Belcuore – scarpe Gucci, vestiti e soldi – non fossero legati ai presunti favori che, secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere, l’ex garante avrebbe fatto a Borrata.
    Si trattava invece di regali d’amore. Sulla base di questa accusa di corruzione, la Belcuore, che rispondeva anche di rivelazione di segreto d’ufficio, aveva patteggiato nel dicembre scorso a un anno e dieci mesi di reclusione, con pena sospesa.
    L’ex garante aveva spiegato che la scelta di patteggiare era stata fatta “a malincuore, per meri motivi di opportunità e di strategia difensiva” e soprattutto “per voltare pagina e poter continuare l’attività professionale, senza la minaccia incombente di un lungo, pesante e costoso percorso processuale”.
    Durante l’interrogatorio davanti ai pm, prima del patteggiamento, l’ex garante aveva sempre sostenuto che i regali ricevuti da Borrata fossero dovuti a motivi sentimentali.
    La Procura di Santa Maria Capua Vetere sosteneva invece che la Belcuore avesse intrattenuto conversazioni telefoniche con Borrata, che usava il cellulare illecitamente introdotto in carcere, avvisandolo delle perquisizioni e adoperandosi per far avere al detenuto una relazione di servizio positiva, senza però ottenere risultati concreti.
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    Camorra, il pentito Rosario Rolletta: “Ecco come funzionava il sistema delle estorsioni”

    “Il ‘Sistema’ funzionava così: quanto al settore delle estorsioni, i proventi di tale attività illecita confluivano in una cassa comune gestita, prima, da Francesco Audino o’cinese e successivamente, dopo il suo arresto, da Giuseppe De Luca Bossa coadiuvato da Mimì a puttana (Domenico Amitrano detto anche Mimmo o’ pop ndr) e da Umberto De Luca Bossa. Fino a quando i De Martino hanno fatto parte del cartello camorristico, i soldi delle estorsioni finivano tutti nella cassa comune da cui poi si prelevavano per l’acquisto di stupefacenti, armi e per gli stipendi agli affiliati, il pagamento degli avvocati ed il mantenimento dei detenuti”.

    Punti Chiave ArticoloA parlare è il pentito di camorra Rosario Rolletta detto friariello, per un periodo uomo del vertice del clan De Micco di Ponticelli che ha raccontato il funzionamento del sistema delle estorsioni. “Prima del suo arresto, Francesco Audino si occupava anche della distribuzione degli stipendi. Ciascun gruppo del cartello camorristico e, dunque, anche il gruppo De Martino, si occupava di estorsioni ad imprenditori, nonché a soggetti che sul territorio svolgevano attività illecita come, ad esempio, i ladri di motorini, auto, biciclette, nonché alle bancarelle di merce contraffatta, ai contrabbandieri di sigarette, ai mercatini rionali di merce e perfino ai soggetti che facevano truffe assicurative e cambi di assegni”, ha raccontato ancora Rolletta.
     Tutti pagavano il pizzo: dai ladri di moto e auto ai gestori delle bancarelle “…Ho contattato le vittime tramite Pasquale Micco e ho chiesto loro 1500euro per i lavori che stavano eseguendo che dovevano pagare al clan De Martino. De Micco mi disse che costoro a seguito della mia richiesta si erano rivolti al Cinese, Audino Francesco, in quanto poiché avevano già pagato la tangente a lui volevano sapere a che titolo dovevano pagare anche me. Il cinese rispose loro che andava bene così e che dovevano farmi un regalo perché ero detenuto; alla fine mi hanno pagato 1000euro consegnatemi tramite De Micco Pasquale”. (da sinistra nella foto il pentito Rosario Rolletta, Francesco Audino, Umberto De Luca Bossa, Giuseppe De Luca Bossa e Domenico Amitrano) (le foto di Rosario Rolletta e Umberto De Luca Bossa sono tratte da napolitan.it) Leggi Anche LEGGI TUTTO