More stories

  • in

    Pozzuoli, corruzione Rione Terra: annullata ordinanza per l’ex direttore Enit

    Il Tribunale del Riesame di Napoli (XII Sezione penale) ha revocato l’ordinanza e la correlata misura cautelare (obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) emesse nei confronti dell’ex direttore esecutivo dell’Enit, Giovanni Bastianelli.
    Tale provvedimento riguardava una presunta ipotesi di turbativa d’asta relativa a una concessione alberghiera nel Comune di Pozzuoli, in particolare nel Rione Terra.
    Gli avvocati Domenico Ciruzzi e Valerio Esposito, che rappresentano l’ex manager pubblico, hanno espresso “grande soddisfazione” in merito alla decisione del Tribunale del Riesame.
    I due legali hanno dichiarato che il Tribunale ha reso giustizia, annullando un’ordinanza cautelare che, come hanno fermamente evidenziato durante l’udienza di riesame, non rispettava i requisiti previsti dalla legge e colpiva ingiustificatamente un onesto e stimato dirigente pubblico. LEGGI TUTTO

  • in

    Camorra, Faida del Principino: ergastolo al boss Paolo Di Lauro. Tutte le condanne

    Quella che è passata alla storia criminale di Napoli come la Faida del Principino ha conosciuto ieri il suo epilogo processuale con una serie di condanne al ribasso nel processo di primo grado.Si tratta della sanguinosa scia di sangue lasciata sulle strade di Scampia, Secondigliano e dintorni nel conflitto di camorra tra i clan Di Lauro e Licciardi negli anni ’90.
    La pena più elevata, l’ergastolo, è stata inflitta al boss Paolo Di Lauro, alias ciruzzo o’ milionario e al sicario Raffaele Perfetto, che hanno scelto di non collaborare con la giustizia.
    Trent’anni a testa sono stati invece inflitti a Guido Abbinante e Raffaele Abbinante, che hanno sempre negato le accuse.
    Per gli altri imputati le pene sono state decisamente più soft, soprattutto considerando la consistenza delle accuse:
    Giuseppe Lo Russo e Gennaro Trambarulo hanno rimediato 20 anni grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche;Rito Calzone ha rimediato 18 anni e 8 mesi grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche;
    Maurizio Prestieri, Ettore Sabatino e Antonio Leonardi hanno incassato 18 anni, 16 anni e 14 anni. I tre pentiti hanno ammesso le proprie responsabilità, confessando il proprio coinvolgimento nella Faida del Principino.
    La scia di sangue passata alla storia come la “faida del Principino” inizia a metà anni ’90 in seguito al delitto di Vincenzo Esposito, alias “il principino”, rampollo dei Licciardi assassinato dopo una rissa in discoteca con alcuni affiliati al clan Di Lauro.
    Antonio Prestieri era così imputato per il tentato omicidio di Carmine Brancaccio, avvenuto alla Masseria Cardone il 17 marzo 1997.
    Paolo Di Lauro, Antonio Leonardi e Gennaro Russo devono rispondere dell’omicidio di Pasquale Benderi “Peugeot”, affiliato ai Di Lauro, assassinato a Melito il 25 marzo 1997.
    Di Lauro, Sabatino e Raffaele Amato (poi stralciato) sono indagati per l’omicidio di Ciro Cianciulli, che voleva passare coi Licciardi, ucciso il 3 aprile 1997.
    Di Lauro, Lo Russo, Leonardi, Maurizio Prestieri e Trambarulo sono stati imputati per gli omicidi di Francesco Fusco e Armando Esposito, avvenuta il 7 aprile 1997.
    Gli altri delitti contestati sono quelli di Eduardo Cianciulli, Giuseppe Balestrieri, Gennaro Romano, Raffaele Ruggiero e il tentato omicidio di Antonio Ruggiero “Tonino sette botte”, Renato Tramontano e Umberto Zovasco, conosciuto come il “polacco”.
    I colpi di scena del processo
    Nell’udienza celebrata a dicembre scorso- come ricorda Il Roma- non sono mancati alcuni importanti colpi di scena: Giuseppe Lo Russo, Gennaro Trambarulo e Rito Calzone avevano infatti deciso di ammettere le proprie responsabilità, confessando il proprio coinvolgimento nella “faida del Principino”.
    Diametralmente opposta la linea processuale di “Ciruzzo ‘o milionario”, Raffaele Abbinante, Guido Abbinante e Raffaele Perfetto, che hanno invece deciso di non confessare alcunché. Mossa che a Di Lauro è costata l’ergastolo.
    Le condanne al ribasso, soprattutto per i capiclan, hanno suscitato le proteste delle parti civili, che hanno annunciato ricorso in appello. LEGGI TUTTO

  • in

    La stessa auto venduta due volte: la truffa ai danni di un ristoratore di Fondi

    Con un’ordinanza del Tribunale di Latina, a firma del giudice Alfonso Piccialli, si è conclusa una controversia giudiziale che ha visto protagonista un noto imprenditore di Fondi nel campo della ristorazione. Oggetto del contendere una vettura di grossa cilindrata del valore di 70mila euro, che il titolare di un autosalone del posto, che già in […] LEGGI TUTTO

  • in

    Casal di Principe, Augusto Di Meo, testimone dell’omicidio di don Peppe Diana: “Lasciato solo dallo Stato&#8 …

    Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio del sacerdote Don Peppe Diana, avvenuto il 19 marzo del 1994 a Casal di Principe, ha denunciato in Commissione Antimafia di essere stato lasciato solo dallo Stato dopo aver denunciato il killer.
    Di Meo, che non è mai stato riconosciuto come testimone di giustizia, ha raccontato di essere stato costretto ad abbandonare Casal di Principe a causa delle minacce ricevute dai clan. Ha dovuto chiudere il suo laboratorio di fotografia e trasferirsi a Spello, in Umbria.
    “Pensavo – ha detto Di Meo – che dopo aver denunciato il killer di don Peppe, lo Stato sarebbe venuto da me, ed invece sono stato abbandonato al mio destino”.
    Il testimone ha raccontato di aver dovuto affrontare le indagini e il processo al killer di don Peppe da solo, senza alcun sostegno economico o morale da parte delle istituzioni.
    “Quando mi recavo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere – ha detto – mi definivano ‘spione’, ‘infame’. Vivevo nel terrore, mi sentivo solo”.
    Di Meo ha anche raccontato di aver cercato di ottenere il riconoscimento come testimone di giustizia in ritardo rispetto ai termini di legge. Ha poi provato a percorrere la strada della legge che tutela i familiari delle vittime innocenti di camorra, ma anche in questo caso si è scontrato con l’indifferenza delle istituzioni.
    “Oggi Casal di Principe è diversa – ha detto Di Meo – ma ancora non si è liberata dalla camorra. Io non smetterò mai di incontrare i ragazzi e dir loro di denunciare, di non voltarsi dall’altra parte come ho fatto io e don Peppe”.
    Le parole di Di Meo hanno suscitato un forte dibattito in Commissione Antimafia. La presidente Chiara Colosimo ha espresso la sua solidarietà al testimone e ha annunciato che la Commissione approfondirà la vicenda.
    Il caso di Di Meo è un esempio emblematico delle difficoltà che incontrano i testimoni di giustizia in Italia. È necessario che lo Stato faccia di più per tutelarli e sostenerli, altrimenti si rischia di scoraggiare le persone che hanno il coraggio di denunciare la criminalità organizzata. LEGGI TUTTO

  • in

    Bimba ferita a Sant’Anastasia: fondazione Polis parte civile al processo

    La Fondazione Polis della Regione Campania è stata accettata come parte civile nel processo relativo al ferimento della piccola Assunta Basile e del suo papà, avvenuto a Sant’Anastasia il 23 maggio scorso.
    Don Tonino Palmese, presidente di Polis, ha dichiarato: “Accompagniamo con orgoglio questa famiglia che ha dimostrato la difesa della sua bambina, non solo nel momento della sparatoria, ma in tutto questo tempo di protezione e di accompagnamento educativo e affettivo”.
    La decisione di costituirsi parte civile da parte della Fondazione si basa sul principio fondamentale che la violenza inflitta a un cittadino causa danni devastanti all’intera società, specialmente quando la vittima è un minore.
    La Fondazione sostiene che la trasparenza in questo caso è essenziale per garantire che i diritti dell’intera popolazione siano affermati, consentendo una convivenza sicura e libera da ogni forma di reato intenzionale violento.
    La vicenda di Assunta e della sua famiglia è considerata emblematica dell’attuale emergenza vissuta nei territori, dove spesso bambini e ragazzi si trovano coinvolti sia come vittime che come colpevoli. La Fondazione Polis si impegna a contribuire alla promozione di una società più sicura e a difendere i diritti di coloro che sono coinvolti in situazioni di violenza e crimine, in particolare nei confronti dei minori.

    Leggi anche LEGGI TUTTO

  • in

    Camorra ad Acerra, si è pentito il boss Bruno Avventurato

    Acerra. Si è pentito il boss Bruno Avventurato mandante dell’omicidio del giovane pusher Antonio Natale ucciso il 4 ottobre 2021 a Caivano, per aver sottratto un borsone di armi e droga al clan Bervicato.
    La notizia è stata confermata ieri nel corso di un processo contro la camorra di Acerra in cui compaiano 18 persone. Bruno Avventurato ha quindi seguito le orme del fratello Giancarlo, collaboratore di giustizia già da tempo.
    Nel frattempo, il neo-collaboratore di giustizia, come riportano Il Roma e Cronache di Napoli in edicola oggi, attraverso il suo nuovo legale di fiducia, ha richiesto di sottoporsi a interrogatorio.
    Così come hanno fatto anche i suoi coimputati: ovvero il cognato Andrea Aloia(coindagato di Avventurato per l’omicidio di Pasquale Tortora) ed Emanuele D’Agostino, alias “O Tunno”, indagato con Bruno Avventurato per l’omicidio di Antonio Natale.
    La notizia del pentimento di Bruno Avventurato apre nuovi scenari nelle indagini sugli affari criminali di Acerra, Caivano ed Afragola, città dove la camorra da anni controlla la città e dove gli scontri criminali continuano ad essere frequenti.
     Il ruolo nell’omicidio del pusher di Caivano, Antonio Natale
    E soprattutto potrà chiarire in maniera definitiva i ruoli e tutti i nomi delle persone coinvolte nell’omcidio del giovane pusher Antonio Natale il cui cadavere fu fatto trovare 15 giorni dopo la sua scomparsa e dopo una serie di plateale manifestazioni della mamma.

    Leggi anche LEGGI TUTTO

  • in

    Delitto di Giulia Tramontano: inizia il processo ad Alessandro Impagnatiello

    Parte oggi davanti alla Corte d’assise di Milano il processo a carico di Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano, avvenuto il 27 maggio 2023 nella loro abitazione di Senago, uccisa incinta al settimo mese di gravidanza del figlio che avrebbe chiamato Thiago.L’ex barman è accusato di omicidio volontario pluriaggravato da futili motivi e per averlo commesso nei confronti della convivente con crudeltà e premeditazione (per mesi avrebbe somministrato veleno per topi alla fidanzata in quantità crescenti e tali da raggiungere il feto, oltrepassando la placenta) oltre ai reati di occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non volontaria. Rischia l’ergastolo.
    “Sarà in aula. Aspetta il giorno del giudizio” ha fatto sapere l’avvocato Samanta Barbaglia che assiste il 31enne con la collega Giulia Geradini. La difesa punta a chiedere alla corte, presieduta da Antonella Bertoja (giudice a latere Sofia Fioretta e 6 giudici popolari) una perizia psichiatrica e ha nominato due soli testimoni (uno psichiatra e una psicologa) per tentare di dimostrare il vizio parziale di mente dietro l’efferato omicido commesso con “37 coltellate a collo, dorso e viso, di cui almeno 9 sferrate quando la vittima era ancora viva”.
    Il padre di Giulia: “Chiediamo giustizia niente e nessuno ci fermerà”
    “Non ci fermeremo davanti a niente e nessuno, finché non avremo giustizia”. Lo ha detto Franco Tramontano, padre di Giulia, in arrivo a Milano insieme alla famiglia per l’inizio del processo.  “La nostra forza sono Giulia e Thiago. Loro ci daranno la forza, sempre e per sempre”.
    Nella prima udienza si deciderà quali prove e testimonianze ammettere e se accettare le richieste di costituzione di parte civile del Comune di Senago, assistito dall’avvocato ed ex pm Antonio Ingroia, e della famiglia Tramontano, rappresentata dall’avvocato Giovanni Cacciapuoti. Il legale ha già incaricato gli psichiatri Salvatore De Feo e Diana Galletta come consulenti di parte nel caso fosse disposta una perizia sulla capacità di intendere e di volere di Impagnatiello.
    Sono 104 le fonti di prova raccolte e depositate dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e la pm Alessia Menegazzo in meno di 6 mesi di indagini con il Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano: interrogatori, hard disk, cartelle cliniche e annotazioni di polizia. Le indagini sono cominciate il giorno dopo quella che, per 72-96 ore, è sembrata la ‘scomparsa’ della giovane agente immobiliare.
    Scomparsa diventata un’inchiesta per omicidio l’1 giugno con il fermo di Impagnatiello in caserma a Senago, la sua iniziale, parziale e contradditoria confessione e il ritrovamento del cadavere, bruciato e avvolto in buste di plastica legate da nastro adesivo, nell’intercapedine di viale Monterosa.
    Gli inquirenti hanno svelato la doppia vita condotta dal barman che sarebbe dietro al movente del delitto: una relazione parallela, piena di bugie, con una collega 23enne italo-inglese che, il pomeriggio della tragedia, incontra Tramontano e le racconta tutta la verità. All’appuntamento ‘chiarificatorio’ avrebbe dovuto esserci anche lui, ma non si presenta. Giulia alle 19.05 di quel sabato rientra nella casa di via Novella, infuriata (come dimostrano le chat).
    Dentro quelle mura trova la morte con 37 coltellate di cui 2 letali che avrebbero reciso la carotide e la succlavia. Impagnatiello, nelle ore e giorni successivi, tenta di disfarsi del corpo, bruciandolo con alcol e benzina nella vasca da bagno e nel box, prova a raggiungere l’amante che non gli apre la porta, finge di inviare messaggi alla fidanzata, depista le indagini, pulisce i pavimenti in modo ‘maniacale’ ma non abbastanza per sfuggire al luminol che mostrerà copiose macchie di sangue sulle superfici.
    Gli investigatori trovano sui suoi tablet e pc le ricerche su Internet con le parole “veleno”, “cloroformio” e “ammoniaca”, iniziate mesi prima quando avrebbe scoperto che sarebbe diventato padre. Una delle prove questa su cui si regge l’accusa di premeditazione (e quindi la pena massima potenziale del carcere a vita) negata inizialmente con l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a San Vittore del 31enne: per il Gip allora mancava il “radicamento” nel “tempo” del “proposito omicida” e la “preordinazione” di “mezzi” e “modalità” per uccidere Giulia.

    Leggi anche LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, omicidio al Pallonetto: nuovo fermo per Gennaro Belaeff

    Secondo fermo in sei mesi per l’omicidio di Pasquale Sesso avvenuto il 5 luglio scorso al Pallonetto di Santa Lucia.
    Su delega del Procuratore della Repubblica di Napoli, infatti, la Polizia di Stato ha eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia – a carico di Gennaro Belaeff per i reati di omicidio e tentato omicidio, aggravati anche dalle modalità mafiose previste dall’art. 416 bis 1 c.p. per aver favorito il Clan Elia operante nel quartiere Santa Lucia.
    La misura precautelare compendia gli esiti delle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Napoli e dal Commissariato San Ferdinando in relazione all’omicidio di Sesso Pasquale avvenuto la sera del 5 luglio in via Solitaria a Pizzofalcone quando l’indagato avrebbe esploso dal balcone della propria abitazione numerosi colpi d’arma da fuoco provocando alla vittima uno “shock emorragico a seguito di ferita d’arma da fuoco che ha determinato, tra le altre, lesione all’arteria femorale destra ed un proiettile in zona polmonare”.
     Gennaro Belaeff aveva anche tentato di uccidere Luigi Sesso, fratello di Pasquale
    L’attività investigativa effettuata ha permesso di ricostruire l’evento omicidiario di  Pasquale Sesso e di accertare che qualche minuto prima era stato posto in essere anche il tentato omicidio del fratello Luigi Sesso.
    Le risultanze delle attività svolte hanno permesso di ricondurre gli eventi delittuosi ad una conflittualità tra le famiglie degli Elia, a cui l’indagato è contiguo, e dei Sesso che attualmente sono in forte ascesa nelle dinamiche criminali del Pallonetto di Santa Lucia in considerazione del vuoto di potere creatosi negli ultimi anni proprio per gli arresti degli esponenti di spicco dei clan avversi.
    Al provvedimento in questione ha fatto seguito ordinanza cautelare della custodia in carcere di Belaeff Gennaro, emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno in data 10 gennaio 2014 LEGGI TUTTO

  • in

    Omicidio Vassallo, ufficiale dei carabinieri sentito per 11 ore in procura a Salerno

    Un lungo interrogatorio si è svolto davanti ai pubblici ministeri incaricati dell’indagine sul delitto di Angelo Vassallo. Undici ore ininterrotte, con l’eccezione di una breve pausa pranzo, sono state impiegate per rispondere a domande riguardanti la tragica notte del 5 settembre 2010, quando il sindaco di Acciaroli fu brutalmente ucciso. A distanza di quattordici anni dall’omicidio, la Procura di Salerno ha registrato un nuovo sviluppo nell’inchiesta volta a ricostruire le responsabilità e i motivi dietro l’assassinio del sindaco pescatore.
    Il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo- come riportano Il Mattino e l’edizione napoletana di Repubblica– è stato interrogato lunedì scorso, un anno e mezzo dopo il decreto di perquisizione emesso dai pubblici ministeri salernitani nell’estate del 2022.
    L’interrogatorio potrebbe rappresentare una svolta nell’indagine, considerando le ipotesi formulate dai magistrati. Gli inquirenti accusano Cagnazzo di concorso in omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione e dal coinvolgimento camorristico. Nonostante i suoi notevoli successi contro la camorra e i clan mafiosi, il colonnello è ora coinvolto in un presunto coinvolgimento nell’organizzazione dell’omicidio di Vassallo, creando le condizioni per un depistaggio mirato.
     Le ipotesi di depistaggio delle indagini
    Gli inquirenti sostengono che avrebbe contribuito a mettere in scena un depistaggio volto a scaricare le colpe dell’omicidio su un pusher di origine brasiliana, il quale, secondo le prove, risulterebbe estraneo al delitto. Inoltre, si ipotizza che Cagnazzo abbia giocato un ruolo nella fase esecutiva dell’agguato.
    Nonostante gli inquirenti non abbiano chiarito chi abbia sparato i sette colpi che hanno causato la morte del sindaco di Acciaroli, parlano apertamente di un’imboscata in cui l’assassino e il sindaco si sono trovati faccia a faccia. Durante il suo ritorno a casa, Vassallo avrebbe abbassato il finestrino dell’auto per incrociare lo sguardo di chi avrebbe premuto il grilletto.
    È importante sottolineare che Cagnazzo non è l’unico sotto inchiesta; altri nomi, come quelli dei Ridosso, di Maurelli (deceduto anni fa), e di Cafiero, presunto narcotrafficante di Torre Annunziata, sono coinvolti nell’indagine.
    L’interrogatorio è stato condotto non solo dal procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli, ma anche dal pm Marco Colamonici, che ha mantenuto la delega a indagare sulla vicenda di Vassallo.
    Difeso dall’avvocato Ilaria Criscuolo, Cagnazzo ha accettato l’invito a comparire, dimostrando determinazione nel respingere le accuse e nel sostenere la sua integrità. Pur avendo la facoltà di non rispondere, ha scelto di partecipare attivamente all’interrogatorio, un confronto che probabilmente ha fatto leva sulle perquisizioni del 2022 e su alcune intercettazioni emerse durante l’inchiesta. E si è difeso strenuamente sostenendo di essere vittima di congetture e illazioni.
    Il coinvolgimento del carabiniere Lazzaro Cioffi condannato per droga
    Va sottolineato che Cagnazzo non è l’unico militare coinvolto in questa vicenda, e la Procura ipotizza un accordo con il carabiniere Lazzaro Cioffi, suo ex attendente di fiducia, già condannato in passato per reati legati alla droga.
    Il movente dell’omicidio viene contestualizzato in un contesto segnato dal narcotraffico, con Acciaroli come meta turistica e il sindaco deciso a denunciare il traffico di droga nella zona. Gli inquirenti ritengono che l’omicidio di Vassallo fosse necessario per proteggere gli interessi legati allo spaccio di cocaina lungo la costa cilentana nel 2010.
    L’interrogatorio del narcotrafficante Raffaele Imperiale
    Si tratta di un omicidio premeditato, organizzato per evitare conseguenze indesiderate e impedire al sindaco di fare accuse precise su presunte collusioni tra esponenti delle istituzioni, camorristi e imprenditori sospettati di avere legami con la camorra. Recentemente, la Procura di Salerno ha ascoltato il pentito Raffaele Imperiale, ex broker del narcotraffico, che sembra conoscere la storia di Lazzaro Cioffi e delle presunte collusioni nel Parco Verde.
    La vicenda, complicata e intricata, deve ora fare i conti con la versione dei fatti di Fabio Cagnazzo, emersa dopo undici ore di interrogatorio in Procura.

    Leggi anche LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, bruciò vivo il pusher ribelle del Rione Sanità: sconto di pena per Alessio Pica

    La seconda sezione della Corte di Appello di Napoli ha ridotto la pena inflitta all’imputato Alessio Pica, accusato del tentato omicidio di Antonio Storaro nel rione Sanità di Napoli nel dicembre 2021, a 5 anni e mezzo.
    In primo grado, gli erano stati assegnati otto anni e tre mesi di reclusione. L’avvocato Raffaele Chiummariello ha difeso Pica, già assolto dall’aggravante camorristica, dalla premeditazione e dai motivi abbietti e futili.
    Secondo gli inquirenti della DDA partenopea, Pica avrebbe cercato di uccidere Storaro, con il quale aveva divergenze legate al rifiuto di quest’ultimo di continuare a lavorare nella piazza di spaccio gestita da Pica nell’antico quartiere della città.
    L’incontro tra i due avvenne in piazza San Vincenzo, dove Pica, con un pretesto, avrebbe rovesciato della benzina su Storaro, dandogli poi fuoco. È importante notare che, al momento dei fatti, Pica era sottoposto agli arresti domiciliari.
    Storaro fu soccorso dalla madre e da alcuni residenti che riuscirono a spegnere le fiamme. Successivamente, venne ricoverato al Cardarelli per “ustioni di sedi multiple del corpo”. Nonostante le indagini e le intercettazioni telefoniche, il movente dell’aggressione non è risultato chiaro sin dall’inizio, e i dubbi non sono stati risolti nemmeno dalle conversazioni intercettate.
     Le intercettazioni non hanno chiarito il movente
    In una di esse, una parente di Pica lo difendeva, sostenendo che “Alessio ha fatto bene… troppa confidenza”. Nel frattempo, la madre di Storaro, in una conversazione in caserma con la fidanzata del figlio, sembrava sapere come si erano svolti i fatti e si mostrava scettica riguardo alle indagini dei carabinieri: “Ma se voi lo sapete… da me che volete…”, disse. LEGGI TUTTO

  • in

    Scafati, scarcerato il ras Pasquale Panariello: uomo del vertice del clan Matrone-Buonocore

    Dopo la stangata per il clan Buonocore – Matrone di Scafati e del Clan Cesarano di Castellammare di Stabia che ha portato a complessivi 100 anni di carcere che sono stati comminati dalla corte di appello di Salerno il 22 dicembre scorso per un’inchiesta condotta dalla Dda di Salerno sul territorio di Scafati e Santa Maria La Carità che ha decapitato i due clan “alleati”, arriva la prima scarcerazione eccellente.
    Ritorna in libertà dopo soltanto due anni dal suo arresto, Pasquale Panariello, figura di vertice del crimine scafatese sebbene fosse stato condannato in appello per associazione camorristica ad una condanna complessiva di 6 anni ed 1 mese. Accolta l’istanza del suo difensore di fiducia l’avvocato Gennaro De Gennaro ed il Panariello é ritornato ad essere un uomo libero ma con l’obbligo di firma.
    La corte di appello ha riconosciuto il vincolo della continuazione con altro reato estorsivo che aveva già scontato e preso atto che il Panariello andava immediatamente rimesso in libertà. La corte di appello ha ritenuto che il Panariello avesse espiato l’intera pena sebbene avesse scontato solo due anni per il reato associativo, riconoscendo la tesi del suo avvocato che richiamava la fungibilità per l’intero periodo.
    I fatti ricostruiti dagli inquirenti vanno dal 2014 al 2019 e hanno portato a 14 condanne per servizi e slot machine imposti agli imprenditori dietro minacce, spesso attraverso l’esplosione di ordigni artigianali fabbricati dallo stesso Panariello appartenente alla famiglia dei fuochisti di Scafati.
    Pasquale Panariello viene anche coinvolto nel traffico di stupefacenti insieme al fratello Marcello, deceduto nel febbraio 2022, quando era poco più che ventenne, vittima di un drammatico incidente stradale.
    Secondo la DDA di Salerno i due fratelli oltre che a trafficare armi e droga ed essere esponenti di spicco del clan Buonocore Matrone non disdegnavano di taglieggiare i commercianti, gestendo gli affari illeciti del centro di Scafati, zona dei vetrai. LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, accoltellò 17enne: arresti domiciliari per Vincenzo Taglialatela

    Si è celebrata l’udienza davanti al tribunale del riesame di Napoli a carico di  Vincenzo Taglialatela di anni 24, accusato di tentato omicidio ai danni di un minore di anni 17.
    Fatto avvenuto in concorso con il cugino Giovanni Taglialatela di anni 21 ( (quest’ultimo in un primo tempo irreperibile alle ricerche e poi consegnatosi spontaneamente al carcere di Secondigliano il giorno 4 gennaio scorso.
    L’accusa e’ di tentato omicidio, avvenuto il 24 dicembre scorso in via delle Repubbliche Marinare a Napoli, in concorso con il cugino Giovanni Taglialatela perché aveva ferito ripetutamente ( 5 fendenti) con un arma da taglio la vittima attingendolo anche la testa ( organo vitale).
    Il Tribunale del Riesame, preso atto della cartella clinica e di una consulenza di parte presentata dalla difesa (avvocato Davide Della Pieta’) ha disposto gli arresti domiciliari per  Vincenzo Taglialatela.
    La cartella clinica è stata acquista dalla difesa tempestivamente al fine di dimostrare come i colpi inferti non abbiano messo in pericolo di vita la giovane vittima. LEGGI TUTTO