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    Elezioni regionali: risultati elettorali

    Le elezioni regionali in Emilia-Romagna si terranno domenica 17 e lunedì 18 novembre 2024.I seggi saranno aperti la domenica dalle ore 7 alle ore 23 e il lunedì dalle ore 7 alle ore 15.I dati di affluenza saranno disponibili a partire dalle 12.30 di Domenica 17.I risultati degli scrutini a partire dalle ore 15.30 di Lunedì 18.

    Guida all’uso

    Ultimo aggiornamento: 17/11/2024 19:48 – Comunicazione alle ore 19

    31,03%

    ( Regionali 2020: 58,82% )*
    Differenza percentuale: -27,79%

    Comuni pervenuti
    330 su 330

    Sezioni pervenute
    4529 su 4529

    Affluenza alle urne – Risultati per Provincia

    ProvinciaComuni pervenutiRegionali 2024Regionali 2020DifferenzapercentualeAffluenza per Comune

    BOLOGNA
    55 su 55

    35,12%

    61,88%

    -26,76%

    FERRARA
    21 su 21

    28,98%

    57,94%

    -28,96%

    FORLI’-CESENA
    30 su 30

    30,20%

    59,39%

    -29,19%

    MODENA
    47 su 47

    31,61%

    59,89%

    -28,28%

    PARMA
    44 su 44

    27,88%

    55,12%

    -27,24%

    PIACENZA
    46 su 46

    27,39%

    54,38%

    -26,99%

    RAVENNA
    18 su 18

    33,72%

    60,67%

    -26,95%

    REGGIO NELL’EMILIA
    42 su 42

    30,66%

    58,83%

    -28,17%

    RIMINI
    27 su 27

    25,80%

    54,57%

    -28,77%

    * Nel 2020 si votò in un solo giorno, domenica 26 gennaio, dalle ore 7 alle ore 23.

    I dati, acquisiti dal Ministero dell’Interno, si riferiscono alle comunicazioni pervenute dai Comuni, tramite le Prefetture, e non rivestono, pertanto, carattere di ufficialità.
    La proclamazione ufficiale dei risultati è prerogativa dell’Ufficio centrale regionale presso la Corte d’Appello e degli Uffici centrali circoscrizionali presso i Tribunali
    dei capoluoghi di Provincia. LEGGI TUTTO

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    Le aggregazioni femminili italiane sopravvivono, per la maggior parte, con autofinanziamenti. Ma ora arriva Semia, il primo fondo femminista italiano

    I “Fondi delle Donne” o “Fondi Femministi” sono fondazioni filantropiche dedicate a supportare l’attivismo per i diritti delle donne e di genere. Vengono create con la precisa visione di sollecitare, raccogliere ed erogare fondi per supportare le organizzazioni e i movimenti che in ogni paese si impegnano nella promozione di questi diritti. Oggi, ci sono oltre 40 fondi femministi nel mondo e, finalmente, oggi anche il movimento femminista italiano ha il suo fondo: si chiama, appunto, Semia.

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    Semia, la novità
    Semia è il primo fondo femminista italiano. La fondazione nasce per sostenere le organizzazioni, i gruppi, i collettivi, le attiviste e gli attivisti che lavorano ogni giorno per rendere l’Italia un paese più inclusivo, equo e sicuro per bambine, ragazze, donne, persone trans e non-binarie.
    L’ambizione è quella di contribuire a rendere il futuro un luogo in cui ogni persona possa godere di pieni diritti e possa vivere e amare con dignità e libertà. L’obiettivo di Semia è, quindi, di sostenere le associazioni che hanno pochi fondi per le attività e che non potendo pagare i salari, mancano di efficienza e rischiano di morire.

    È nato in Italia il primo Fondo delle Donne che si pone come obiettivo quello di supportare economicamente tutte le organizzazioni e associazioni che si occupano di diritti e di uguaglianza di genere (Getty Images)

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    L’indagine promossa dal Fondo femminista italiano
    La questione della sopravvivenza delle associazioni è il focus di un rapporto realizzato proprio da Semia, intitolato “Il movimento femminista italiano: analisi conoscitiva, sfide e sostenibilità”. Esso mette in luce le problematiche contro cui i centri che si occupano di diritti delle donne e uguaglianza di genere devono lottare ogni giorno per restare attive. Parte vitale del terzo settore, operano costantemente con risorse limitate e in un contesto difficile.
    Spesso animate dal solo lavoro volontario, sono invisibili a livello istituzionale. La cronica mancanza di risorse le costringe a puntare quasi tutte le energie sull’emergenza del contrasto alla violenza. Ma poco resta per lavorare sul cambiamento sistemico e sulle cause strutturali della stessa, prima fra tutte la disoccupazione femminile e la fragilità economica delle donne.

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    Le associazioni per i diritti delle donne un mondo dimenticato
    In pratica, mentre le organizzazioni sono giustamente impegnate a occuparsi tanto di contrasto alla violenza, restano disattese le cause stesse di una violenza sistemica sulle donne e le minoranze di genere. Per esempio, le barriere all’accesso e la discriminazione sui luoghi di lavoro, la carenza di educazione economico-finanziaria, l’impari distribuzione dei lavori di cura e l’educazione alla leadership.
    Questi restano terreni ancora di nicchia, proprio in un Paese in cui, secondo il GEI, l’Indice di Uguaglianza di Genere del 2023, l’area più critica è proprio quella della disoccupazione e della “malaoccupazione” femminile. Non aiuta nemmeno il segmento della filantropia istituzionale nel nostro Paese, nota per la sua generosità in molti ambiti, che tende però a fare scarse donazioni alle organizzazioni che si occupano della tematica femminista.

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    Ecco perché la nascita del fondo femminista
    «Proprio per questo è nato il primo fondo femminista italiano – spiega Miriam Mastria, Direttrice di Semia. – Semia si pone come un’alleata del movimento: è una fondazione giovane, fatta di professioniste del terzo settore.
    È al servizio delle realtà territoriali, a supporto materiale delle organizzazioni che si occupano dei diritti delle ragazze, le donne, le persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. Perché attraverso la libera espressione di ciascuna, si possa realizzare il progresso corale dell’intera società». LEGGI TUTTO

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    In molti dei dipinti esposti nella mostra “Artemisia Gentileschi a Napoli” ricorre il tema della donna che si prende la propria rivincita sull’uomo. L’artista era scappata da Roma dopo essere stata stuprata da Agostino Tassi

    Aldo Cazzullo (foto di Carlo Furgeri Gilbert).

    La mostra dell’anno è quella alle Gallerie d’Italia di Napoli, in via Toledo. Ed è dedicata ad Artemisia Gentileschi, in particolare al suo soggiorno napoletano.
    Sono esposte 21 sue opere, che illustrano la parabola della “pittora”, come venne chiamata (la parola pittrice non esisteva): per la prima volta il pubblico italiano può ammirare capolavori come la Santa Caterina d’Alessandria di recente acquisita dalla National Gallery di Londra; inoltre, la stessa Santa del Nationalmuseum di Stoccolma o la Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne del Nasjonalmuseet di Oslo.

    Ecco poi le grandi e rare commissioni pubbliche della pittrice, dall’Annunciazione di Capodimonte a due delle tre monumentali tele realizzate per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e I Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione.

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    Ma c’è un aspetto non meno interessante, che va oltre le tele in mostra. Artemisia arriva a Napoli dopo un lungo girovagare, da Firenze a Venezia, al termine di una fuga infinita dalla sua città, Roma.
    A Roma Artemisia aveva imparato a dipingere, e aveva conosciuto la violenza di Agostino Tassi. A Roma era stata torturata: perché, allora come oggi, era spesso la vittima dello stupro a salire sul banco degli imputati. Quel processo Artemisia lo vinse; ma il Papa graziò il condannato.
    Anche per questo ricorre nella pittura di Artemisia il tema della donna che si prende la propria rivincita sull’uomo. Era una società profondamente ingiusta, questo lo sappiamo.
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    Ci piace meno ricordare che sotto il fascismo le donne di fatto non potevano lavorare, che votarono per la prima volta nel 1946, che ancora negli anni ’50 non potevano entrare in magistratura, che la prima donna diventa ministra solo nel 1976, l’anno dopo l’abolizione dell’autorità maritale.
    Il delitto d’onore resta in vigore fino al 1981, e fino al 1996 lo stupro era un reato contro la morale e non contro la persona. L’opera e la vita di Artemisia sono più che mai la battaglia di una pioniera.

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    Il coraggio delle donne afghane: sfidano il regime talebano per chiedere maggiori diritti

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