More stories

  • in

    Gragnano, altri ragazzi coinvolti nella morte di Alessandro

    Gragnano. Si amplia il raggio delle indagini sugli autori dei messaggi contenenti minacce e intimidazioni ritrovati sul telefonino di Alessandro Cascone.Il ragazzo di 13 anni è morto a Gragnano  la scorsa settimana dopo essere precipitato dalla finestra della sua abitazione, al quarto piano di un palazzo di via Lemma.Appartamento dove il giovane, figlio unico, viveva insieme ai suoi genitori. Il gruppo dei sei giovanissimi – cinque minori e un maggiorenne – su cui si e’ concentrata sin dall’inizio l’attenzione degli inquirenti potrebbe ampliarsi con l’identificazione di altri componenti della chat su cui venivano pubblicati gli insulti contro il 13enne.La procura di Torre Annunziata, in stretto raccordo con quella per i minorenni di Napoli, lavora con estrema cautela considerando la delicatezza della vicenda e l’eta’ degli indagati. Un’attesa che ancora non ha fatto fissare la data dell’autopsia sul corpo del ragazzo, che resta sotto sequestro nell’obitorio di Castellammare di Stabia.Una condizione di incertezza che grava sui genitori di Alessandro: il padre, agente di commercio, e la madre, avvocato, si sono stretti nel silenzio, affidandosi all’avvocato Giulio Pepe.”Anche loro, come tutti noi – ammette il legale – non sanno come siano andate effettivamente le cose e si sono messi al servizio degli organi inquirenti, convinti della bonta’ del lavoro che stanno svolgendo”.Il papa’ e la mamma del tredicenne sono stati ascoltati nei giorni scorsi dai magistrati che conducono le indagini sulla morte del loro ragazzo. Parole al momento coperte da segreto istruttorio.”I genitori – continua l’avvocato Pepe – intendono solo sapere se si sia trattato di un incidente fortuito. Se cosi’ non fosse, sono pronti, come gia’ hanno fatto finora, ad affiancarsi alla Procura. Malesseri precedenti palesati dal ragazzo? Nessuno. Alessandro era, come e’ stato piu’ volte ripetuto e scritto in questi giorni, un ragazzo solare, che andava bene a scuola e aveva tanti amici.Adesso i suoi genitori attendono solo il ritorno a casa della salma, per potere riabbracciare il figlio un’ultima volta prima di procedere ad una giusta sepoltura”.La vicenda di Alessandro continua intanto a suscitare sui social un’ondata di commozione e di solidarieta’, con l’allarme per le conseguenze dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo.Fuori del coro la voce, stonata, di un ufficiale dei carabinieri che su Instagram condanna il parere di una psicologa secondo cui “le parole sono armi” e se la prende invece con l’educazione ricevuta dalla vittima: “Se allevi conigli non puoi pretendere leoni”. Nei suoi confronti l’Arma ha fatto partire una procedura disciplinare.Al momento non si conosce ancora la data dell’esame autoptico e quindi non e’ stato ancora possibile fissare i funerali, in occasione dei quali il sindaco di Gragnano, Nello D’Auria, ha gia’ annunciato un giorno di lutto cittadino. LEGGI TUTTO

  • in

    Gragnano, individuati i 6 presunti responsabili della morte di Alessandro

    Hanno un nome e un cognome i sei presunti responsabili della morte del 13enne Alessandro Cascone, morto suicida e vittima del cyber bullismo due giorni fa a Gragnano.La Procura di Torre Annunziata e della Procura per i minorenni di Napoli hanno aperto un fascicolo di indagine parallela ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. Sono, infatti, 6 i giovani, di cui 5 minorenni e un maggiorenne, individuati quali autori dei messaggi dal tono minaccioso, degli insulti e addirittura degli inviti a togliersi la vita rivolti al 13enne attraverso social network e app di messaggistica istantanea trovati nel suo smartphone.I 6 presunti autori dei messaggi non sono ancora iscritti nel registro degli indagati, così come non è stata ancora fissata l’autopsia sulla salma del ragazzino, ancora sotto sequestro. Quando si stabilirà la data dell’autopsia automaticamente saranno “avvisati” i sei ragazzi che potranno nominare propri consulenti per assistere all’esame.La morte di Alessandro era stata ritenuta in un primo momento conseguenza di un drammatico incidente: una sedia vicino alla finestra e un cavo dell’antenna della tv tranciato avevano fatto ritenere che il 13enne si fosse sporto troppo nel tentativo di aggiustare il cavo, perdendo l’equilibrio e cadendo dalla finestra.Ma dall’analisi dei messaggi contenuti nel telefonino del ragazzo, eseguita dai Carabinieri della stazione di Gragnano e del Nucleo operativo di Castellammare di Stabia, sono emersi i messaggi che avrebbero turbato il giovane al punto da spingerlo a togliersi la vita. Al momento gli autori dei messaggi individuati sono 6, uno solo dei quali è maggiorenne.Al momento però non sono ancora state accertate intimidazioni fisiche nei suoi confronti ma e’ probabile che Alessandro potesse temere anche per la sua incolumita’, in vista dell’imminente ritorno a scuola.E’ gia’ stata ascoltata dagli investigatori la fidanzatina di Alessandro, sua coetanea, cui il 13enne ha indirizzato via cellulare un messaggio di addio poco prima di morire. Le chat rintracciate dal telefonino del ragazzo, cosi’ come le sue interazioni sui social, sono oggetto di indagini, come confermato oggi anche dal ministro degli Interni Luciana Lamorgese: “Stiamo facendo tutti gli accertamenti e le verifiche sui siti e sui messaggi, da cui trarre notizie”.La responsabile del Viminale, intervenendo al Forum Ambrosetti di Cernobbio, ha ricordato l’impegno per la cybersicurezza della polizia postale, che negli ultimi mesi “ha controllato oltre 500mila siti web sospetti, arrestato 236 persone e denunciate ottomila”.In attesa dei funerali di Alessandro, per i quali sara’ proclamato il lutto cittadino, nella parrocchia di San Leone a Gragnano – dove il ragazzo ha trascorso i suoi anni del catechismo e ha ricevuto la prima Comunione – insieme con il parroco, don Paolo Anastasio, si e’ pregato per i suoi familiari. Preghiere anche nel santuario di Pompei: “Dobbiamo far capire ai giovani che la vita e’ un dono prezioso e qualsiasi fragilita’ o limite puo’ essere superato”, dice il vicerettore, don Ivan Licinio. LEGGI TUTTO

  • in

    Ponticelli, armi e bomba a mano trovate nel “Grattacielo” di via Franciosa

    POnticelli. Un fucile, una bomba a mano e un laboratorio per il confezionamento di droga.E’ quanto scoperto dai poliziotti del Commissariato Ponticelli e della Squadra mobile di Napoli all’interno del […]

    POnticelli. Un fucile, una bomba a mano e un laboratorio per il confezionamento di droga.E’ quanto scoperto dai poliziotti del Commissariato Ponticelli e della Squadra mobile di Napoli all’interno del cosiddetto “grattacielo” di via Franciosa, nel quartiere Ponticelli, zona orientale della città.Nel corso del sopralluogo effettuato ieri pomeriggio insieme a unità cinofile della Guardia di Finanza, gli agenti hanno trovato un fucile a canne mozze, una pistola semiautomatica calibro 45, una bomba a mano, svariati caricatori di armi varie e un ingente quantitativo di munizioni di vario calibro.
    Sempre nello stesso immobile è stato individuato un laboratorio per il confezionamento e il taglio di sostanze stupefacenti. Gli investigatori stanno continuando le indagini per risalire agli utilizzatori delle armi che sono state inviate alla sezione scientifica per accertare se siano state utilizzate in recenti fatti di sangue. LEGGI TUTTO

  • in

    Ponticelli, armi e bomba a mano trovate nel “Grattacielo” di via Franciosa

    POnticelli. Un fucile, una bomba a mano e un laboratorio per il confezionamento di droga.
    E’ quanto scoperto dai poliziotti del Commissariato Ponticelli e della Squadra mobile di Napoli all’interno del cosiddetto “grattacielo” di via Franciosa, nel quartiere Ponticelli, zona orientale della città.
    Nel corso del sopralluogo effettuato ieri pomeriggio insieme a unità cinofile della Guardia di Finanza, gli agenti hanno trovato un fucile a canne mozze, una pistola semiautomatica calibro 45, una bomba a mano, svariati caricatori di armi varie e un ingente quantitativo di munizioni di vario calibro.
    Sempre nello stesso immobile è stato individuato un laboratorio per il confezionamento e il taglio di sostanze stupefacenti. Gli investigatori stanno continuando le indagini per risalire agli utilizzatori delle armi che sono state inviate alla sezione scientifica per accertare se siano state utilizzate in recenti fatti di sangue. LEGGI TUTTO

  • in

    Bologna, il calciatore assassino era cresciuto nelle giovanili del Napoli

    Era cresciuto nella giovanili del Napoli il calciatore assassino Giovanni Padovani di 27 anni.
    L’uomo prima stalker e poi assassino è originario di Senigallia, nelle Marche. Ieri sera si è reso protagonista di un violento femminicidio a Bologna: ha ucciso a colpi di mazza Alessandra Matteuzzi di circa 30 anni più grande di lui e con la quale aveva avuto una breve relazione.
    Dopo avere fatto per qualche anno il modello, come si evince da alcune delle foto pubblicate sui social, ora faceva il calciatore dilettante. Cresciuto nelle giovanili del Napoli, ha militato in varie squadre di serie C e D tra cui il Foligno e il Giarre. Nove anni fa era anche entrato nel gruppo della Nazionale Under 17 e ora giocava nella Sancataldese, squadra siciliana che però, proprio pochi giorni fa, lo aveva messo fuori rosa per un “ingiustificato allontanamento”.
    Lo ha fatto sapere la stessa società: “Avevamo intuito – spiegano i legali della squadra siciliana- che avesse dei problemi e che non era sereno. Spesso si isolava, tant’è che sabato aveva lasciato improvvisamente il ritiro dicendo all’allenatore che per problemi personali doveva andare via. Ciò che proviamo in questo momento è shock e sgomento”. scrive ancora la dirigenza della Sancataldese.
    Lunedì pomeriggio era arrivato in aereo a Bologna dalla Sicilia e, appena sbarcato, aveva raggiunto la palazzina di via dell’Arcoveggio dove abitava Alessandra. Lei, che lavorava come agente di commercio nella moda, al rientro lo ha mandato via. Lui è rientrato a Senigallia e poi ieri pomeriggio è tornato a Bologna.
    Alessandra e’ arrivata sotto casa, in via dell’Arcoveggio, attorno alle 21, e l’ex era li’ ad aspettarla. Pochi secondi prima di essere aggredita, era al telefono con la sorella. “E’ scesa dalla macchina e ha cominciato a urlare: no Giovanni, no, ti prego, aiuto. Io ero al telefono – ha raccontato la donna al Tgr Emilia-Romagna – ho chiamato immediatamente i carabinieri che sono arrivati subito. Io abito a 30 chilometri. Alla fine l’ha massacrata di botte”.
    Sempre la sorella della vittima ha spiegato ai giornalisti che Alessandra e Giovanni “hanno avuto una frequentazione a distanza, perche’ lui faceva il calciatore in Sicilia, quindi si sono visti poche volte. Era poco piu’ di un anno che si conoscevano, pero’ e’ dallo scorso gennaio che ha cominciato ad avere delle ossessioni verso di lei.
    Si vedevano una volta al mese, poi hanno passato qualche giorno insieme, durante il periodo di pausa calcistica, lui e’ stato qua con lei. A quel punto pero’ le sono successe delle brutte cose – ha aggiunto la donna in lacrime- lui aveva rotto piatti e bicchieri, si era arrampicato dalla terrazza, staccava la luce generale del suo appartamento, e le faceva degli agguati sulle scale”.
    La polizia sta cercando di ricostruire gli spostamenti di Padovani degli ultimi giorni e anche dove il 27enne abbia preso l’arma del delitto, un martello, che poteva gia’ essere in suo possesso.Una vicina ha raccontato sempre al tg regionale che ieri “alle 19.15 era gia’ qua ad aspettarla. Ultimamente aveva paura di lui, perche’ era diventato molto insistente e non voleva farlo entrare in casa”.
    Il primo a intervenire dopo l’aggressione e’ stato un ragazzo, figlio di un altro vicino di casa, al quale Padovani non avrebbe opposto la minima resistenza: “Non ce l’ho con voi, ce l’ho con lei – avrebbe detto a chi lo ha bloccato – non vedo l’ora che arrivi la polizia che voglio finire tutto”.
    Davanti agli investigatori, ha ammesso le sue responsabilita’. Il pm Domenico Ambrosino, che si occupa delle indagini, conferira’ domani mattina l’incarico per l’autopsia, e a breve si terra’ anche l’udienza di convalida per Padovani, assistito dall’avvocato Enrico Buono. Sui social rimangono le foto di Alessandra sorridente, mentre si prova scarpe e vestiti davanti allo specchio o e’ in vacanza in Riviera e a Ibiza. Tempo fa riportava questo aforisma: “La cattiveria mi stupisce sempre. Quando la subisco, rimango li’ a fissarla come fosse una bestia dalla quale non mi so difendere”.
    Da qualche mese le cose erano degenerate e lui era diventato ossessivo, fino a quando lei, oltre a troncare la relazione, poco più di un mese fa lo aveva denunciato per stalking, segnalando i suoi atteggiamenti molesti, le continue telefonate, i messaggi e gli appostamenti che le faceva. In Procura era stato aperto un fascicolo, ma nei confronti dell’uomo non erano stati adottati provvedimenti restrittivi. Padovani e’ ora accusato di omicidio aggravato. LEGGI TUTTO

  • in

    Bologna, il calciatore assassino era cresciuto nelle giovanili del Napoli

    Era cresciuto nella giovanili del Napoli il calciatore assassino Giovanni Padovani di 27 anni.L’uomo prima stalker e poi assassino è originario di Senigallia, nelle Marche. Ieri sera si è reso protagonista di un violento femminicidio a Bologna: ha ucciso a colpi di mazza Alessandra Matteuzzi di circa 30 anni più grande di lui e con la quale aveva avuto una breve relazione.Dopo avere fatto per qualche anno il modello, come si evince da alcune delle foto pubblicate sui social, ora faceva il calciatore dilettante. Cresciuto nelle giovanili del Napoli, ha militato in varie squadre di serie C e D tra cui il Foligno e il Giarre. Nove anni fa era anche entrato nel gruppo della Nazionale Under 17 e ora giocava nella Sancataldese, squadra siciliana che però, proprio pochi giorni fa, lo aveva messo fuori rosa per un “ingiustificato allontanamento”.Lo ha fatto sapere la stessa società: “Avevamo intuito – spiegano i legali della squadra siciliana- che avesse dei problemi e che non era sereno. Spesso si isolava, tant’è che sabato aveva lasciato improvvisamente il ritiro dicendo all’allenatore che per problemi personali doveva andare via. Ciò che proviamo in questo momento è shock e sgomento”. scrive ancora la dirigenza della Sancataldese.Lunedì pomeriggio era arrivato in aereo a Bologna dalla Sicilia e, appena sbarcato, aveva raggiunto la palazzina di via dell’Arcoveggio dove abitava Alessandra. Lei, che lavorava come agente di commercio nella moda, al rientro lo ha mandato via. Lui è rientrato a Senigallia e poi ieri pomeriggio è tornato a Bologna.Alessandra e’ arrivata sotto casa, in via dell’Arcoveggio, attorno alle 21, e l’ex era li’ ad aspettarla. Pochi secondi prima di essere aggredita, era al telefono con la sorella. “E’ scesa dalla macchina e ha cominciato a urlare: no Giovanni, no, ti prego, aiuto. Io ero al telefono – ha raccontato la donna al Tgr Emilia-Romagna – ho chiamato immediatamente i carabinieri che sono arrivati subito. Io abito a 30 chilometri. Alla fine l’ha massacrata di botte”.Sempre la sorella della vittima ha spiegato ai giornalisti che Alessandra e Giovanni “hanno avuto una frequentazione a distanza, perche’ lui faceva il calciatore in Sicilia, quindi si sono visti poche volte. Era poco piu’ di un anno che si conoscevano, pero’ e’ dallo scorso gennaio che ha cominciato ad avere delle ossessioni verso di lei. Si vedevano una volta al mese, poi hanno passato qualche giorno insieme, durante il periodo di pausa calcistica, lui e’ stato qua con lei. A quel punto pero’ le sono successe delle brutte cose – ha aggiunto la donna in lacrime- lui aveva rotto piatti e bicchieri, si era arrampicato dalla terrazza, staccava la luce generale del suo appartamento, e le faceva degli agguati sulle scale”.La polizia sta cercando di ricostruire gli spostamenti di Padovani degli ultimi giorni e anche dove il 27enne abbia preso l’arma del delitto, un martello, che poteva gia’ essere in suo possesso.Una vicina ha raccontato sempre al tg regionale che ieri “alle 19.15 era gia’ qua ad aspettarla. Ultimamente aveva paura di lui, perche’ era diventato molto insistente e non voleva farlo entrare in casa”.Il primo a intervenire dopo l’aggressione e’ stato un ragazzo, figlio di un altro vicino di casa, al quale Padovani non avrebbe opposto la minima resistenza: “Non ce l’ho con voi, ce l’ho con lei – avrebbe detto a chi lo ha bloccato – non vedo l’ora che arrivi la polizia che voglio finire tutto”. Davanti agli investigatori, ha ammesso le sue responsabilita’. Il pm Domenico Ambrosino, che si occupa delle indagini, conferira’ domani mattina l’incarico per l’autopsia, e a breve si terra’ anche l’udienza di convalida per Padovani, assistito dall’avvocato Enrico Buono. Sui social rimangono le foto di Alessandra sorridente, mentre si prova scarpe e vestiti davanti allo specchio o e’ in vacanza in Riviera e a Ibiza. Tempo fa riportava questo aforisma: “La cattiveria mi stupisce sempre. Quando la subisco, rimango li’ a fissarla come fosse una bestia dalla quale non mi so difendere”.Da qualche mese le cose erano degenerate e lui era diventato ossessivo, fino a quando lei, oltre a troncare la relazione, poco più di un mese fa lo aveva denunciato per stalking, segnalando i suoi atteggiamenti molesti, le continue telefonate, i messaggi e gli appostamenti che le faceva. In Procura era stato aperto un fascicolo, ma nei confronti dell’uomo non erano stati adottati provvedimenti restrittivi. Padovani e’ ora accusato di omicidio aggravato. LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, il nipote del boss Bosti tra gli assalitori del ristorante Cala la pasta: arrestati in 3

    Napoli, sono stati individuati  e arrestati gli assalitori del ristorante Cala la pasta: sono del clan Contini.Ieri, infatti, personale della Squadra Mobile ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, con la quale è stata disposta la misura della custodia in carcere a carico di Patrizio Bosti di anni 19, figlio di Ettore Bosti, soggetto già condannato con sentenza definitiva perché ritenuto intraneo al clan Contini. E quindi nipote omonimo del boss fondatore dell’Alleanza di Secondigliano.Con lui è finito in carcere anche Giorgio Marasco di anni 19. I due sono gravemente indiziati dei reati di violenza privata e favoreggiamento personale, aggravati dalle modalità mafiose previste dall’art. 416 bis.Agli arresti domiciliari è finito invece Gennaro Vitone di anni 21, gravemente indiziato del reato di lesioni personali stradali con l’aggravante della fuga.In particolare, il 15 maggio scorso il Vitone in sella di un motoveicolo, viaggiando ad elevata velocità per le strade cittadine, ha investito la compagna del titolare del ristorante Cala la pasta di via dei Tribunali che stava svolgendo la propria attività lavorativa  ed un turista argentino, provocando loro, rispettivamente, lesioni gravissime e gravi.Per consentire la fuga al centauro, ed assicurargli l’impunità in ordine al reato di lesioni stradali, in ausilio del primo è intervenuto un folto gruppo di soggetti che ha aggredito fisicamente e ha minacciato sia il titolare del ristorante, sia lo chef anche al fine di indurli a non presentare denuncia nei confronti del conducente del veicolo investitore e, anche mediante l’utilizzo di un’arma, i turisti argentini intervenuti in ausilio del loro amico ferito.TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE: Napoli, esce dal coma, il compagno sfida i clan di Forcella: “Venite quando volete, tanto vi arrestano”Gli stessi, che cercavano di evitare che il motociclo a mezzo del quale era stato cagionato il duplice investimento stradale venisse prelevato, sono stati aggrediti anche mediante il lancio di tavolini e sedie.Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva. LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, catturato latitante del clan Mazzarella

    Ieri mattina a Napoli, in via Comunale Ottaviano 58, personale della locale Squadra Mobile è stato catturato il latitante Tobia Esposito di 43 anni.Il pregiudicato si era reso irreperibile il 30 novembre 2021 all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 27 persone ritenute gravemente indiziate di partecipazione ad associazione di tipo mafioso e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, nonché, per taluni di essi, dei delitti di omicidio, detenzione e porto di armi da sparo ed estorsione.Le indagini avevano permesso di ricostruire gli equilibri criminali sul territorio di San Giovanni a Teduccio, caratterizzato da numerosi fatti di sangue causati dalla faida, in atto nel 2018 nonostante gli arresti e le sentenze di condanna, tra diverse famiglie di camorra espressione di due più ampie confederazioni, l’Alleanza di Secondigliano e il clan Mazzarella, che si contendono, da sempre, il controllo esclusivo della città di Napoli e Provincia.In particolare, le attività svolte a partire dal mese di gennaio 2018, in seguito all’omicidio di  Annamaria Palmieri, meglio nota come Nino D’Angelo, braccio destro di Maria Domizio, reggente del clan Formicola, hanno ricostruito una violenta contrapposizione armata tra le famiglie di camorra Silenzio e Formicola, entrambe operative nella sfera di influenza e controllo del dominante cartello Rinaldi/Formicola/Reale, a sua volta riconducibile all’Alleanza di Secondigliano.Numerose furono le azioni violente ricostruite nell’ordinanza cautelare attraverso le quali il clan Silenzio costringeva interi nuclei familiari ad abbandonare le proprie abitazioni, legittimamente occupate, in modo da garantire ai membri ed affiliati della famiglia Silenzio il controllo militare del cosiddetto Rione Bronx e la gestione di tutte le attività illecite, in particolare estorsioni e controllo delle piazze di spaccio.In tale contesto si inquadra anche la ricostruzione del quadro indiziario relativo all’omicidio di Annamaria Palmieri, avvenuto in data 23 gennaio 2018, che risulta aver rappresentato il primo eclatante atto delittuoso finalizzato a dare feroce dimostrazione del disegno criminoso del gruppo.Ma anche le successive azioni criminose riconducibili alla reazione violenta del cartello dei Mazzarella e delle dinamiche criminali correlate al controllo dei flussi di importazione dalla Spagna degli stupefacenti destinati non solo alle piazze di spaccio di San Giovanni a Teduccio, ma anche a quelle di altri quartieri napoletani (Barra, Secondigliano), e di altri comuni della Campania. LEGGI TUTTO

  • in

    Napoli, processo per la morte del piccolo Samuele. L’avvocato: “Perché manca l’aggravante”

    Napoli. Prima udienza oggi del processo sulla tragedia del piccolo Samuele. Procedimento che vede come unico imputato Mariano Cannio, il 38enne ritenuto responsabile di aver lasciato cadere il bimbo di tre anni, dal balcone dell’abitazione dei genitori, al terzo piano di una palazzina che si trova nei pressi di via Foria, il 17 settembre 2021.
    Nel corso dell’udienza l’avvocato Domenico De Rosa, legale della famiglia del piccolo (che si e’ costituita parte civile), ha sottolineato con forza, e chiesto al gup Nicoletta Campanaro, di verbalizzare la mancanza, nell’imputazione, dell’aggravante dei motivi abietti e futili, non contestata dalla Procura di Napoli, oggi in aula rappresentata dal sostituto procuratore Barbara Aprea.
    Per il legale, infatti, questo processo non si sarebbe dovuto svolgere con il rito abbreviato ma ordinario, e davanti alla Corte di Assise, vista la gravita’ dei fatti accaduti quel giorno. Mariano Cannio, in base a una perizia disposta dal giudice e redatta da un consulente di Salerno, e’ stato ritenuto imputabile e capace di intendere e volere al momento del gesto costato la vita a un bambino di soli tre anni.
    Cannio, rispondendo alle domande degli investigatori della Squadra Mobile di Napoli, disse che dopo il fatto si reco’ a mangiare in una pizzeria del quartiere Sanita’ per poi andare dormire. L’uomo e’ accusato di omicidio aggravato in quanto commesso in maniera tale da “ostacolare la privata difesa” (la mamma del piccolo era in casa quando e’ avvenuta la tragedia, ma non ebbe la possibilita’ di intervenire perche’ si trovava in bagno per un malore) e in relazione al fatto che la vittima e’ un minore di 18 anni.
    L’imputato, difeso dall’avvocato Maria Assunta Zotti, non era presente in aula, come anche i genitori di Samuele. Il prossimo 6 luglio e’ stata fissata la requisitoria del pm; la sentenza e’ prevista per il 27 settembre, dopo la discussione delle parti civili. LEGGI TUTTO

  • in

    Camorra, il carabiniere ‘segugio’ finito nel mirino dei clan Mallardo

    Camorra, la costola del clan Mallardo con a capo Michele Di Nardo era preoccupata dalle indagini che stava svolgendo un carabiniere-segugio della compagnia di Giugliano.
    E per questo motivo avevano progettato di appostarsi davanti alla sua abitazione per scoraggiarlo con le botte. Era diventato un “obiettivo sensibile”, una vera e propria spina nel fianco del clan Mallardo, uno dei militari dell’arma impegnati nelle indagini coordinate dalla DDA di Napoli sull’organizzazione malavitosa di Giugliano in Campania, componente l’Alleanza di Secondigliano insieme con i clan Licciardi e Contini.
    Si tratta di un sottufficiale dei carabinieri in forza alla compagnia di Giugliano in Campania diventato, suo malgrado, l’argomento centrale di un’intercettazione “ambientale” captata dai carabinieri della locale compagnia, coordinata dal capitano Andrea Coratza, durante l’attivita’ investigativa.
    La conversazione, che vede tra gli interlocutori diversi soggetti ritenuti legati al clan Mallardo, e’ stato uno dei motivi per i quali oggi e’ stato disposto ed eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura di Napoli, a carico di nove persone  accusate, a vario titolo, di estorsione, consumata o tentata, detenzione e porto illegale di armi comuni di sparo, aggravati dalle finalita’ e modalita’ mafiose. LEGGI TUTTO

  • in

    Camorra, il carabiniere ‘segugio’ finito nel mirino dei clan Mallardo

    Camorra, la costola del clan Mallardo con a capo Michele Di Nardo era preoccupata dalle indagini che stava svolgendo un carabiniere-segugio della compagnia di Giugliano.
    E per questo motivo avevano progettato di appostarsi davanti alla sua abitazione per scoraggiarlo con le botte. Era diventato un “obiettivo sensibile”, una vera e propria spina nel fianco del clan Mallardo, uno dei militari dell’arma impegnati nelle indagini coordinate dalla DDA di Napoli sull’organizzazione malavitosa di Giugliano in Campania, componente l’Alleanza di Secondigliano insieme con i clan Licciardi e Contini.
    Si tratta di un sottufficiale dei carabinieri in forza alla compagnia di Giugliano in Campania diventato, suo malgrado, l’argomento centrale di un’intercettazione “ambientale” captata dai carabinieri della locale compagnia, coordinata dal capitano Andrea Coratza, durante l’attivita’ investigativa.
    La conversazione, che vede tra gli interlocutori diversi soggetti ritenuti legati al clan Mallardo, e’ stato uno dei motivi per i quali oggi e’ stato disposto ed eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura di Napoli, a carico di nove persone  accusate, a vario titolo, di estorsione, consumata o tentata, detenzione e porto illegale di armi comuni di sparo, aggravati dalle finalita’ e modalita’ mafiose. LEGGI TUTTO

  • in

    Camorra, il boss progettava attentati ai carabinieri

    Camorra, il boss Michele Di Nardo, reggente del clan Mallardo di Giugliano stava progettando di compiere azioni intimidatorie nei confronti dei carabinieri impegnati nelle indagini.E’ quanto emerge dall’inchiesta e dall’ordinanza cautelare che stamen hanno eseguito nei suoi confronti e di altri 8 affiliati i carabinieri stessi di Giugliano su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
    Durante le attività di investigazione è emersa infatti la volontà di alcuni degli indagati di cercare di fermare i militari con azioni intimidatorie.
    Il gruppo di Michele Di Nardo che fa parte di una articolazione del clan Mallardo, egemone a Giugliano e parte del cartello dell’Alleanza di Secondigliano, che opera specificamente lungo la fascia costiera della cittadina, in possesso di armi comuni da sparo e dedito, principalmente, alle estorsioni ai danni di imprenditori edili, concessionari di auto, ristoratori, nonche’ all’imposizione nel conferimento degli oli esausti ai commercianti della zona e all’attivita’ di riscossione e recupero dei crediti.
    Sono 15 gli episodi contestati e tra gli arrestati figura anche Michele Di Nardo, considerato esponente di rilievo della cosca e di recente scarcerato. Era stato arrestato nell’estate del 2013.

    Era al mare con la fidanzata a Palinuro: aveva scelto come meta delle sue vacanze da latitante proprio il Cilento, affittando una villetta a Palinuro con la propria ragazza . Il boss sperava di restare inosservato in mezzo alle persone che affollano il territorio cilentano durante le vacanze estive, soprattutto ad agosto.
    Commise l’errore fatale prima di partire, di scrivere su Facebook: “Finalmente in ferie, se me le rovinano li divoro” Iniziarono una serie di pedinamenti,  intercettazioni, sms, telefonate, foto, alla ricerca di qualcosa che rimandasse al luogo delle vacanze, fino alla cattura dinanzi ad un bar di Palinuro mentre era lì seduto con la propria ragazza. LEGGI TUTTO