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    Processo Galleria Umberto, la polemica dell’avvocato di uno degli imputati

    Lo scandalo del Processo galleria Umberto, la sentenza di primo grado tenta di scagionare il Comune: parla l’avvocato di uno degli imputatiPUBBLICITA

    E’ in corso l’Appello del processo sulla morte del giovane Giordano. “Si discute ancora sulla proprietà di un monumento storico quando, ai sensi dell’art.9 della Costituzione, senza alcun dubbio, la pubblica amministrazione, è l’unico soggetto deputato, alla tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione”. Le parole di uno degli avvocati.

    Si avvicina un’altra udienza per il processo del crollo in galleria Umberto a Napoli, che causò la morte del giovane Salvatore Giordano, che riportò gravi ferite dopo essere stato colpito alla testa dal pesante frammento di un fregio staccatosi dall’opera architettonica.
    La Galleria Umberto di Napoli è un monumento storico e pertanto di proprietà del Comune, in particolare il fregio dell’arco che sostiene la volta ha una funzione importante per mantenere la cupola che è inconfutabilmente dell’amministrazione partenopea, come evidenziato anche dal procuratore generale nel corso dell’ultima udienza, che si è tenuta il 27 maggio davanti alla Corte d’Appello di Napoli.

    Inoltre ci sono leggi e documenti che lo attestano, e che sono stati acquisiti per il processo di appello che è ancora in corso.
    “Si discute ancora sulla proprietà di un monumento storico quando, ai sensi dell’art.9 della Costituzione, senza alcun dubbio, la pubblica amministrazione è l’unico soggetto deputato alla tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione”.
    Queste sono le parole dell’Avv. Carlo Spina, difensore di uno degli imputati che, come altri tre appellanti, ha rinunciato alla prescrizione in modo da poter difendere fino all’ultimo la propria innocenza dal pregiudizio di una sentenza di primo grado, che lo vede condannato per la mancata tutela di un bene che “per comune sentire” non è di proprietà privata.

    Del resto, tale “comune sentire” nel corso del processo ha trovato piena condivisione nella testimonianza dell’accreditato accademico Prof. Nicola Augenti, più volte chiamato a svolgere il ruolo di consulente in importanti processi, come quello del crollo del ponte Morandi di Genova.
    Infatti, l’accademico nominato consulente della procura,sentito davanti al giudice di primo grado, ha affermato che, senza alcun’ombra di dubbio, il frontone, da dove si è staccato l’intonaco assassino, è di proprietà pubblica.
    Del resto, il regolamento del condominio di piazzetta Matilde Serao n.7, documento acquisito agli atti del processo, nulla dice riguardo ad uno specifico intervento sul frontone assassino.
    Un altro elemento portato all’attenzione del giudice dallo stesso difensore dell’imputato che ha rinunciato alla prescrizione, è rappresentato da un atto, a firma del Prof. Nicola Spinosa, con il quale nell’anno 1996, a seguito della caduta di intonaci dall’arco di ingresso della galleria, lato via Santa Brigida, causate da infiltrazioni d’acqua sulla copertura dell’arcone, la soprintendenza dei beni artistici di Napoli invitava l’amministrazione comunale adintervenire provvedendo anche al restauro delle parti danneggiate;
    di fronte a questo atto di un organo amministrativo, deputato alla tutela del patrimonio artistico, il comune di Napoli riteneva di doversene fare carico affidandone i lavori di restauro a ditta specializzata.
    Del resto, lo stesso teste Carughi, sempre in occasione della sua deposizione davanti al giudice di primo grado affermava: che così si era proceduto perché si riteneva che l’arcone fosse di proprietà pubblica, in quanto sottoposto ipso iure a vincolo e la stessa valutazione poteva, a suo avviso, estendersi anche agli altri ingressi della Galleria.
    La situazione è talmente chiara che mi sembra scandalosa la sentenza di primo grado, in una vicenda che ha causato la morte di un giovane ragazzo, 10 anni fa – ha continuato l’avvocato, che ha poi spiegato -, prima di tutto perché c’è una legge dello stato, la legge di Napoli, del 1885, che vieta la vendita a privati (e quindi alle banche) delle facciate che sono sulle strade sulle fasce orizzontali del monumento storico, sui quali si può intervenire solo attraverso un fondo pubblico che prevede un 50% a carico del Comune e un 50% a carico dello Stato.
    C’è chi ha parlato di un atto di compravendita dell’appartamento al quarto piano del 1917 – ha continuato Spina – che in realtà conferma solo quanto abbiamo detto, cioè che le banche non potevano vendere il terrazzo (sotto il quale vi è il frontone al di sopra dell’arco d’ingresso della galleria).
    Nello specifico in questo atto di vendita del 1917 si fa riferimento alla vendita dell’appartamento annesso al terrazzo (quello che è sul frontone incriminato) e si specificano anche i confini del bene venduto, come previsto dal codice civile Pisanelli, precedente a quello attuale, che impone che si trasferiscano le cose che sono esplicitamente scritte.
    Proprio in questo documento i beni da trasferire al proprietario D.R sono elencati e difatti non vi è la torre incriminata proprio perché non poteva esserci, poiché di proprietà comunale e dunque non vendibile: la non vendibilità, per intenderci, deriva proprio dalla natura giuridica del terrazzo, diversa da quella dell’appartamento”.
    Il procuratore generale nella sua ultima requisitoria in aula, ha parlato “di una lacunosa manutenzione decennale”, che pero è stata segnalata più volte dai condomìni adiacenti all’arco in questione che comunicarono al Comune diverse volte (nel 2009 e poi nel maggio 2014) la necessità di intervenire per mettere in sicurezza la parte, sulla quale però, da semplici cittadini, non poterono mettere mano in quanto parte monumentale della galleria.
    Seppur i rilievi siano stati evidenziati in aula, la sostituto procuratore generale, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado alla Corte di Appello. Confondendo anch’essa che quello che chiamiamo Galleria è divisa in una parte privata (fabbricati condominiali e relative facciate) e una parte pubblica (strade coperte dalle volte a vetro e relative pertinenze che comprendono i fregi.
    Un’ultima considerazione, che secondo lo stesso difensore potrebbe fare anche un comune cittadino alla lettura delle motivazione della sentenza che attribuiscono al frontone una funzione di decoro delle facciate dei confinanti condomini, attribuendone, perciò, anche l’obbligo della sua manutenzione, che se venisse applicato lo stesso metro di giudizio alla fontana di Trevi che forma un tutt’uno con la facciata di palazzo Poli, in mancanza di idonea documentazione, l’obbligo manutentivo andrebbe a ricadere, per quel principio di Trevi “presunzione” richiamato nella sentenza del Tribunale di Napoli, esclusivamente sui proprietari del palazzo del duca Poli, che potrebbero, come fece Totò, nel noto film “Totò Truffa 62“, venderlo a terzi.
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    Castellammare arrestato pusher: in casa anche documenti e carte di credito rubate

    Casstellammare. I militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Torre Annunziata hanno arrestato un uomo, già noto per precedenti specifici in materia di stupefacenti, trovato in possesso di sedici involucri di cocaina nella sua abitazione.PUBBLICITA

    In particolare, i finanzieri della Compagnia di Castellammare di Stabia, nell’ambito di un’attività info-investigativa autonoma, hanno scoperto una fervente attività di spaccio in un’abitazione nel Comune di Castellammare di Stabia.

    Dopo diversi appostamenti per individuare il luogo esatto dove fosse nascosta la droga, sono intervenuti.
    Identificato l’obiettivo, i militari hanno eseguito una perquisizione domiciliare, rinvenendo e sequestrando 3,5 grammi di cocaina. La sostanza era custodita, insieme a un bilancino di precisione, all’interno di un calzino abilmente nascosto dietro un camino elettrico situato nella sala da pranzo dell’abitazione dello spacciatore.

    Inoltre, sono stati rinvenuti e sequestrati una patente di guida e due carte di credito, risultate oggetto di denuncia di furto in data 5 giugno.
    L’uomo è stato arrestato in flagranza di reato e, a seguito dell’udienza di convalida da parte dell’Autorità Giudiziaria di Torre Annunziata, è stato sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in attesa del processo.
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    Casapulla imprenditore agricolo a processo per la morte di un dipendente

    Richiesta di rinvio a giudizio a firma del Pubblico Ministero del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dott.ssa Daniela Pannone, per l’imprenditore agricolo D’Angelo Aniello, 62 anni di Casapulla.PUBBLICITA

    Secondo le accuse nella sua qualità di datore di lavoro, per sua colpa consistita nell’inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, provocava la morte di un suo operaio agricolo Ferraro Salvatore per cui egli risponde di omicidio colposo per infortunio sul lavoro nella forma aggravata.

    Il defunto operaio Ferraro Salvatore, dagli accertamenti eseguiti dalla stazione dei carabinieri competente, non era stato assunto regolarmente, e perdeva la vita durante la raccolta di ciliegie in un frutteto di proprieta’ di D’Angelo Aniello in quel di Castel di Sasso, mentre era intento a maneggiare una scala in alluminio di circa sei metri, a posizionarla e a salirci sopra, urtava proprio con la scala contro i cavi elettrici che erano sul frutteto e lo sovrastavano.
    Per queste ragioni rimanendo cosi folgorato e perdendo la vita in quanto la scala faceva da conduttore elettrico con i fili di alta tensione. Inutile i soccorsi che non potevano fare altro che constatare la sua morte.

    La Procura della Repubblica ha contestato a D’Angelo Aniello, difeso dagli avvocati Raffaele e Gaetano Crisileo, anche la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro perché, quale datore di lavoro di lavoro del povero operaio nell’affidargli i compiti da svolgere non ha tenuto conto delle sue capacità lavorative e delle sue condizioni di salute e di sicurezza ne’ lo ha sottoposto a visita medica al fine di accertarne l’idoneità sanitaria alla mansione di operatore agricolo che svolgeva.

    Infine il defunto operaio Ferraro Salvatore, come contestato dal PM, non era stato formato e informato sui rischi della sua mansione di lavoro e del luogo in cui operava, al momento del decesso, ovvero su come andava utilizzata in sicurezza la scala in alluminio e sui rischi di natura elettrica in cui poteva incorrere ne’ gli erano stati dati i necessari ed idonei dispositivi di protezione e di prevenzione.
    Martedi 2 luglio la fissazione dell’udienza preliminare dinanzi al Giudice del Tribunale sammaritano dott. ssa Gaudiano in cui si costituiranno parte civile la moglie e i figli del defunto Ferraro Salvatore assistiti dall’avv. Alfonso Iovino.

    Leggi AncheEsperto in diritto Diplomatico e Internazionale. Lavora da oltre 30 anni nel mondo dell’editoria e della comunicazione. E’ stato rappresentante degli editori locali in F.I.E.G., Amministratore di Canale 10 e Direttore Generale della Società Centro Stampa s.r.l. Attento conoscitore della realtà Casertana. LEGGI TUTTO

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    Camorra, estorsioni per i Mazzarella: processo da rifare per i nuovi rfas

    Napoli. Martedì 26 giugno davanti alla seconda sezione penale della corte di cassazione si è svolta l’udienza per Barattolo Luciano, Di Caprio Salvatore e Nunziata Cristian.PUBBLICITA

    I tre erano stati arrestati lo scorso mese di gennaio insieme con altre dieci persone per una tentata estorsione commessa il 19 aprile 2023, nel Rione Luzzatti, nei confronti dell’imprenditore edile Antonio Siena, secondo il pubblico ministero, con lo scopo di favorire il clan Mazzarella.

    La Suprema Corte ha accolto i ricorsi di Barattolo (difeso da Leopoldo Perone e Michele Caiafa) e Nunziata Cristian (difeso da Leopoldo Perone) rispetto alla circostanza che non si è trattato di un’estorsione ma di un esercizio arbitrario poiché il commando avrebbe agito nell’interesse di due donne truffate proprio dall’imprenditore Siena.
    La questione è diversa per Di Caprio Salvatore (difeso da Immacolata Romano e Giuseppe Milazzo) per il quale gli Ermellini hanno condiviso le argomentazioni difensive secondo cui il proprio assistito non fosse proprio presente ai fatti, visto che l’indicazione della sua foto come uno dei possibili aggressori è avvenuta solo successivamente alla denuncia nel momento in cui la squadra mobile partenopea gli ha posto in visione un album di 30 fotografie.

    Ora, dopo la restituzione degli atti al tribunale della libertà di Napoli, gli avvocati dovranno riaffrontare il riesame con tutte le loro forze.

    (nella foto da sinistra Barattolo Luciano, Di Caprio Salvatore e Nunziata Cristian)
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    Arzano vigilessa infedele: processo verso la prescrizione

    Arzano. Vigilessa infedele: si va verso la prescrizione. Il comune accoglie la richiesta di rinvio del processo.PUBBLICITA

    Si è tenuta nei giorni scorsi l’udienza che vede sul banco degli imputati la vigilessa R.M. finita in carcere nel 2017 e successivamente colpita anche da obbligo di dimora fuori dalla provincia Napoli per essersi macchiata del reato da pubblico ufficiale di aver minacciato un tecnico comunale per indurlo a modificare la relazione in favore della madre.

    Con una mossa a sorpresa, dinanzi al collegio della Corte di Appello di Napoli ove il processo era ritornato dalla Corte di Cassazione in accoglimento delle motivazioni secondo la quale i vigili urbani di Arzano notificassero le convocazione delle udienze alla sorella non convivente invece che all’imputata.
    Il Comune, accogliendo la richiesta dei legali dell’agente, ha accolto l’istanza di rinviare l’udienza il prossimo 11 novembre, tra lo sconcerto della corte e determinando di fatto l’avvicinamento alla prescrizione dei reati a lei ascritti.

    L’agente, è finita anche sotto processo per i reati di tentata corruzione e minacce a pubblico ufficiale – tecnico comunale – volte a costringerlo a commettere falsi atti per favorire gli abusi edilizi commessi dalla madre di quest’ultima.

    Nelle prima udienza, svoltasi dinanzi al giudice Ferraro del Tribunale di Napoli Nord, ha pesato come un macigno la deposizione del testimone chiave dell’inchiesta. Poi toccherà ai due testimoni (un vigile e un avvocato) che assistettero alle minacce addirittura rivolte allo stesso teste di accusa fuori al Tribunale prima dell’udienza.
    Insomma, nuova tegola giudiziaria sul comune di Arzano che dovrà decidere sulla sorte della vigilessa che risulta, tra l’altro, anche soccombente in sede civile ma che avrebbe comunque ripresentato più volte richiesta di riassunzione in servizio presso il comando della Polizia locale addirittura, secondo indiscrezioni, presentando al segretario Generale dell’ente una memoria difensiva respinta al momento dallo stesso funzionario Francesco battaglia.

    Francesco Nardelli
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    Napoli, riciclaggio per il clan Contini chiesto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati

    Napoli, è iniziato e subito rinviato il primo filone del maxi processo a carico dei 140 imputati legati al clan Contini accusati in primo luogo di associazione camorristica e riciclaggio.PUBBLICITA

    L’udienza preliminare si è svolta davanti al gup Nicola Marrone. La Procura di napoli ha chiesto l’acquisizione di ulteriori attività svolte a carico di Michele Tecchia, con ulteriori sequestri effettuati a suggello dell’attività investigativa svolta. L’imputato, tra l’altro, attraverso il suo legale aveva chiesto il patteggiamento.

    I difensori di tutti gli imputati si sono opposti all’unanimità alla acquisizione di questi nuovi elementi probatori. La pm Alessandra Converso della Dda di Napoli, nella sua requisitoria, durata due ore, oltre ad illustrare il nuovo materiale probatorio raccolto a carico degli imputati, ha concluso chiedendo il rinvio a giudizio per tutti gli imputati.
    Le difese hanno chiesto un nuovo termine a difesa per poter valutare le motivazioni della Cassazione sui ricorsi presentati da Difese e Procura concernenti le esigenze cautelari.Il Gup ha rinviato all’udienza del 15 luglio prossimo per potersi esprimere sulle nuove contestazioni e sulle eventuali discussioni delle difese, arringhe di parte.

    Il maxi processo nasce da una inchiesta che nel gennaio scorso aveva portato a 82 misure cautelari e ruota attorno alle figure del noto imprenditore napoletano Salvatore D’Amelio (titolare del marchio Minimal) e della famiglia Festa ovvero i familiari di sua moglie Maria, per un presunto giro di denaro sporco, secondo gli Inquirenti – proveniente dal clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano – riciclato in imprese del tessuto economico campano e non solo.
    Nella lista, appunto, esponenti del clan Contini, imprenditori compiacenti, prestanome, intermediari d’affari, per un giro vertiginoso di soldi che ha portato carabinieri e finanza ad operare anche una serie di sequestri per un totale di 8,4 milioni di euro.
    I reati contestati dagli inquirenti sono a vario titolo: falsificazione e commercializzazione di orologi a marchio contraffatto, fittizia intestazione di beni, indebite compensazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali, emissione ed utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, dichiarazione infedele, indebita compensazione, detenzione e traffico di armi da fuoco, estorsione aggravata, aggressione e tentato omicidio, tutte aggravate dal metodo mafioso per favorire la potente cosca del Clan Contini dell’Alleanza di Secondigliano (Mallardo e Licciardi).
    Nel pool difensivo gli avvocati Arturo Cola,  Gaetano Manzi, Giovanni Cerino,  Vincenzo Romano, Claudio Davino, Massimo Viscusi, Domenico Vincenzo Ferraro, Gianluca Gambogi,  Leopoldo Perone.
    Leggi AncheGiuseppe Del Gaudio, giornalista professionista dal 1991. Amante del cinema d’azione, sport e della cultura Sud Americana. Il suo motto: “lavorare fa bene, il non lavoro: stanca” LEGGI TUTTO

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    Torre del Greco, “Assassina, devi morire”: la rabbia del marito di Adalgisa Gamba dopo l’assoluzione

    Torre del Greco. “Assassina, devi morire”, sono queste le uniche parole che il marito di Adalgisa Gamba ha pronunciata alla lettura della sentenza di assoluzione della donna ritenuta “incapace di intendere e volere” quando la sera del 2 gennaio 2022 sulla spiaggia di Torre del Greco uccise il figlio Francesco di appena due anni e mezzo.
    La donna però non tornerà in libertà ma resterà 15 anni in una struttura di cura in libertà vigilata. Lo hanno stabilito i giudici della prima sezione della Corte d’Assise di Napoli, nella sentenza di assoluzione di Adalgisa Gamba.

    Entro 90 giorni le motivazioni della sentenza. “E’ stato un processo particolarmente difficile, sia professionalmente che umanamente, ma finalmente è stata fatta giustizia. Gisa è stata prosciolta perché è una persona malata. Adesso, passo dopo passo, dobbiamo aiutarla affinché torni alla normalità” ha detto dopo il verdetto l’avvocato Salvatore Del Giudice, legale di Adalgisa Gamba.
    Il marito della donna già il 15 marzo scorso durante la sua deposizione in aul aveva dichiarato: “Non ha avuto il coraggio di abortire, e l’ha ucciso dopo… è un diavolo, un mostro, che ha ingannato me, mio figlio, e anche i periti”.

    “La vogliono far passare per santa, ma è un mostro”.
    E poi aggiunse: “La vogliono far passare per santa, ma è un mostro”. Ma i giudici hanno creduto alle perizia dichiarandola incapace di intendere e di volere quella tragica sera.

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    Maltrattamenti su minori, l’ex sindaco di Formia Paola Villa fuori dal processo

    “Più che disappunto, la professoressa Paola Villa ha più volte espresso sentimento di stupore per la singolare vicenda giudiziaria nella quale, suo malgrado, si è vista coinvolta e trascinata in giudizio quale ex sindaco di Formia”, il commento della difesa dopo l’uscita di scena di Villa dal procedimento. A margine di un processo per maltrattamenti […] LEGGI TUTTO