“Rendere pubbliche le azioni che saranno adottate al fine di contenere la diffusione nelle acque delle sostanze PFAS e quali misure saranno promosse per il monitoraggio di queste sostanze, effettuando campionamenti dell’acqua nelle reti acquedottistiche che servono il maggior numero di abitanti”.
A sottoporre il quesito alla giunta con un atto ispettivo che verrà trattato nella competente commissione assembleare è Silvia Zamboni (Europa Verde), la quale con l’acronimo PFAS si riferisce ai composti perfluoroalchilici e polifluoroalchilici, “utilizzati a partire dagli anni 40 del secolo scorso e noti per la loro resistenza al calore, all’olio, all’acqua e agli agenti chimici, motivo per cui sono stati ampiamente utilizzati in una vasta gamma di prodotti industriali e di consumo come, ad esempio, rivestimenti impermeabili, repellenti per oli e grassi, schiume antincendio e prodotti per il trattamento delle superfici antiaderenti (comprese padelle e tegami di uso domestico)”.
La capogruppo ricorda poi come “negli ultimi anni sono emerse preoccupazioni riguardo alla diffusione nell’ambiente di queste sostanze e ai potenziali effetti nocivi sulla salute umana, soprattutto per la capacità di bioaccumulo nel corpo umano e nell’ambiente stante la loro non degradabilità. Secondo alcuni studi i PFAS porterebbero problemi di sviluppo, disturbi del sistema immunitario, aumento del rischio di alcune malattie croniche e, in alcuni casi, insorgenza di tumori con costi sanitari di esposizione a tali sostanze che per la sola Europa si aggirano tra i 52 e 84 miliardi di euro all’anno”.
Riferendosi poi ai regolamenti comunitari relativi a sostanze chimiche pericolose persistenti, Zamboni ricorda le soglie massime di esposizione riferite a microgrammi per chilogrammo soprattutto per uova, carne, pesce, crostacei, molluschi e frattaglie di varie specie e che, a partire dal 2026, andranno ad estendersi anche alla qualità dell’acqua nonostante sia “tuttora in corso l’uso di migliaia di sostanze di questo tipo non regolamentate”.
In seguito a recenti inchieste giornalistiche, poi, è stato stabilito che in Europa vi siano oltre 17mila siti contaminati da PFAS, di cui oltre 1600 sono in Italia. Tra le zone più contaminate da queste sostanze vi sarebbero le Regioni di Piemonte, Lombardia e Veneto “dove i PFAS -continua la capogruppo- sono stati rilevati non solo nei pressi di siti industriali, aeroportuali e nei siti di smaltimento rifiuti, ma anche nelle acque del fiume Po”.
Zamboni, rifacendosi infine a un precedente atto ispettivo, informa come siano 199 le aziende emiliano-romagnole che producono o utilizzano PFAS e che la Regione avrebbe introdotto disposizioni specifiche per contenerne la diffusione nell’ambiente idrico attraverso uno specifico monitoraggio compiuto nel secondo semestre del 2021 fra le reti di acquedotti che servono il maggior numero di abitanti. Alla luce della situazione esposta, la consigliera chiede il dettaglio delle azioni intraprese e se l’Emilia-Romagna abbia partecipato in qualche modo alla fase di consultazione pubblica a seguito della proposta di restrizione della produzione, immissione e uso di circa 10mila PFAS presentata da alcuni paesi del Nord Europa.
Silvia Zamboni, infine, chiede se l’esecutivo regionale sia a conoscenza di osservazioni, indicazioni e/o richieste di esenzione inoltrate all’agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) da aziende regionali e “se non si ritenga opportuno avviare un programma di sorveglianza sanitaria della popolazione residente nelle zone più a rischio mediante l’adozione di un Piano ad hoc per la prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle patologie cronico-degenerative potenzialmente associate ai PFAS”.
(Luca Boccaletti)
21 Marzo 2024